la biennale di venezia

42.festival internazionale del teatro

Venezia 1>11 agosto 2013

 

32 Rue Vandenbranden
ideazione e regia Gabriela Carrizo, Franck Chartier

di Gabriele FRANCIONI

30/Lode

Ouroburos:la negazione onnivora come metodo.

 

Per quanto contaminata da presenze allogene (qui è l’argentina Gabriela Carrizo,trapiantata in Belgio),la scena fiamminga sembra sempre in grado di restituire un senso di primitivissima e allo stesso tempo assai contemporanea gemeinschaft. Ciò accade allestendo,sub specie teatrale o coreografica,tutta una serie di microstorie individuali magicamente intrecciate  tra loro a de/formare il quadro d’insieme,che,alla fine,si va sempre a sistemare visivamente dalle parti di Brueghel e Bosch o,ma chissà se c’è vera differenza,in area-Lynch.Questo vale per PEEPING TOM,ma per Platel,Vandekeybus,Lauwers o Fabre i riferimenti possono essere altri.

In “32 Rue Vandenbranden” assistiamo alla deformazione plastica di 6 personaggi/individui in cerca di un posizionamento psicologico e sociale nella comunità locale –ancora una volta,dopo MARKETPLACE 76,un villaggio di montagna,o vicino all’altura dove i settantenni vengono mandati a morire- ottenuto di volta in volta attraverso vere e proprie mutazioni psico-morfologiche,che portano i corpi a piegarsi,contorcersi e implodere in forme impossibili,dove il butoh incontra la danza di strada e Chaplin incrocia Mary Poppins.

Tutto quello che sembra stare sulla scena in realtà non è ciò che vediamo: qui (come sempre?) il compito del teatro è propriamente quello di TRADIRE LE PREMESSE espressive o drammaturgiche,cercando di ribaltare gli input narrativi,se e dove ce ne sono.

Una donna 69enne deve obbligatoriamente trovare un marito per la figlia (ragazza-madre in pectore,che sta per partorire) prima di salire sul monte dove,pacificamente,trapasserà.Non può permettersi di lasciare un’eredità socialmente così scomoda.La ciclicità imperturbabile che connette Società e Natura sembra quindi orientare le azioni dei singoli e queste conformarsi a un disegno superiore.Ogni azione,peraltro,genera conseguenze inattese,anche in un quadro chiuso,persino dentro una scena apparentemente bloccata e algida come quella di Peeping Tom:due trailers sistemati ai lati del palcoscenico presentano i microcosmi dei personaggi,protetti dalle rassicuranti botole domestiche che li difendono da un’eterna tempesta di neve.Siamo in un Nord generico,assai lontano dal Giappone policromo dei film e del racconto cui si è ispirata la Carrizo,e ci prepariamo a una serie di sviluppi lineari.

Accade il contrario:l’ Ouroburos del ciclo stagionale,che doppia il ciclo vitale (etc etc) quale la comunità è disposta a sopportare,cioè infinitamente uguale a se stesso,è devastato dalle dinamiche generatesi dalla premessa,poiché ogni maschio è visto come potenziale compagno della partoriente.E’ vero che il Tempo,alla fine,lascerà tutto come prima,tutti radicalmente SOLI e scavati,consunti da un silenzio capace di produrre solo forme esteriori e non feedback interiori,ma almeno il cambio di pelle del serpente produce stati provvisori –dell’ arte- in cui è possibile riconoscere la possibilità del nuovo,accogliendo la variazione sul tema,se non addirittura l’ipotesi di un crollo o fallimento del disegno complessivo.

L’ iperstagione fissata da Carrizo in un inverno di vento e tempesta non sembra lasciar scampo a nessuno,ma la gelosia,così radicalmente primordiale,sembra strappare le figure dal loro sfondo,facendocele addirittura immaginare per un attimo fuoriuscenti dal proprio destino.

Così non sarà,ma ciò che accade in scena dimostra come il serpente che divora la propria coda,l’ Ouroboros,è di fatto la messa in scena stessa e la nuova pelle assunta di volta in volta (stagionalmente),non è altro che il continuo scivolare del campo espressivo dal teatro alla danza e dalla musica al cinema.La negazione onnivora fattasi metodo,il devorarsi “caudam”,per così dire,fa saltare il banco e se la drammaturgia,pur schizofrenica,poi si chiude a cerchio,così non è per il metodo e per la regia,che cambiando pelle continuamente,realmente vanno altrove rispetto alle premesse e,alla fine,ci lasciano felicemente interdetti e incapaci di rispondere alla domanda su quale territorio stiamo attraversando.Siamo ovunque e da nessuna parte.

Sembrano,spettacoli come questo e quello de LA VERONAL,veri manifesti programmatici di Alex Rigola,che, abbattendo canoni estetici in sequenza e definendo così un’ “extraterritorialità” assai gradita e proficua,ha riportato la Biennale Teatro ai livelli del 2005,non a caso quella diretta da Romeo Castellucci.

32 RUE VANDENBRANDEN,quindi,non è altro che uno stratificarsi di diverse ciclicità:quella antropologica (o stagionale/vitale) è destinata a compiersi comunque;quella narrativa procede per singulti e mutamenti di stato o temperature emotive,a causa del nesso causa-effetto (azione/conseguenze),ma in qualche modo sembra tornare su se stessa,anche se coi bordi slabbrati e i personaggi più o meno devastati;quella espressiva,invece,abbandona le premesse e,compiuto un giro,ci porta altrove e spalanca le porte a una sperimentazione continua,potenzialmente infinita,il cui fine ultimo è l’uccisione della convenzione e del canone. 

Nel trailer di sinistra vive la ragazza-madre,motore generatore di tutte le dinamiche jealousy-based,visitata alternativamente da un giapponese arrivato da poco sulla scena insieme al/la compagna/o e dalla metà maschile di una coppia borghese,tutti accampati nelle due sezioni di destra. L’imprevisto rosario di micro-eventi eccezionali  smuove il rigido prospetto iniziale,poi occasionalmente i rifugi stessi verranno s/mossi da turbolenze improvvise,quasi da terremoti in cui la Natura sembra farsi carico di rappresentare lo stato delle cose della comunità,emettendo (o meno) un giudizio.

La meraviglia di Peeping Tom e di Gabriela Carrizo sta nella capacità di alternare segmenti di attesa,tutti giocati sulla descrizione dei personaggi tramite brevi squarci coreografico-musicali,ed altri dinamici,alternando pause e accelerazioni,concatenando azioni e loro conseguenze. Così,dopo la prima visita del giapponese alla ragazza incinta,e la cavatina della “Norma” cantata dalla madre (“Casta diva”),esplode la gelosia nella casa di destra e prende le forme parossistiche di un karaoke cantato col doccione,nella speranza di produrre una serenata postmoderna,con tanto di foto dell’amato piazzata per vendetta sulla parete esterna,corredata di numero di telefono per eventuali appuntamenti erotici.Il tono parodistico e lo humour nerissimo si alternano a momenti di horror assoluto (i passaggi à-la-Lynch,presi di peso da INLAND EMPIRE o RABBITS) o di elegia e leggerezza hollywoodiane,come nell’ iperbolica scena dei due neo-amanti “sospesi” a mezz’aria,una dentro casa l’altro fuori,legati da un invisibile asse di tensione amorosa.

La persona tradita si abbandona a glaciale autoerotismo,stabilendo una temperatura emotiva immediatamente negata dal passaggio di alcuni sciatori che salutano con la mano.

Assolutamente straordinario e coreograficamente/scenicamente ricchissimo il lungo segmento dedicato alla traumnovelle che ha per protagonisti la ragazza,ora impegnata a verificare l’altro maschio sulla scena come possibile marito,e il borghese della coppia perfetta. In un vorticoso gioco di apparizioni e scomparse,la ragazza-madre entra ed esce fugacemente,anzi proprio con la magica abilità del trucco circense o da prestidigitatore,dalla casa antistante,mentre la moglie di lui assiste da fuori a scene di sesso forse solo schnitzlerianamente sognate.E’ qui che l’invenzione scenografico-coreografica si fa atto di genio puro,quando un uccello hitchcockiano appare prima all' interno,quindi all’esterno,mosso con l’abilità manuale propria dei manovratori di pupazzi (o dei giocolieri visti alla Biennale Danze di Virgilio Sieni).

Le luci degli interni sembrano raccontare uno spazio scenico alla Edward Hopper,mentre l’effetto visivo delle scene a due ci porta su territori,di nuovo,baconiani o lynchiani.

I dialoghi non esistono e lasciano spazio e singulti enunciativi atti a siglare cambi di scena o raccordi narrativi.Ascoltiamo solo frasi isolate,come:

"OK, EVERYBODY JUST GO BACK INSIDE!”;

“I’M GOING TO BE DADDY!”;

“YOU CAN’T COME OUT NOW,IT’S GOING TO BE DANGEROUS!”;

“EVERYBODY GO BACK INSIDE!”.

Prima del tragicomico matrimonio finale tra il giapponese e la partoriente,veniamo spostati in ambiti espressivi di para-musical composito,salvo che ogni slittamento temporale è consentito.Carrizo ci propone infatti:“MUSIC FOR STRINGS,PERCUSSION AND CELESTA" (3° movimento),di Bela Bartok,1936;“SHINE ON YOU CRAZY DIAMOND” dei Pink Floyd (1975);“LOVE ME FOREVER” di Aretha Franklyn,1980 e brani di Sainkho Namtchilak e Alva Noto,perfetti e descrittivissimi,data l’ambientazione nordica.

ore 19.00 - Teatro alle Tese
PEEPING TOM / 32 Rue Vandenbranden
(80’)
ideazione e regia Gabriela Carrizo, Franck Chartier
danza e creazione Jos Baker, Eurudike De Beul, Marie Gyselbrecht, Hun-Mok Jung, Maria Carolina Vieira/Sabine Molenaar, SeolJin Kim
drammaturgia Hildegard De Vuyst, Nico Leunen
musica originale Juan Carlos Tolosa, Glenn Vervliet
scene Peeping Tom, Nele Dirckx, Yves Leirs, Frederik Liekens
luci Filip Timmerman, Yves Leirs
costumi Diane Fourdrignier, HyoJung Jang
produzione Peeping Tom
in coproduzione con KVS Brussel, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt Am Main, Le Rive Gauche Saint-Etienne-du-Rouvray, La Rose des Vents Villeneuve D’Ascq, Theaterfestival Boulevard 's-Hertogenbosch, Theaterhaus Gessnerallee Zürich, Cankarjev Dom Ljubljana, Charleroi/Danses

SITO UFFICIALE

 

42.festival internazionale del teatro

Venezia 01 / 11 agosto 2013