BERGAMO FILM MEETING XXVII
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Nove giornate di proiezioni divise tra l’Auditorium e il Cinema Capitol, 77 film, tre video-installazioni, 21 paesi rappresentati, e, soprattutto, un afflusso di oltre 25.000 spettatori. Questi i numeri del BERGAMO FILM MEETING (7-15 marzo), un bilancio più che positivo e dal sapore di vittoria contro la crisi economica e il clima di incertezza che, fin dall’inizio, hanno caratterizzato questa 27esima edizione. “Avremmo potuto ridurre i giorni di programmazione o il numero dei film presentati, ma ci sembrava una resa poco consona alle esigenze di qualità e di coerenza che sono state alla base delle ultime edizioni”, spiega il direttore Angelo Signorelli.“Bergamo Film Meeting ha così deciso di giocare il tutto e per tutto, dell’andare controcorrente. Non vogliamo lasciarci prendere dalla sfiducia, vogliamo dare, come sempre, al nostro pubblico un programma ricco, diversificato, stimolante, attento al nuovo e attraversato dalla bellezza del cinema classico”. Visto da lontano, la sfida maggiore per il Film Meeting, quella su cui giocherà la prossima edizione (6-14 marzo 2010), sembra proprio la ricerca di una ‘nuova identità’, che, accanto ai titoli di fiction, presenta nuovi lavori di cinema documentario e di arte contemporanea coinvolgendo i luoghi della città come l’Auditorium, la Porta di S.Agostino e l’Urban Center.
La MOSTRA CONCORSO ha proposto 7 film di recente produzione provenienti da Belgio, Argentina, Romania, Svizzera, Germania e Gran Bretagna realizzati da giovani registi alle prese con la loro prima o seconda regia. Il Primo Premio del BFM, assegnato sulla base delle preferenze espresse dal pubblico al termine della proiezione, è andato a CORDERO DE DIOS di Lucía Cedrón, una storia al femminile che narra di un incontro tra madre e figlia, due diverse generazioni costrette a confrontarsi con la Storia e i fantasmi della dittatura militare argentina degli anni ‘70. “’L’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo’ significa la redenzione, la vita dopo la morte, l’assoluzione, la possibilità di rinascere a nuova vita. Tutto questo rappresenta il nucleo centrale del film” , spiega Lucía Cedrón, figlia del cineasta Jorge scomparso nel 1980 per circostanze mai del tutto chiarite, e già vincitrice alla Berlinale dell’Orso d’argento con il corto EN AUSENCIA (2003). “Non ho certo voluto far un documentario su quello che mi è successo: quei fatti preferisco trattarli sul lettino di uno psicoanalista. Tornando all’autobiografia dico spesso, scherzando, di essere la figlia di Romeo e Giulietta perché la mia famiglia era una sorta di Capuleti e Montecchi argentini. Mio nonno materno era un economista di centro destra, sindaco di Buenos Aires ai tempi della dittatura militare, mentre mio padre era un cineasta che sosteneva il peronismo, un rivoluzionario di estrema sinistra”. Ambientato in Nicaragua, il Secondo Premio PLANET CARLOS di Andreas Kannengiesser, racconta la storia del piccolo Carlos, tredicenne che vive in una baraccopoli alla periferia di Leòn, mentre il Terzo Premio se lo dividono WELTSTADT di Christian Klandt, basato su un fatto di cronaca realmente accaduto nella provincia tedesca, con CEALALTA IRINA (L'altra Irina) di Andrej Gruznsnicki, ultima produzione della vitale cinematografia romena.
L’evento speciale ha visto al centro il cinema documentario con l’anteprima del film di Andrea Zambelli DI MADRE IN FIGLIA (2008), viaggio nella musica e la storia del gruppo delle mondine di Novi formato da venti donne ultra-ottantenni che in gioventù hanno realmente lavorato come mondine, e dalle loro figlie o nipoti che negli anni sono entrate nel coro. Prodotto da Davide Ferrario, il film racconta le radici di queste donne, che, andando in giro di festa in sagra, difendono un’idea del passato quanto mai attuale: il lavoro come lotta per la libertà. Dopo la proiezione, il festival ha visto l’esibizione live del coro di ex mondine ottantenni che hanno scatenato un tifo da stadio tra il pubblico dell’Auditorium, per concludersi poi all’interno del MEETING POINT allestito quest’anno al centro di Piazza Libertà.
Visto il successo raggiunto nella scorsa edizione, la sezione "Visti da Vicino" vera e propria finestra sul cinema no-fiction, è stata ampliata, arrivando quest’anno a presentare diciassette lavori. Da LA FIUMA: INCONTRI SUL PO E DINTORNI di Rossella Schillaci, viaggio attraverso storie di vita e leggende sul Grande Fiume, a PRIPYAT di Nicky Larkin (Irlanda), sulla città-fantasma dell'ex Unione Sovietica abbandonata dopo l'incidente di Chernobyl, l’interesse degli autori è sempre rivolto alle persone, alle situazioni particolari che vivono e alle relazioni con l’ambiente circostante. Nell’ambito del BFM si è svolta anche la presentazione di AVANTI!, progetto di distribuzione che punta a far circolare i documentari italiani attraverso cineforum e cineclub conferendo così maggiore visibilità al genere. Protagonista dell’incontro al Meeting Point è stato Luca Gasparini, filmaker bergamasco che ha presentato al pubblico della sua città USO IMPROPRIO, girato insieme ad Alberto Masi. Il film, nato dall’incontro di Gasparini con gli All Reds, la squadra dei ragazzi di Acrobax, centro sociale creato negli spazi occupati dell’ex Cinodromo di Roma, si sviluppa come una riflessione più generale sull’Italia di oggi, sul problema della casa e del lavoro precario, e soprattutto sulla violenza e sul suo rifiuto. “Quando abbiamo visto i primi materiali girati,” spiegano i produttori della Vivo Film, già distributori di IL MIO PAESE di Daniele Vicari e CONFINI D’EUROPA di Corso Salani “sullo schermo scorrevano le immagini a volte intime, sempre problematiche, ma anche divertenti, di un gruppo di ragazzi alle prese con i problemi della casa e del lavoro, con i risultati altalenanti della loro neonata squadra di rugby: un inedito racconto fuori da ogni schematismo militante. Poi… una brusca deviazione, il racconto della morte di Antonio e dell’assassinio di Renato… avvenimenti drammatici e feroci su cui pensiamo sia giusto, al di là del film, continuare a riflettere e a interrogarci”.
E del cinema documentario ha sottolineato l’importanza anche Claire Denis, raffinata regista francese pressoché invisibile sugli schermi italiani, a cui quest’anno il BFM ha dedicato la personale. Spirito irrequieto, fortemente influenzata dal cinema indipendente americano, la Denis ha così rievocato in un’intervista ai curatori Pier Maria Bocchi e Luca Malavasi il suo passaggio dietro alla macchina da presa durante la realizzazione del film PARIS, TEXAS: “Insomma, una cosa che capivo era: sono qui, nella terra del cinema, nel paese dei sogni, a guidare con Wim Wenders, ad ascoltare Bob Dylan (..) capii che quei paesaggi, specialmente di western, quei paesaggi della frontiera col Messico, della Louisiana, per me erano letteratura, erano Faulkner, erano simboli di qualcosa che avevo sempre sognato, e pensai: quale potrebbe essere il mio paesaggio personale? Parigi? Un posto della Francia che conosco? Ricordo il Camerun quando ero piccola, allora mi feci una promessa: che al termine del lavoro per “Paris, Texas”, avrei scritto un documentario sui paesaggi per me importanti. Questo documentario divenne l’inizio di “Chocolat”. La personale comprendeva i dieci lungometraggi realizzati da Claire Denis, dalle pellicole degli anni ’90 che l’hanno rivelata al pubblico internazionale J’AI PAS SOMMEIL (1994) e NENETTE ET BONI (1996, Pardo d’oro a Locarno) fino all’ultimo 35 RHUMS, tra i più applauditi alla Mostra di Venezia 2008 (vedi recensione su KMX). Molto interesse ha suscitato la prima retrospettiva organizzata in Italia sul grande regista inglese Carol Reed, realizzata in collaborazione con il British Film Institute e la Cineteca di Amburgo. Accanto ai capolavori nati dalla collaborazione con Graham Greene come L’IDOLO INFRANTO (1948), IL TERZO UOMO (1949), proiettato in serata d’apertura, e IL NOSTRO AGENTE ALL’AVANA (1959), il festival ha rivelato in particolare la sua produzione degli anni ’30 e ’40, periodo di grande attività in cui Reed realizzò opere notevoli, alcune mai viste nelle sale italiane, tra cui TALK OF THE DEVIL (1936), CLIMBING HIGH (1938) e A GIRL MUST LIVE (1939).
Ancora cinema classico con l’omaggio a Bette Davis, realizzato in collaborazione con il British Film Institute, ha consentito di rivedere sul grande schermo sette lungometraggi, tra cui FIGLIA DEL VENTO (1938) di William Wyler e L’ANIMA E IL VOLTO (1946) di Curtis Bernhardt, che rivelano la straordinaria versatilità dell’attrice americana nell’interpretare i più differenti ruoli femminili: sovrane e imperatrici, fedifraghe assassine, brutti anatroccoli in fase di riscatto esistenziale, dame dell’alta società e gemelle che spasimano per lo stesso uomo.
Novità di quest’edizione, la sezione "Frontiera Passaggi Metropolitani", organizzata in collaborazione con Associazione Millepiani e Gamec - Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, ha presentato 3 film degli anni ’70, che guardano alle diverse rivoluzioni sociali di quel periodo: LETTRE À LA PRISON di Marc Scialom (1969) che racconta Marsiglia attraverso una storia di immigrazione; in HARLAN COUNTY U.S.A. (1976, Premio Oscar per il miglior documentario) Barbara Kopple affronta il tema del lavoro, raccontando un duro sciopero di minatori; KILLER OF SHEEP del regista afro americano Charles Burnett (1977) mostra il ghetto nero di Watts a Los Angeles attraverso gli occhi di Stan, un operaio che lavora al macello.
La sezione dedicata alle arti visive, incentrata sul tema della metropoli, si è aperta alla Porta di S. Agostino con la video-installazione SOLITUDE AND COMPANY dell’inglese Hannah Collins, artista e filmaker interessata alle archeologie dello spazio urbano. Dan Perjovschi, artista romeno noto a livello internazionale, ha realizzato una serie di disegni guardando ai temi del lavoro, dell’immigrazione, dell’emarginazione e della globalizzazione, pubblicati in un giornale distribuito gratuitamente nei luoghi del festival. Nel nuovo Urban Center, presso la stazione delle autolinee di Bergamo, gli artisti Zhao Liang e Hassan Khan hanno scelto le città di Pechino e Il Cairo come luoghi di osservazione privilegiati per esplorare, attraverso il video, la relazione tra l’individuo e la metropoli. Nello spazio della Jade Art Gallery, il BFM ha ospitato la prima personale in Italia di Marcelino Stuhmer GET READY TO SHOOT YOURSELF, ispirata alla drammatica sequenza finale di THE LADY FROM SHANGAI di Orson Welles. La celebre sparatoria che si svolge nel labirinto degli specchi viene ricreata da Stuhmer attraverso una studiata relazione spaziale tra superfici dipinte e le tre sagome a grandezza naturale di Rita Hayworth/Elsa Bannister, Orson Welles/ Michael O'Hara e Everett Sloane/Arthur Bannister. La suggestione del labirinto degli specchi si chiude con una video proiezione accompagnata dalla colonna sonora, composta dall’artista in collaborazione con il dj Tad Murawska, che remixa i dialoghi, la musica e i rumori del film con un ritmo a tratti cadenzato e ossessivo. Sulle pareti dello spazio espositivo, alcuni dipinti che riprendono la sequenza precedente la sparatoria finale: un intenso primo piano di Rita Hayworth accanto ad un quadro dal titolo Arthur Bannister (as played by Gilles Deleuze), che raffigura un uomo con un soprabito grigio e un cappello di feltro, in piedi tra due specchi, la cui somiglianza con Arthur Bannister cela il ritratto di Gilles Deleuze, il filosofo che teorizzò la logica dell’immagine-cristallo attraverso il cinema di Orson Welles.
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BERGAMO FILM MEETING XXVII
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