Wolfgang Amadeus Mozart Missa in honorem SS.mae Trinitatis KV 167,
per coro e orchestra
Ralph Vaughan Williams Toward the Unknown Region, per coro e
orchestra
Wolfgang Amadeus Mozart Sinfonia n. 15 in sol maggiore KV 124;
Concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore KV 622
Clarinetto: Andrew Marriner.
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice.
Direttore del Coro: Emanuela Di Pietro.
Una serata caratterizzata da una piacevole anomalia e da un'inattesa
sorpresa: Sir Neville Marriner, direttore d'orchestra che ha infinitamente
percorso le strade della creatività di W. A. Mozart, pone al centro della
sua e nostra attenzione una composizione inglese, risalente esattamente a un
secolo fa: "Toward the Unknown Region", brano per coro e orchestra di Ralph
Vaughan Williams, presentata a Leeds nel 1907, ma completata nel periodo
1904-06.
è sorprendente come
l'ottimismo laico e l'afflato quasi mistico di Vaughan (i termini non sono
in contrapposizione) riescano a conquistare la scena nei 25 minuti scarsi
dell'esecuzione, al punto che valgono ancora oggi le parole del "Times" a
commento della prima esecuzione pubblica: "Il brano termina con un'esplosione
isterica di musica, un'apoteosi di forza muscolare. Il
compositore (un esordiente assoluto, N.d.R.) è già un maestro nel
riuscire a sovrapporre vari livelli di climax e nel condurre sempre
"oltre il limite" le nostre sensazioni e i nostri sentimenti".
Ralph Vaughan Williams
L'autore è oggi considerato al pari, se non maggiore, del connazionale
Elgar, troppo ancorato a schemi germanici, e deve la sua unicità alla
riscoperta di un patrimonio prettamente anglosassone, fatto di folk-songs
poi rieditate anche grazie al suo contributo.
"Toward the Unknown Region" mette in campo al meglio - e Marriner lo
sottolinea con partecipato vigore - il centro artistico della
peculiarità vaughaniana: colore orchestrale quasi mahleriano, accenni modali
e più generale messa in crisi, qua e là, di un approccio tonale, al punto da
far pensare ai tre mesi in cui studiò a Parigi con Ravel.
Ravel
Non siamo proprio dalle parti delle dissonanze della sua "Quarta Sinfonia",
ma il terreno su cui gioca Vaughan è senza dubbio quello di una
contaminazione consapevole tra campi di sperimentazione assai lontani fra
loro.
Assistiamo, alla Fenice, al curioso accostamento con la "Missa in honorem
SS.mae Trinitatis, in do maggiore, opera KV 167" di Mozart.
Unico elemento in comune: il coro.
Quello di R.W. Vaughan canta un testo di Walt Whitman, alla lettura del
quale il compositore inglese (pronipote di Charles Darwin !) era stato
introdotto nientemeno che da Bertrand Russell.
è probabile che discendenze,
frequentazioni e sodalità così varie siano state fondamentali nel formarne
il talento polimorfo, comunque saldamente ancorato a un ottimismo da inizio
secolo, seppur con serie basi scientifico-filosofiche.
Toward the Unknown
Region
L'agnostico americano Whitman fornisce materiali adeguati a Vaughan, con la
sua visione oltre la vita di "Toward the Unknown Region", un
coloratissimo canto laico sul ricongiungimento cosmico di Anima, Tempo e
Spazio tratto dalle "Leaves of Grass", cui molti altri attinsero all'epoca.
Sir Marriner, dal canto suo, segue il filo vaughaniano dentro la foresta
sonora di rubati e fortissimi, portando il Coro della Fenice
ad esplodere nei ripetuti "O Joy!", "O Soul!" del testo, sino a quello,
brutale, del Finale, che sembra trascendere ogni limite umano o metafisico
che sia.
La sensazione di englishness compositiva ed esecutiva, fatta salva la
natura trasversalmente europea della cultura e dello stile di
Vaughan, rimane peraltro intatta.
Wolfgang Amadeus Mozart
La "Missa KV 167" aveva iniziato il programma della serata della Fenice in
maniera completamente differente: un coro senza soli posto al
servizio di una forma compositiva (la "messa", appunto) assai "limitata" da
canoni di per sè già vincolanti e qui declinata dal diciassettenne Mozart in
una versione capace di produrne un'incredibile sintesi tematica.
Colpa, o merito, del conte e arcivescovo di Salisburgo Hieronymus Colloredo,
nemico di ogni frivolezza e complessità strutturale e "nemico" del povero
wunderkind,
costretto a virtuosismi di ogni tipo per far stare tutto entro i pochi
minuti concessigli dal committente, insediatosi nel 1772 e smanioso di
gloria terrena.
Colloredo
Marriner asseconda tale esigenza, esponendo una teoria di
micro-sinfonie già vicinissime alla perfezione formale del primo tempo di
sonata (si vedano il "Kyrie" e il "Gloria"), dove, a dispetto dei tempi
ristretti, la ricca orchestrazione - più timbricamente che numericamente -
riesce splendidamente a rendere esplicita la stesura compositiva del genio
adolescente.
Mancano le viole, è vero, e Marriner sollecita le quattro trombe a
conquistare il proscenio sonoro, contribuendo, insieme alla tonalità in do
maggiore, a restituire il tono trionfante richiesto da Colloredo, che sarà
stato pur nemico delle frivolezze compositive, ma si ritrovò con una Messa
ricca di temi da opera buffa.
Lamentandosi con Padre Martini, suo "maestro" durante uno dei primi viaggi
italiani, Mozart ricorderà l'esperienza della "Missa" ("La nostra musica
sacra è molto diversa da quella italiana"), rimarcando in particolar modo la
necessità di comprimere i singoli segmenti, dal "Kyrie" all'"Agnus Dei", in
poco più di mezz'ora ("e dobbiamo riuscire ad avere le trombe, i timpani e
quant'altro").
Eppure, nonostante il rondò del "Credo" e nonostante alcuni fugati -
"Et vitam venturi", etc - che avranno fatto storcere il naso a Colloredo, la
creatività mozartiana soffre per l'immane sforzo, intrappolata in un
perfetto sistema privo di contrasti e di ombre: Marriner, un genio e un
maestro nel definire il giusto equilibrio orchestrale - anche grazie alla
sua esperienza con le numericamente variabili ensembles dell'Academy - non
esce dal sistema e dall'equilibrio del brano, sotto nessun punto di
vista.
Non può e giustamente non vuole dire quello che la "Missa" non potrà
mai dire (pathos, dramma) e anche in questo suo amore totalizzante per
Mozart sta la ragione di un'esecuzione che non può esaltare il pubblico.
Insomma: chi si confronta con una specie di oggetto chiuso in se stesso
perché "troppo perfetto", come è questo luogo di primigenia e straordinaria
sperimentazione compositiva di temi esposti e continuamente ritornanti
(verrebbe da dire : all'infinito), non può destrutturarlo per imporvi il
proprio marchio, poiché il nesso della questione interpretativa sta altrove
e forse neanche Gardiner sarebbe in grado di produrre esiti troppo diversi
da quelli del fondatore dell'"Academy of St. Martin-in-the-Fields".
A margine di ciò è da rimarcare come il coro - già a livello di concezione,
sia chiaro - venga tenuto ai margini dell'insieme strumentale.
Splendidamente concepita e condotta la seconda parte della serata,
interamente mozartiana: se la prima aveva come "filo rosso" esclusivamente
la presenza del coro, qui siamo nei territori del puro omaggio al genio,
poiché si mettono in relazione esordi e fine carriera, sperimentazione
attorno alla forma sinfonica e assoluto dominio del dialogo tra solista e
orchestra nella forma-concerto.
Si inizia con la "Sinfonia n.15 in sol maggiore KV 124" del 1772.
Il giovane Amadeus, qui addirittura sedicenne e appena adattatosi con non
poche difficoltà al nuovo status quo cittadino determinato dall'avvento del
Von Paula (Colloredo), si trova tra l'incudine dell'arcivescovo e il
martello del padre: produrrà anche tre sinfonie in un mese, oltre a vari
"Divertimenti per archi", ma soprattutto è impegnato a raggiungere lo status
di Konzertmeister, che in agosto gli garantirà una certa stabilità
economica.
La "KV 124" è terminata il 21 febbraio e ci permette, nel diretto e
immediato confronto con la "KV 167" ascoltata poco prima, di capire quanto
fosse cresciuta, in soli dodici mesi, la padronanza mozartiana nel
rapportarsi alla forma sinfonica, qui esplicita e là criptata
all'interno della "Missa" solemnis.
Eppure, nonostante le critiche del tempo, che stigmatizzavano l'eccessiva
precocità compositiva del salisburghese, considerato ancora principalmente
uno strumentista, la sinfonietta gode qui, nella lettura di Marriner, di una
leggerezza interpretativa ed esecutiva che non era stato possibile
rintracciare nella peraltro agile messa.
Sentori di opera buffa, ancora una volta, contribuiscono alla godibilità del
tutto, che non è ancora strutturato come lo sarà un anno più tardi ("Mozart
non strutturato" è un chiaro ossimoro) e comunque più libero di assimilare
influenze italiane e una cantabilità del tema breve che il direttore
d'orchestra inglese enuncia con tocco impalpabile e brio sublime.
Il lirismo puro è, forse, il terreno all'interno del quale Marriner rende al
meglio. Ogni sua lettura risulta scevra da approcci gratuitamente
intellettualistici o che prendano ideologicamente le distanze dal materiale
musicale a disposizione, ridotto a oggetto d'indagine, filologica o meno che
sia.
Wolfgang Amadeus Mozart: KV 622
Il maestro dell'Academy of St. Martin-in-the-fields riesce a toccare
altissime vette interpretative, infatti, laddove la forza espressiva della
partitura e il carattere strumentale sono tali da definire
pienamente, e in un certo senso autonomamente, la profondità dei
piani musicali e le sfumature del canto.
Con l'ultimo concerto scritto a ridosso del "Requiem" (ottobre del 1791),
Mozart lascia andare la propria scrittura ad una sorta di palingenesi del
suono strumentale, quasi una reinvenzione di timbri e dinamiche del
clarinetto, che all'epoca non aveva ancora una collocazione precisa in
ambito solistico né era stato esplorato in termini di registri.
Neville Marriner assiste a questa epifania, anzi contribuisce nel modo
migliore al disvelamento che ne consegue, mettendo l'orchestra al servizio
del solo e sè stesso, in apparente contraddizione, in posizione di
moderazione di ogni gratuità virtuosistica.
In certi brevi segmenti è Mozart stesso a trattenere lo strumento entro
figurazioni di semplice accompagnamento coi bassi.
Altrove, il dialogo tra il direttore e il solista (il figlio Andrew) sarà
anche garanzia per la definizione di ciascuna coloratura, con alternanza di
controllo e abbandono emotivo, laddove siano state predisposte agilità
sinuose o cantabili, durante uno dei quali il pubblico trattiene il fiato.
Ciò che ne consegue è la magia di un suono che va (ri)costruendosi durante
l'esecuzione - e qui è accaduto - e che, oltre alla nostra attenzione,
attrae il resto dell'apparato orchestrale, risucchiandolo, condensandolo,
fino a farlo scomparire, nel recitar cantando di un esile strumento che crea
spazio attorno a sè e in alcune occasioni opera sospensioni del tempo.
Il procedere estatico è matrice di una assoluta e anomala godibilità
dell'intero concerto, nonostante l'ampiezza compositiva, e impone il segno
di una serenità solo raramente meditabonda, priva di vere zone d'ombra, e in
definitiva lontana dal "Requiem" quanto è vicina a "La clemenza di Tito" e a
zone dello "Zauberflote".
Venezia, 08:07:2006
NOTE
Sir Neville Marriner dirige Coro e Orchestra
del Teatro La Fenice in un concerto dedicato a musiche di Mozart e Vaughan
Williams
Quattordicesimo e penultimo appuntamento con la Stagione sinfonica 2005-2006
«Stili e interpreti» sabato 8 luglio 2006 alle ore 20.00 al Teatro La Fenice
(turno S). Sir Neville Marriner, storico fondatore dell’Academy of St.
Martin in the Fields, dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice in
un programma quasi interamente dedicato a Mozart, suo autore di
predilezione. Nella prima parte del programma, che vedrà impegnato anche il
Coro diretto da Emanuela di Pietro, Marriner proporrà la Missa in honorem
SS.mae Trinitatis in do maggiore KV 167 e, omaggio alle sue origini inglesi,
il «song for chorus and orchestra» Toward the Unknown Region di Ralph
Vaughan Williams, su testo di Walt Whitman. La seconda parte prevede invece
l’esecuzione di due brani esclusivamente strumentali, appartenenti l’uno
alla produzione giovanile, l’altro a quella estrema del genio salisburghese:
la Sinfonia n. 15 in sol maggiore KV 124 (nei quattro tempi Allegro,
Andante, Menuetto e Presto) e il Concerto per clarinetto e orchestra in la
maggiore KV 622 (Allegro, Adagio e Rondo) composto nell’ottobre del 1791,
due mesi prima della morte. Al clarinetto Andrew Marriner, provetto solista
nonché figlio di Sir Neville.
Il concerto sarà replicato domenica 9 luglio alle ore 11.00 a sostegno
dell’Associazione ABO (per l’Applicazione delle Biotecnologie in Oncologia),
cui sarà devoluto l’incasso.
La Messa KV 167, composta a Salisburgo nel 1773 per la festa della
Santissima Trinità, è l’unica scritta da Mozart per coro e orchestra, senza
soli. La composizione, fra i più bei lavori giovanili di Mozart, rispecchia
le rigorose prescrizioni del conte Colloredo, eletto un anno prima
arcivescovo di Salisburgo: è solenne nella strumentazione, ma breve nella
durata, imposizione che obbligò il giovane Mozart a un notevole e
riuscitissimo sforzo di unità formale.
Presentato al Festival di Leeds nel 1907, Toward the Unknown Region
appartiene alla produzione giovanile di Vaughan Williams, che rivelò come
personalità di punta della sua generazione. Il testo del poeta americano
Walt Whitman, delicata e vertiginosa riflessione sullo sconosciuto infinito
che si apre all’uomo dopo la morte, è intonato da Vaughan Williams con ritmo
semplice e fluido e melodicità corale ininterrotta ed eloquente.
La sinfonia KV 124, composta nel febbraio del 1772, è una delle 8 sinfonie
scritte dal giovane Mozart a Salisburgo nei mesi intercorsi tra il secondo e
il terzo viaggio in Italia, segnati dalle commissioni milanesi del Mitridate
KV 87 e del Lucio Silla KV 135 (recentemente ascoltato alla Fenice
nell’ambito della stagione lirica). Tanto in questo lavoro quanto nella di
poco successiva sinfonia del Lucio Silla è evidente la coesistenza nello
stile del sedicenne Mozart di influenze italiane e di un più denso
linguaggio sinfonico di origine austro-tedesca.
Il Concerto per clarinetto KV 622, composto a Vienna per il clarinettista
Anton Stadler, è l’ultimo concerto scritto da Mozart, fra Die Zauberflöte KV
620 e il Requiem KV 626. La levigatezza della scrittura orchestrale e
timbrica, le ampie dimensioni dei singoli movimenti, la densità
contrappuntistica e la stupefacente sensibilità melodica e cromatica, tutti
caratteri tipici dell’ultimo Mozart, si accompagnano a una straordinaria
conoscenza dello strumento, di cui Mozart sfrutta con efficacia i vari
registri, dando modo all’esecutore di dimostrare le proprie capacità nel
cantabile più spiegato come nei passi più impervi di agilità.
NOTE BIOGRAFICHE
SIR NEVILLE MARRINER
Dopo aver iniziato la carriera musicale come violinista in formazioni
cameristiche e presso la London Symphony Orchestra, fonda nel 1959 l’Academy
of St. Martin in the Fields di cui è inizialmente primo violino e
Konzertmeister. Studia nel frattempo direzione d’orchestra con Pierre
Monteux e nel 1969 si afferma a livello internazionale come direttore
principale della Los Angeles Chamber Orchestra (fino al 1979), e in seguito
della Minnesota Orchestra e dell’Orchestra della Radio di Stoccarda.
Prosegue intanto un’intensa attività concertistica e discografica con
l’Academy of St. Martin-in-the-Fields, e debutta in campo operistico con Le
nozze di Figaro al Festival di Aix-en-Provence. Ospite regolare di alcune
fra le orchestra sinfoniche più prestigiose d’Europa, Stati Uniti ed Asia, è
stato direttore musicale ed artistico della colonna sonora del film Amadeus.
Insignito del titolo di baronetto e dell’Ordre des Arts et Lettres del
Ministero della Cultura francese, nel 1994 ha ottenuto con l’Academy of St.
Martin-in-the-Fields il Queen’s Award for Export Achievement. Ha tenuto
numerosi concerti al Teatro La Fenice.
ANDREW MARRINER
Attivo come solista e come camerista in Europa ed Australia, è primo
clarinetto della London Symphony e dell’Academy of St Martin in the Fields.
Ha suonato più volte come clarinetto solista con direttori quali Sir Colin
Davis, Mstislav Rostropovich, Michael Tilson Thomas, André Previn, Richard
Hickox e Leonard Bernstein, oltre che con il padre Sir Neville Marriner. Ha
collaborato con diversi ensemble da camera, tra cui l’Albion Ensemble,
l’Academy Chamber Ensemble ed i quartetti d’archi Chilingirian, Lindsay,
Endellion, Moscow, Warsaw, Orlando, Sine Nomine e Alberni. Ha collaborato
con artisti quali András Schiff, Lynn Harrell, Sandor Vegh, George Malcolm e
Vlado Perlemuter. Ha suonato prime mondiali di lavori scritti appositamente
per lui da John Tavener, Robin Holloway e Dominic Muldowney. Ha suonato il
Concerto KV 622 con la London Symphony diretta da Antonio Pappano e, nel
corso di una tournée in Italia, alla Scala di Milano diretto da Sir Colin
Davis.
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