biennale arte 2013

il palazzo enciclopedico

 

55. ma esposizione internazionale d'arte

1.6-24.11

 

richard mosse
IL colore dell'oro

 

di Valentina GERVASONI

galleria fotografica

Da circa quindici anni, nella zona Orientale della Repubblica Democratica del Congo, ha luogo un fiorente commercio illecito di minerali preziosi, che coinvolge non solo i capi ribelli dei principali gruppi armati del paese, ma anche gli ufficiali dell’esercito regolare, rappresentante inconsistente di istituzioni fantasma.

La subdola guerra che da North Kivu a sud dilania il Congo risulta, dunque, esser sponsorizzata dai profitti originati da un commercio non controllato di minerali, che trascina i vari gruppi armati in un sanguinolento circolo vizioso, favorito - e ancor prima fatto nascere - dall’imperante corruzione, dalla piena mancanza di uno Stato e dall’impunità dilagante.
 

È la realtà di questo conflitto, disordinato, dai confini evanescenti e molteplici, che viene narrata in The Enclave, multiple-screen film installation presentata in occasione della 55° Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia da Richard Mosse (Kilkenny, 1980). L’artista irlandese si concentra sulla possibilità di cogliere l’atmosfera di attimi invisibili, proprio perché tali quanto mai fuggenti. Grazie alle riprese fatte con pellicola Kodak Aerochrome 16mm da ricognizione militare, ormai fuori produzione, poi trasferite su video HD, Richard gioca con i maestosi contrasti fotografici che catturano lo spettro impercettibile di luce infrarossa; mira all’occhio di uno spettatore chiamato a vivere la continua e inconsapevole oscillazione tra percezione, traccia cosciente e l’immagine nascosta, l’immagine (altrimenti) persa.

 

È la realtà di questo conflitto, disordinato, dai confini evanescenti e molteplici, che è narrata in The Enclave. In questi video c’è il reale crudo, sbiadito, pesante, bruciato ma, al contempo, viene generata un’immagine che risponde a una doppia impossibilità: rappresentare veramente, non rappresentare. Impossibilità dell’arte. Impossibilità del giornalismo. Impossibilità dell’uomo.
Mosse travalica i limiti del medium videofotografico avventurandosi all’interno dell’ampio dominio dell’arte. Pertanto, se l’arte stessa si qualifica come processo in divenire, dove ogni istante, ogni fatto immortalato è fugace e unico, le fotografie e il video di Richard Mosse abbracciano in toto questa dimensione epifanica e rivelatrice in grado di evocare una rete di significanti e di suscitare emozioni profonde.

Richard elude la scoria analogica tipica del fotogiornalismo per scandagliare con intimità e intensità la natura di un popolo e di una guerra dimenticati da un Occidente egoista, mai imparziale, nei confronti del quale, tuttavia, l’artista adotta totale neutralità rifiutandosi di emettere qualsiasi sentenza morale. All’artista irlandese manca l’attitudine del genere che da Robert Capa in poi ha segnato la storia della fotografia e non; il suo approccio può essere considerato quasi scientifico, antropologico: si immerge in una realtà Altra per l’analisi del fenomeno, lo documenta, ordina i dati affinché sia possibile assentirne gli aspetti individuali attraverso un’esplorazione che è anzitutto geografica. Le enclavi di Mosse sono aree culturali di conoscenza, di incontro, di uno studio euristico della realtà capace di tracciare una traiettoria traumatica in un universo multidisciplinare.

Un magenta, lavanda e cremisi inusuali, ed estremamente seducenti, acquerellano vedute mozzafiato sin dall’ingresso nel padiglione. Un ambiente luminoso e disteso, quello del Fondaco Marcello, accoglie, sulle pareti, enormi stampe fotografiche; prologo che geolocalizza il visitatore all’interno di un contesto ben definito: un Congo che, perduta parte della sua polverosità tonale, s’impone al giudizio squisitamente estetico del pubblico, chiamato a fare appello alla categoria scontata, mai troppo settecentesca, di bello. Ma dal Bello al Sublime lo scarto è breve.

 

È sufficiente valicare la porta e immergersi nell’oscurità ovattata della seconda sala.

Sei maxi-schermi pervadono lo spazio. Il magenta diventa melenso. Poi claustrofobico. Richard e i suoi collaboratori Trevor Tweeten e Ben Frost convivono per due anni con la guerriglia congolese. “Giornalisti” infiltrati in un paese disorganizzato, dove la guerra è essa stessa disorganizzata e disordinata: non c’è un centro, i gruppi di dissidenti si moltiplicano. Così l’installazione proposta. Gli schermi non presentano il video in maniera sincrona e lineare. Diacronici e simultanei, i frammenti di queste riprese raccontano capitoli di questa tragedia. Generando un ambiente immersivo e circolare dove vita e morte si sfiorano, dove per un bambino che nasce un uomo viene freddato, dove un bambino danza compiaciuto davanti la telecamera a pochi passi da un uomo riverso, un senza nome col volto tumefatto.

 

Solo una delle cinque milioni di vittime di questa guerra invisibile. In un ambiente saturo di pericolo, dolore, pervaso da un senso di delightful horror il magenta declinato tono su tono conferisce passione e vitalità a corpi trucidati brutalmente, in un macabro do ut des tra sensualità e ragione, estetica ed etica.

 

Tutte le foto © Richard Mosse, tratte "The Enclave", girato a colori su pellicola a infrarossi 16mm, Congo Orientale, 2012. Courtesy l'Artista, Jack Shainman Gallery, New York

 

sito ufficiale

 

 

biennale arte 2013

il palazzo enciclopedico
01 giugno > 24 novembre 2013