la biennale di venezia 42.festival internazionale del teatro Venezia 1>11 agosto 2013
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Ute Lemper sings Brecht and Weill |
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30/Lode |
Il suono del tempo
La performer tedesca,stabilitasi a Gotham City da tempo immemore,concepisce i propri recital quasi fossero spazi virtualmente senza confini,impegnata com’è nello scavalcamento dei generi e nel dialogo libero col pubblico.Chiarisce subito che il suo NON è uno show monotematico giocato sull’asse weillbrechtiano,ovvero il trademark grazie quale viene spacciata ovunque,ma una danza ariosa tra entertainment e racconto dello status quo.Tanto la globalpolis è,per tautologia,uguale dappertutto e i cahiers de doléances del popolo verso la plutocrazia valgono a Berlino come ad Atene.Lemper a New York sta per motivi di mera convenienza,id est per gestire al meglio un’immagine ormai larger than life,quindi il parallelo con Kurt Weill (1900/1950) ,che ivi trovò esilio,non calza e non deve calzare.Il suo è un Weill tedesco,francese e americano,che le permette di stabilire nessi obliqui almeno con i chansonniers transalpini e fiamminghi,aprendo un varco leggero,ma non meno stimolante,nella tessitura fitta del suo repertorio più classico. S’inizia con DIE MORITAT VON MACKIE MESSER,certo,ma SURABAYA JOHNNY arriva solo come sesto brano:considerata la slabbratura dei tempi di esecuzione,questo significa dopo più di mezz’ora. Lemper tiene comunque l’Opera da tre soldi (1928) come spazio centrale del suo show,richiamato nel medley finale di ALABAMA SONG e MACKIE MASSER. Quello che sta in mezzo conta paradossalmente di più per render l’idea della vastità del talento lemperiano,che le consente di essere straordinaria intrattenitrice,letteralmente padrona del pubblico,maestra di una cerimonia laicissima in cui anche lo sconosciuto in terza fila entra nel testo non scritto della serata.Quando si produce in un lungo assolo alla tromba immaginata,la tedesca stupisce anche chi la segue da un paio di decenni:potenzialmente,tutto le è concesso.Anche osare un Nino Rota felliniano –tema da AMARCORD- come unico omaggio (evviva!) al nostro paese,forse perché in quel momento della performance Lemper sta viaggiando e sta tornando da Buenos Aires -L’ACCORDEONISTE- e dall’ Olanda, PORT D’AMSTERDAM.Non è fondamentale il testo scritto (non ce ne voglia Brecht),perché politico anche è il suo trascorrere sinuoso tra i meandri della capitale argentina,al seguito di un suonatore di milonga,randagio come gli ebrei del suo medley di YIDDISH SONGS,emozionante più delle celebratissime composizioni dell’ Opera. Berlino era stata già abbandonata al secondo brano,LAST TANGO IN BERLIN (occasione per visitare un altro genere),per potersi spostare verso la regione basca di BILBAO SONG (da “Happy End”,1929),quasi a sottolineare la matrice zingaresca della musica e la qualità volatile del suono,che risuona maggiormente nei luoghi dove le dittature e varie forme di olocausti e repressioni hanno reso più sensibile la gente,per sempre tesa come la canonica corda di violino,perfetta qui per richiamare il klezmer ebraico.Danzando tanghi e milonghe o immergendosi nell’ yiddish mentre si punta verso Amsterdam o il nord della penisola iberica,Ute Lemper non fa altro che costruire la sua opera da tre soldi, la sua disincantata via crucis tra i luoghi della sofferenza globale.L’ Argentina ha un rilievo assoluto in questo trascorrere lieve e dolorosissimo. YO SOY MARIA,di Astor Piazzola,è un altro tango rivisitato magistralmente in questo excursus attraverso la memoria dei luoghi. Sembrano uscire da questa teoria di memorie di viaggio MILORD (Monnot/Moustaki) e NE ME QUITTE PAS di Brel ,che è presente due volte,ma non escono dall’analisi del pathein,poiché è olocausto privato anche il dolore dovuto a un abbandono.Si staccano invece decisamente dal tutto THEY CALL ME NAUGHTY LOLA (da “The Blue Angel” con la Dietrich,1930),CABARET e ALL THAT JAZZ (da “Chicago”),ma permettono alla Lemper di farsi più sguaiata e di lasciare per un attimo i recitativi in favore di vocali spalancate,con le quali tocca note altissime e in voce piena. Manca solo Leo Ferrè,per il bis,che chiude circolarmente una performance fatta anche d’agilità fisica,oltre che mentale:Lemper percorre diverse centinaia di metri durante le oltre due ore di spettacolo e le 18 (!) canzoni:all’ incipit autoironico sul coming of age (“I’m not twenty anymore,not even thirty or fourty!”),la favolosa 50enne oppone una chiosa sensibilissima che parla di tempo –AVEC LE TEMPS- anch’esso dittatore/tiranno/assassino.
Avec le temps... |
ore 21.30 - Teatro la Fenice
UTE LEMPER Ute Lemper sings Brecht and Weill (75’) |
42.festival internazionale del teatro Venezia 01 / 11 agosto 2013
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