biennale arte 2013 il palazzo enciclopedico
55. ma esposizione internazionale d'arte 1.6-24.11
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sarah sze stati uniti La Crisi come status-quo |
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L’artista di Boston è tra coloro che prende alla lettera Massimiliano
Gioni, oltretutto creando in situ la sua iper-installazione
incredibilmente complessa, attraverso un’ intelligente e meticolosa
collezione di oggetti raccolti in giro per Venezia. Rispetto ad altri lavori
nazionali, poi, sfida lo spazio espositivo creando qualcosa che finisce con
l’essere l’antitesi completa del site specific, quasi a
dichiarare la programmatica indipendenza di ciò che lei ritiene dover essere
“installazione” rispetto alle costrizioni del contenitore. Se esistono
installazioni centripete, quella di Sze è l’epitome
-
per certi versi esaltante e liberatoria - di un’opposta vocazione centrifuga, realizzata
attraverso l’ esplosione di micro e medium-size objects (trouvées)
da centri molteplici, disseminati nel padiglione di Delano e Aldrich (1930,
una “C” neoclassica con entrata centrale) e nello spazio antistante. Se
Allora e Calzadilla avevano sfidato l’esterno ribaltandovi un iconico tank
da guerra usato per fughe podistiche verso la vittoria
- la sconfitta - la
Sze fa a fette il padiglione, con diaframmi che lo riorganizzano, sposta
l’entrata fissandola dall’ ala sinistra e, una volta dentro, lancia bombe
estetiche che producono frammenti depositati(si) ovunque, tenuti insieme da
fili più o meno visibili e sistemati, per così dire, in “quattro” ambiti a
loro modo leggibili: osservatorio, laboratorio, planetario, e pendolo.
Nuvole formali vanno attraversate meditando sulla precarietà totale dello
spazio (della Crisi), quasi che
-poiché
esploso - l’oggetto d’arte debba
essere analizzato dall’interno, non dall’ esterno. L’artista ci dice che
anche il fall-out economico ha i suoi vantaggi, perché ci apre prospettive
analitiche inattese, consentendoci
- o forzandoci a - uno studio percettivo
dal dentro al fuori. |
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