
Un giallo tradizionale anni trenta, un Mystery tra il comico ed il sociale,
una satira di costume, un ritratto della netta divisione in classi dell'Inghilterra
tra le due Guerre, ma soprattutto uno sguardo intenso sugli eventi dal
punto di vista snobbato e, pertanto, singolare e paradossalmente elitario
della servitù, di coloro che dal cantuccio in cui sono relegati
osservano, ascoltano, comprendono.. prende, così, vita l'ultima
fatica di Robert Altman che, costruendo tassello dopo tassello il suo
progetto ambizioso di un film corale mai dispersivo e pieno di personalità,
avvalendosi di un cast di autentiche glorie del cinema inglese da lasciare
senza fiato anche gli estimatori dell'Ivory prima maniera e di E. M. Forster,
mette alla berlina quei costumi che la storia decreterà anacronistici
attraverso la narrazione, filtrata dagli abitanti del piano basso, del
week-end di caccia di un gruppo di nobili in una vecchia e magnificente
tenuta di campagna. Dapprima l'impressione è di trovarsi di fronte
ad una sorta di contaminazione spiazzante: il regista americano e degli
americani per eccellenza che si cimenta con la quintessenza della natura
britannica non può non suggerire una chiave di interpretazione
multi focale e perplessa di ciò che appare, la stessa scelta in
base alla quale Altman affronta il giallo alla Agatha Christie per manipolarlo
nella sua stessa radice sino a rendere la scoperta dell'assassino meno
importante della motivazione per cui ha agito non è affatto priva
di conseguenze. Anche la collocazione storica della vicenda, nel 1932,
all'alba dell'ascesa di Hitler, in un'epoca già consapevole dell'orrore
ma ancora innocente delle vittime dell'olocausto, manifesta la chiara
volontà di non dare una colorazione di rilievo alle vicende esterne
a Gosford Park per concentrare attenzione e sensazioni solo sui personaggi
della storia narrata. Ed i protagonisti incarnano alla perfezione le maschere
che il regista intende mettere sul palcoscenico e smembrare dinanzi agli
occhi dello spettatore come una belva famelica di conoscere la realtà
sotto il belletto. Ciò che risulta, alla fine, è un agrodolce
commento sulle miserie umane che non risparmia nobili e servitori, ricchi,
arricchiti e povera gente. L'infelicità e l'insoddisfazione sono
le regine di vite tanto diverse e lontane quanto incredibilmente simili
nei minimi termini della sopravvivenza: tutto il resto, che sia una battuta
di caccia, che sia una cena di gala, un gioiello oppure una sigaretta
fumata in segreto è solo il tentativo, triste in nuce, di riempire
di qualcosa, di qualsiasi cosa, il vuoto profondissimo che ognuno si porta
dentro. Sir William Cordle e sua moglie, Lady Sylvia, ricevono, nella
loro tenuta di campagna, non solo un gruppo di illustri ospiti ma anche
i servitori e valletti al loro seguito che andranno ad unirsi a quelli
della casa i cui piani, dal seminterrato a quelli nobili, saranno riempiti,
gli uni rigorosamente separati dagli altri, da vite completamente differenti,
da anime soffocate ed ansiose, da presenze capaci di percepire i sussurri
ed intendere il non detto… da esistenze isolate da convenzioni e pregiudizi
che solo la morte, per qualche breve attimo, unirà anche in apparenza.
I riti ed i cerimoniali di vestizioni e cene lasciano il gusto un po'
amaro del piacere egoista così come l'assoluta cecità dei
"signori"; di fronte a sofferenze e bisogni altrui lascia attoniti
nella contemplazione di un mondo che sembra non meritasse di esistere.
Ma tutto ciò non induca a pensare che Altman qui si limiti al solito
quadro di "lotta di classe in un interno". Con lo spirito che
l'ha reso un'autentica icona del Cinema, egli non si limita a tracciare
una linea di demarcazione che connoti di colorazioni sempre più
negative i suoi personaggi man mano che si salgono i gradini della villa
di Gosford Park.. il suo occhio malizioso ed inesorabile scava nella personalità
di tutti mostrando, senza decretare vincitori o vinti in virtù
di tesi precostituite da dimostrare, come all'interno di ogni classe esista
denso, ripiegato e nascosto, un microcosmo fatto di odi, rancori, arrivismo,
snobbismo e gratuita crudeltà. Perfetti gli attori che Altman sceglie
come i preziosi di un diadema: Maggie Smith, Kristin Scott Thomas, Michael
Gambon tra gli aristocratici, Emily Watson, Kelly Mc Donald, Ryan Philippe
tra i servitori. Ma, a sorpresa, spicca tra tutti un sornione ed accattivante
Jeremy Northam che, pur rappresentando un personaggio di confine, un attore,
una stella del Cinema che non appartiene veramente ad alcuno dei due mondi
raffigurati, si ritaglia un posto al sole e conquista i galloni con la
notevole performance canora che giustifica, da sola, l'intera scena dell'omicidio.
Si tratta indiscutibilmente della trovata piu' saporita dell'intera pellicola.
Altman immortala l'attimo col genio di chi sa che il tempo necessario
ad animare i sogni di chi ascolta, non visto, la musica che viene dai
piani alti è lo stesso sufficiente a sferrare una pugnalata mortale,
lo stesso che basta a spegnere definitivamente un respiro. Uno dei migliori
Altman dai tempi di M.A.S.H., dunque, che indaga con l'inconfondibile
sagacia un mondo che non gli e`proprio ma che lo diventa attraverso una
manipolazione energica ma rispettosa che restituisce allo spettatore,
come lo stesso regista dice in conferenza stampa, non solo le tre dimensioni
del reale ma la quarta di cui troppo spesso si fa a meno: la fantasia.
Voto: 28/30
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