57.mo festival di berlino
Berlino, 08 - 18 Febbraio 2007

 

l'anno scorso a berlino

 

di Suzanne Teichman

Storia di truffe e di imbroglioni
Die Fälscher/Il falsario 
 
Stefan Ruzowitzky avrebbe girato dieci anni fa Die Fälscher. Il regista viennese di Anatomie e All the Queen's meN sorride, ribadendo con forza il suo desiderio di ribaltare i tabù dei campi di concentramento e raccontare, con toni leggeri, una storia in cui le vittime non sono né eroi né innocenti.
Die Fälscher, presentato oggi in Concorso alla Berlinale, ha offerto alla stampa accorsa in massa (tanto da richiedere una proiezione supplementare) un punto di vista alternativo sul periodo nazista.
Al centro della vicenda, tratta dalle memorie di Adolf Burger, è il "re della contraffazione" Salomon Sorowitsch, ebreo di Odessa che vive nella Berlino del '36 un'esistenza dorata tra truffe, gigolò e ragazze facili.

Dopo l'arresto, si trova costretto "quasi casualmente" a mettere al servizio della guerra la propria abilità di falsificatore, e a giocare tutto nella dura partita della sopravvivenza. 
"Questo è un film politico, aspettavo l'occasione per dire la mia su questo tema e finalmente l'ho avuta", sottolinea il regista. "In Austria abbiamo ancora dei leader politici vicini a disgustose posizioni del passato. Questo film non è una lezione di storia, ma tratta temi universali e parla della volontà di cambiare il mondo adattandosi ad esso, con lo sguardo di un artista".


L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Cineuropa.org

 
***
In memoria di me: un Cristo dostoevskiano affascina Berlino
In memoria di me
 
Incuriosita dal tema insolito e affascinata da una narrazione avvolgente e non scontata, la stampa ha accolto con favore in memoria di me, opera seconda di Saverio Costanzo, presentata questa mattina in Concorso ufficiale alla Berlinale.
Un film che ha letteralmente tenuto il pubblico incollato alle poltrone, grazie ad una storia, raccontata come un thriller, di tormenti interiori e ricerca di pace.

La pellicola, tratta dal romanzo "Il Gesuita Perfetto" di Furio Monicelli, narra l'ingresso "senza grande convinzione" dell'ambizioso Andrea in un noviziato di gesuiti a Venezia. Deciso ad ottenere il successo in un assoluto senza chiaroscuri, il giovane si trova presto ad affrontare un percorso straniante che pone quesiti a cui non aveva mai pensato. Un percorso che porta la ragione a scontrarsi con il bisogno d'amore, e che cita, nel finale dostoevskiano, il bacio di Cristo al Grande Inquisitore dei fratelli Karamazov. 
"Questo film parla della possibilità di fare silenzio e di ascoltarsi", ha detto il regista in conferenza stampa, "della ricerca dell'amore in se stessi. Non è un film 'cattolico', ma un film sul porsi delle domande. Il tabù maggiore è proprio questo: il non porsi domande". E continua: "Volevamo che il pubblico si identificasse con una storia normale, con persone normali vestiti con abiti civili. È un film profondamente radicato nei nostri tempi, che invita a non dimenticarsi dell'amore".

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Cineuropa.org
 
***
L'altra faccia del capitalismo
Yella
 
Un pubblico perplesso ha accolto l'ultima fatica di Christian Petzold, Yella, la cui proiezione in Concorso (e in anteprima mondiale) oggi al Berlinale Palast si è conclusa tra (pochi) applausi e qualche fischio.

Habitué della Berlinale, il regista, diplomatosi alla German Film & Television Academy nel 1994, ha già partecipato al festival con Wolfsburg (Panorama Special 2003) e Ghosts (Concorso ufficiale 2005), due storie centrate su personaggi in cerca di se stessi e di un ruolo nelle relazioni umane e nella società. 
Anche Yella, protagonista della sua nuova pellicola, cerca qualcosa. Fuggita dal villaggio natale, nella Germania dell'Est, e da un matrimonio fallito, la donna sembra trovare, inaspettatamente, una strada per soddisfare la propria divorante ambizione.
L'incontro con un giovane executive della finanza, serio e determinato, la convince a intraprendere un percorso che potrebbe portarla finalmente alla vetta. Ma il passato si ripresenta proprio quando Yella è a un passo dalla gloria. 
"Lavoro spesso su personaggio presuntuosi, che hanno chiesto troppo e si ritrovano tagliati fuori, e costretti a modificare i loro piani, i loro intrighi, il loro lavoro per tornare in pista nella vita, nella società, nell'amore", dice Petzold. "L'est non riesce più a sostenere dignitosamente i suoi figli. La gente è costretta a partire, e a lasciarsi dietro fantasmi. Le cose che Yella lascia ad est tornano a galla, però, nella nuova vita occidentale, e la schiacciano".


L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Cineuropa.org


***
Il Mercato in movimento
Mercanti in fiera al Martin Gropius Bau: buyer e seller di tutto il mondo si incontrano nella nuova sede (da un anno a questa parte) del Mercato più vivace d'inverno.
 

Quasi unanime il coro di apprezzamento- un edificio incantevole, rilassato, lontano dal vocìo dei giornalisti di Potsdamer Platz-, alcune voci di insoddisfazione per una compravendita contratta, con affari, si dice, meno buoni che in passato.

Il cinema in Concorso non ha molto corso quest'anno, vincono le storie per ragazzi tra i consueti (e ricchi) partner nordeuropei, mentre si profila un (subitaneo e spiacevole) abbandono dei merchants inglesi, richiamati al dovere dall'assegnazione dei Bafta (i David di Donatello in chiave brit) in anticipo di un paio di settimane.

Segno dei tempi e della globalizzazione: gli eventi di tutto il mondo si intrecciano a vicenda, e si intralciano a vicenda.

Tra scambi e acquisti, l'Italia resta un mercato fertile ma ristretto- sicuro, almeno, l'arrivo di Anti-Christ, il nuovo film di Lars Von Trier.

Il mercato è in movimento: meno di Cannes, di certo più del resto d'Europa.


L'articolo è stato pubblicato  anche sulla rivista Schermaglie.it
 
*******************************
 

O Berlino, o cara

 

Nella capitale della Grande Germania fa freddo, ma ancora senza neve.

Tutto è sempre socialdemocratico, ma meno degli altri anni: anche a Berlino arriva lo chic globalizzato, con rinnovato lusso dell'interior design (all'Hyatt hotel come al Berlinale Palast), feste, eventi ed effluvi di aragoste e tecnologia.

Qui il leit-motif di sempre è, per partito preso, understament: un festival del dimesso e del sottotono grigio, del grigio-cappotto di un agente della Stasi.

Parola d'ordine del sabato è nascondersi, truffare, fregare l'altro ad ogni costo. Perdendo la famiglia e gli affetti in cambio dello Stato (come in The good sheperd di Bob de Niro, filmone all star sulla nascita della CIA), cedendo le ideologie e l'onore in cambio di una prigione dorata nei campi di sterminio (l'attesa commedia drammatica Die Fälscher, dell'austriaco Stefan Ruzowitzky).

 

Anche la Berlinale, per non restare indietro, ci ha fregati. Il casellario della stampa, (ah, l'amico casier) quest'anno non c'è più.

 

O Berlino, o cara...


L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it
 

***

Concorso

Diari di donne perdute

 

"I personaggi principali di questo film sono complicati, contraddittori, pieni di problemi e in qualche modo sgradevoli, ma speravamo, anzi ci auguravamo che le attrici li rendessero piacevoli al pubblico".

Così Patrick Marber, sceneggiatore di Diario di uno scandalo, racconta la genesi di un film che, allo scottante e attualissimo tema delle relazioni "scandalose" tra insegnanti e alunni, unisce anche quello delle ossessioni, mantenendo però i toni della commedia.

Tratto dal romanzo bestseller What Was She Thinking di Zoe Heller, il film di Richard Eyre racconta la nascita e la fine dell'amicizia fra Barbara (Judy Dench), insegnante sola e amareggiata, e Sheba (Cate Blanchett), nuova professoressa di arte in una piccola scuola di provincia.

La scoperta della relazione di Sheba con uno studente quindicenne sembra essere la chiave per un ricatto affettivo di cui Barbara tiene nota nei suoi diari, ma le sue richieste diventano presto così pressanti da condurre, inevitabilmente, alla catastrofe.

Uscito il 2 febbraio nel Regno Unito in 350 copie per 20th Century Fox, e candidato a quattro premi Oscar (fra i quali quello alla Migliore Attrice Protagonista e alla Migliore Attrice non protagonista), Diario di uno scandalo è stato presentato fuori Concorso alla Berlinale.

 

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it


***
Lo specchio (infranto) della vita
 

Eppure, sebbene lontana dai fasti passati, Berlino ha saputo raccontare, con un programma convulso e ripiegato su se stesso, frammenti di una vita cinematografica 2006-2007.L'analisi di quello che è passato sugli schermi non può non partire dai trionfatori della 57ma edizione della kermesse più liberal (almeno sulla carta) del panorama internazionale.
Lo scollamento, già accennato, tra arte ed industria, volontà e potere, ideale e reale, si è fatto ancora più evidente nell'incoronazione del suo sovrano� un Re per una notte. 
Il cinese Tu ya de hun shi (Tuya's Marriage) di Wang Quan (Orso d'Oro), non è disprezzabile e sicuramente non malvagio; altrettanto sicuramente, non il più applaudito, e non il più amato.
Come tradizione vuole anche in un festival che si pone come aim of the game la rottura degli schemi tradizionali, è impegnato, innamorato di se stesso e, nello stesso tempo, in bilico tra banalità assoluta ed eccellenza creativa.
Le caratteristiche del film di Quan, d'altra parte, sono simili� in diverse modalità e diversa qualità� a quelle di altri premiati: il meschino Yella di Christian Petzold (Wolfsburg e Gespenster), l'inquieto El otro di Ariel Rotter, il didattico Beaufort di Joseph Cedar, il pomposo The Good Shepherd di Robert De Niro.
Tutti ugualmente egocentrici, ugualmente carichi di incertezze, domande e vuoti esistenziali costretti all'autarchia: come se le risposte (i pieni, insomma), fossero ormai inutili o inservibili per descrivere il mondo circostante, perché l'unico a contare è, in fin dei conti, soltanto quello interiore.
 
Lo specchio infranto della vita (cinematografica), del Concorso come della più riuscita sezione collaterale Panorama, è il vuoto, l'assenza che implica la ricerca, e il dubbio radicato che si basta e non chiede altro né per essere, né per essere definito.
Un simbolo, affascinante e rischioso, di un festival in cerca (forse neanche coscientemente)
di una diversa identità, legata mani e piedi ad un sano senso teutonico della lega mercantile eppure distante, per vocazione ed esperienza, dalla mondanità del Marché.
Un festival affascinante anche se nel presente arranca sul futuro, è calato poi il silenzio.

L'articolo è stato pubblicato a febbraio sulla rivista Schermaglie.it
 

***
Arte, mercato
 

È significativo notare un preciso segno dei tempi: lo scollamento, sempre più contratto e definitivo, tra arte e industria.
Ma se Atene piange, stavolta, Sparta ride, e di gusto.
La stampa lamenta la scarsa qualità delle pellicole, l'assenza di un filo conduttore, un plateau di ospiti sguarnito e eventi cinefili in ribasso; il pubblico casalingo la scarsità di biglietti e lunghissime code; l'industry loda l'ottima gestione del nuovissimo European Film Market, da due anni al Martin Gropius Bau, come spazio vitale e propulsivo in grado di sostituire l'imploso MIFED.
L'EFM ha attirato quest'anno, grazie alla sua centralità geografica e ad una brillante posizione sui calendari festivalieri, un numero rilevante di buyer e rivenditori europei, americani e giapponesi, pronti a rimpinguare casse e line-up di pellicole da lanciare (con adeguata promozione e perfetto timing) al Marché di Cannes, e fatto segnare cifre record negli scambi.
Oltre a quelli inseriti nelle proiezioni riservate, sono andati bene molti film delle sezioni collaterali, con qualche riserva in più (tra blande polemiche e qualche cassandra) nei confronti dei titoli in Concorso, incapaci, tranne rare eccezioni, di convincere all'acquisto.
La responsabilità, dicono i mercanti in fiera, è da attribuire all'eccessivo numero di festival in tutto il mondo, e di mercatini; allo scarso livello di attenzione da parte dei buyer internazionali nei confronti dell'essai non ascritto a tendenze (leggi indie à la Sundance), ed del loro sempre più assolutistico monopolio sul gusto degli altri (leggi il pubblico).
 

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it
 

***

Passaggio a Berlino
 
Un mese dopo Berlino (ed uno e poco più prima di Cannes), il mercato del cinema fa il bilancio (indicativo, per qualità e quantità) dei primi segnali di un cambiamento.
Poco da dire: la Berlinale 2007 non ha certo saputo stupire pubblico e critica con effetti speciali; dismesso (a tutti gli effetti pratici) l'impegno socio-politico  rimasto, in effige, ad adornare le motivazioni degli Orsi�, il festival ha imboccato una strada ambigua e discussa.

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it

***
Arrivederci, Bafani

 

Tecnicamente si chiama "la maledizione di Iwo Jima", e colpisce chiunque, inopinatamente, cerchi di allontanarsi dalla proiezione (dello stesso) in corso.

Sei i giornalisti (letteralmente) caduti sui gradini dell'ultima fila del CinemaXx7 di Berlino - ribattezzata per l'occasione Monte Suribachi - a riprova del potere, oscuro e terribile, dell'altra parte dello specchio di Flags of our fathers.

Nevica a Berlino, ma Clint Eastwood se ne frega, mentre, incanutito ma sempre affascinante, dispensa in conferenza stampa perle di saggezza e battute di spirito mai lessate dal tempo.

Lessato dal tempo, dai voli transcontinentali e da qualche peperonata di troppo, passa invece Bille August con la sua Bafana. Tra qualche applauso politicamente corretto, una generale indifferenza e gli sbadigli delle grandi occasioni. I regali della calza, quest'anno, sono pochi per tutti.

 

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it
 
***
Ma voi in Italia fate ancora queste cose

 

"Senta, questa storia del noviziato è anacronistica. Ma voi, in Italia, fate ancora queste cose?". La stampa presente alla Berlinale non è certo quella dei maxi-eventi dello stardome, ma molto interessata.

La post-visione (mai termine fu più adatto) di In memoria di me di Saverio Costanzo, proiettato stamattina in Concorso, scatena domande e curiosità come una confessione di un George Clooney di una notte d'amore con il suo (defunto) maiale.

E con una certa va ammesso deferenza, una forma di discrezione simile a chi è stato invitato a casa di uno zio ricco: non tocchiamo niente, che se poi si rompe qualcosa che raccontiamo. 

Va dato merito a Costanzo, oltre che del bel film, di aver invitato i giornalisti di mezza Europa (no, non è vero, sono quasi tutti tedeschi e italiani) alla riflessione, e per giunta su un tema difficile e culturalmente diverso come quello della vocazione.

Tra gli astanti, c'è chi cita Lutero, chi prende appunti sul tema del Grande Inquisitore, chi ha visioni mistiche, chi si pente dei propri peccati, chi si soffia il naso. 

La verità che nessuno ha voglia di andare a raccontare al critico tedesco è che sì, in Italia certe cose le facciamo ancora.

 

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it
 
***
L'Ombra del potere di Robert de Niro
 

Per L'Ombra del potere/The good shepherd, suo ritorno registico a quattordici anni dall'autobiografico Bronx, e presentato in Concorso alla Berlinale, De Niro sceglie un tema profondamente americano come la creazione dell'Agenzia di contro-spionaggio CIA.Una evoluzione interessante nel percorso umano e artistico di De Niro, una sorta di passaggio, quasi metafisico, da giovane italo-americano sradicato (come sradicati sono i suoi personaggi migliori) al "generale" Bill Sullivan (ispirato a Bill Donovan, capo dell'Ufficio dei Servizi Strategici), inserito in una società profondamente conservatrice e WASP della quale si erge a rappresentante: un altro "buon pastore" di anime.
Il buon pastore del titolo, invece, sacrifica, in nome dell'ambizione e di un incerto oggetto del desiderio- il "bene della Nazione"- la sua vita: la famiglia, l'amore, persino l'esistenza del figlio. Da giovane idealista, presto reclutato nella società massonica Skulls and Bones, a capo della CIA, Edward Wilson (ovvero James Jesus Angleton, a capo del servizio contro-spionistico della Central Intelligence Agency dal 1954 al 1974) percorre la strada (rigidamente manichea nel lavoro come nel privato) della persecuzione del giusto, a tutti i costi.
La rigida tradizione hollywoodiana delle spy stories e della fantapolitica sembra però scontrarsi (in maniera, ancora, manichea) con l'opposta umanità delle vite spezzate che ruotano (e si infrangono sugli scogli) intorno ad Edward.
Una moglie mai amata, un primo amore abbandonato e ritrovato per caso, in una sola notte fuggitiva, un'amante che non si esita ad eliminare quando il gioco si fa troppo duro.
Soprannominato negli Stati Uniti "Il padrino degli spy-movies", L'Ombra del potere sfoggia un cast delle grandi occasioni, in un tripudio di star più o meno in parte, più o meno convinte.
Ancora una volta, a suo agio dentro le maglie del suo figlioccio appena nato, De Niro cita i suoi migliori ruoli da Bertolucci a Leone, affidando a Joe Pesci la battuta più significativa dell'intero film: "gli italiani hanno la chiesa e la famiglia, gli ebrei le loro tradizioni, gli irlandesi la loro madre patria, i neri la loro musica. Ma voi americani, cosa avete?".
La risposta, l'unica possibile, sarà "gli Stati Uniti": gli altri, tutti gli altri, sono solo turisti.

L'articolo è stato pubblicato anche sulla rivista Schermaglie.it
 

 

57.mo festival di berlino
Berlino, 08 - 18 Febbraio 2007