GOSFORD PARK
di Robert Altman
con Kristin Scott-Thomas, Maggie Smith e Emily Watson



Un giallo tradizionale anni trenta, un Mystery tra il comico ed il sociale, una satira di costume, un ritratto della netta divisione in classi dell'Inghilterra tra le due Guerre, ma soprattutto uno sguardo intenso sugli eventi dal punto di vista snobbato e, pertanto, singolare e paradossalmente elitario della servitù, di coloro che dal cantuccio in cui sono relegati osservano, ascoltano, comprendono.. prende, così, vita l'ultima fatica di Robert Altman che, costruendo tassello dopo tassello il suo progetto ambizioso di un film corale mai dispersivo e pieno di personalità, avvalendosi di un cast di autentiche glorie del cinema inglese da lasciare senza fiato anche gli estimatori dell'Ivory prima maniera e di E. M. Forster, mette alla berlina quei costumi che la storia decreterà anacronistici attraverso la narrazione, filtrata dagli abitanti del piano basso, del week-end di caccia di un gruppo di nobili in una vecchia e magnificente tenuta di campagna. Dapprima l'impressione è di trovarsi di fronte ad una sorta di contaminazione spiazzante: il regista americano e degli americani per eccellenza che si cimenta con la quintessenza della natura britannica non può non suggerire una chiave di interpretazione multi focale e perplessa di ciò che appare, la stessa scelta in base alla quale Altman affronta il giallo alla Agatha Christie per manipolarlo nella sua stessa radice sino a rendere la scoperta dell'assassino meno importante della motivazione per cui ha agito non è affatto priva di conseguenze. Anche la collocazione storica della vicenda, nel 1932, all'alba dell'ascesa di Hitler, in un'epoca già consapevole dell'orrore ma ancora innocente delle vittime dell'olocausto, manifesta la chiara volontà di non dare una colorazione di rilievo alle vicende esterne a Gosford Park per concentrare attenzione e sensazioni solo sui personaggi della storia narrata. Ed i protagonisti incarnano alla perfezione le maschere che il regista intende mettere sul palcoscenico e smembrare dinanzi agli occhi dello spettatore come una belva famelica di conoscere la realtà sotto il belletto. Ciò che risulta, alla fine, è un agrodolce commento sulle miserie umane che non risparmia nobili e servitori, ricchi, arricchiti e povera gente. L'infelicità e l'insoddisfazione sono le regine di vite tanto diverse e lontane quanto incredibilmente simili nei minimi termini della sopravvivenza: tutto il resto, che sia una battuta di caccia, che sia una cena di gala, un gioiello oppure una sigaretta fumata in segreto è solo il tentativo, triste in nuce, di riempire di qualcosa, di qualsiasi cosa, il vuoto profondissimo che ognuno si porta dentro. Sir William Cordle e sua moglie, Lady Sylvia, ricevono, nella loro tenuta di campagna, non solo un gruppo di illustri ospiti ma anche i servitori e valletti al loro seguito che andranno ad unirsi a quelli della casa i cui piani, dal seminterrato a quelli nobili, saranno riempiti, gli uni rigorosamente separati dagli altri, da vite completamente differenti, da anime soffocate ed ansiose, da presenze capaci di percepire i sussurri ed intendere il non detto… da esistenze isolate da convenzioni e pregiudizi che solo la morte, per qualche breve attimo, unirà anche in apparenza. I riti ed i cerimoniali di vestizioni e cene lasciano il gusto un po' amaro del piacere egoista così come l'assoluta cecità dei "signori"; di fronte a sofferenze e bisogni altrui lascia attoniti nella contemplazione di un mondo che sembra non meritasse di esistere. Ma tutto ciò non induca a pensare che Altman qui si limiti al solito quadro di "lotta di classe in un interno". Con lo spirito che l'ha reso un'autentica icona del Cinema, egli non si limita a tracciare una linea di demarcazione che connoti di colorazioni sempre più negative i suoi personaggi man mano che si salgono i gradini della villa di Gosford Park.. il suo occhio malizioso ed inesorabile scava nella personalità di tutti mostrando, senza decretare vincitori o vinti in virtù di tesi precostituite da dimostrare, come all'interno di ogni classe esista denso, ripiegato e nascosto, un microcosmo fatto di odi, rancori, arrivismo, snobbismo e gratuita crudeltà. Perfetti gli attori che Altman sceglie come i preziosi di un diadema: Maggie Smith, Kristin Scott Thomas, Michael Gambon tra gli aristocratici, Emily Watson, Kelly Mc Donald, Ryan Philippe tra i servitori. Ma, a sorpresa, spicca tra tutti un sornione ed accattivante Jeremy Northam che, pur rappresentando un personaggio di confine, un attore, una stella del Cinema che non appartiene veramente ad alcuno dei due mondi raffigurati, si ritaglia un posto al sole e conquista i galloni con la notevole performance canora che giustifica, da sola, l'intera scena dell'omicidio. Si tratta indiscutibilmente della trovata piu' saporita dell'intera pellicola. Altman immortala l'attimo col genio di chi sa che il tempo necessario ad animare i sogni di chi ascolta, non visto, la musica che viene dai piani alti è lo stesso sufficiente a sferrare una pugnalata mortale, lo stesso che basta a spegnere definitivamente un respiro. Uno dei migliori Altman dai tempi di M.A.S.H., dunque, che indaga con l'inconfondibile sagacia un mondo che non gli e`proprio ma che lo diventa attraverso una manipolazione energica ma rispettosa che restituisce allo spettatore, come lo stesso regista dice in conferenza stampa, non solo le tre dimensioni del reale ma la quarta di cui troppo spesso si fa a meno: la fantasia.

Voto: 28/30

Elisa SCHIANCHI
07 - 02 - 02


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