Luxury Car
di Wang Chao
Cina/Francia, 2006, 88'
In Concorso

Un padre alla ricerca del figlio è la linea narrativa che conduce i
personaggi di Luxury Car in
un viaggio di speranza. Li Qi Ming, un insegnante ormai prossimo alla
pensione, arriva dalla campagna in città a Wuhan, dove lavora la figlia
Yanhong, per cercare notizie del figlio scomparso. La madre molto malata ha
espresso il desiderio di riabbracciare il suo ragazzo un’ultima volta prima
di morire. Yanhong, ad insaputa della famiglia, si guadagna da vivere
facendo l’intrattenitrice in un locale di karaoke, ed è la compagna del
proprietario, un boss della malavita locale. Per trovare gli indizi che
possano metterlo sulle tracce del figlio Li Qi Ming si fa aiutare da un
poliziotto, anch’egli vicino alla fine della sua carriera. I due
intraprendono le investigazioni affidandosi alla loro facile e spontanea
complicità. Nel frattempo Yanhong si destreggia tra violenti avventori del
locale e la cura dell’ospitalità del padre nell’appartamento in cui vive, e
che divide con una ragazza dai facili costumi.
I toni della pellicola sono moderati, fatta eccezione per l’ipnotica
ambientazione del locale dove lavora Yanhong, riempito da uno sfolgorante
mosaico di luci, in contrasto con il pessimismo vissuto dai personaggi. Il
racconto lineare si riempie di silenzi che assegnano all’espressività degli
sguardi il compito di tracciare la drammaticità del plot. Il film che viene
inserito nella corrente realista della cinematografia cinese è stato
premiato come Miglior Film alla sezione “Un certain regard” al Festival
di Cannes. La protagonista dotata di eloquente bellezza e vigore
comunicativo ha vinto all’Asian Film Festival di Roma il Premio come
Migliore Attrice.
Voto: 26/30
Pao’s Story
di Ngo Quang Hai
Vietnam, 2006, 98'
In Concorso

La vita di Pao, non è una vita facile. Pao è una ragazza di campagna che
vive a mezza giornata di cammino dal mercato. La sua esistenza così come
quella della sua famiglia è subordinata alla prosperità del raccolto dal
quale si può trarne di che sostentarsi non senza ore di faticoso lavoro. In
quei luoghi ameni e quasi incontaminati delle campagne del Vietnam lo scopo
primario di chi vi abita è la sopravvivenza. Il lungo flashback che copre
buona parte del film racconta i trascorsi vissuti dalla famiglia di Pao sin
da prima che lei nascesse. Il rapporto tra i genitori di Pao è stato messo
in crisi dal fatto che non riuscivano ad avere figli. Così il padre al
ritorno da un lungo viaggio conduce con sé una nuova compagna dalla quale ha
due figli: Pao che in quanto femmina non viene accolta dalla comunità con
grande entusiasmo, e Tal, il figlio maschio che garantendo la prosecuzione
della stirpe riconsegna al padre onore e dignità. Per un lungo periodo la
convivenza dei due piccoli insieme a due madri non è affatto facile. Da
quando la madre naturale se n’è andata Pao comincia a sentirne la mancanza,
rimanendo comunque profondamente legata alla madre che la ha allevata. Pao
decide di intraprendere un viaggio alla ricerca del suo passato per fare
luce sui propri sentimenti.
Il flashback può essere codificato come il richiamo della coscienza di Pao
che cerca nel viaggio in cui è impegnata il significato delle proprie colpe
e trova il modo per espiarle. Un percorso oltre che reale immaginario che
trasporta la protagonista fino alla piena consapevolezza di una esistenza
vissuta e da vivere con quella rassegnazione che in modo contraddittorio
restituisce la serenità. L’importante ruolo della fotografia nel film mette
in contrasto la quieta desolazione dei paesaggi in campo lungo con la
vivacità nel dettaglio dei colori del mercato. L’opera di Ngo Quang Hai è
stata decretata la miglior pellicola vietnamita dell’anno ed è candidata a
rappresentare il suo paese agli Oscar 2007 come Miglior Film straniero.
Voto: 27/30
The Great Yokai War
di Miike Takashi
Giappone, 2005, 124'
In Concorso

Chiudiamo gli occhi e proviamo a far esplodere dalla nostra fantasia una
sfilata di strane creature, di mostri orribilmente stravaganti, di
personaggi eccentrici mai incontrati prima.
è certo che il prodotto
creato dalle nostre menti non si sarà neppure avvicinato all’universo
immaginifico e sorprendente realizzato da Miike Takashi in Yôkai daisensô.
La favola che ci racconta Takashi, uno dei più prolifici registi del
Giappone (69 film in 15 anni), narra le vicissitudini di Tadashi, uno
spaurito ragazzino di un piccolo villaggio di campagna che durante i
festeggiamenti di una notte di folklore viene eletto Cavaliere Kirin.
Tadashi non è a conoscenza della leggenda e non sa ancora che il suo gracile
corpo avrà l’arduo compito di difendere la pace e la giustizia nel mondo. La
Spada magica gli donerà la forza per poter combattere il terribile
Yomotsumoto, il caporivolta di un gruppo di spaventose creature che sono il
risultato della rabbia che gli oggetti usati hanno sviluppato contro gli
esseri umani che li hanno abbandonati anzitempo per la loro inutilità. Al
fianco di Tadashi e del piccolo Sunekosouri, un animaletto sensibile e
fedele, si ritrova un assortito gruppo composto tra gli altri dalla Fata del
Fiume, da un contatore di fagioli e da una buffa tartaruga.
Il mondo fantasmagorico di Yôkai daisensô rappresenta l’eterna lotta tra il
bene e il male, e mette in scena il simbolismo orientale attraverso una
raffigurazione onirica colorata da fiabesche creature. Il fantasy-horror di
Takashi viaggia tra favola e videogame, con una fattura perlopiù artigianale
che lascia poco spazio, se non quello strettamente necessario alla computer
grafica.
Voto: 25/30
The Banquet
di Feng Xiaogang
Cina/Hong Kong, 2006, 131'

Noi siamo più abituati, o almeno lo eravamo, al genere cappa e spada, ma il
cinema orientale ci ha fatto conoscere il Wuxiapian, un genere che si
caratterizza per le ambientazioni lontane nel tempo con i costumi
dell’epoca, e soprattutto per i feroci duelli con scontri acrobatici in cui
gli sfidanti si esibiscono in voli da altezze inaccessibili ai normali
esseri umani, rimanendo sospesi come se il tempo scorresse in modo
rallentato. The Banquet è
senza dubbio una pellicola che appartiene a questo filone. La storia,
ambientata nella Cina del X secolo d.C., ai tempi delle Cinque Dinastie e
dei Dieci Regni, si sviluppa tra intrighi di Palazzo, vendette,
vicissitudini sentimentali e la lotta per la successione al potere. Dopo la
morte dell’imperatore il posto di regnante viene preso da Li, suo fratello
minore, che oltre al potere (o forse proprio perché adesso ce l’ha) vuole al
suo fianco la sensuale cognata, l’imperatrice Wan, la quale a sua volta ha
sempre avuto un debole per il figliastro Wu Lan che nel frattempo non
curandosi della politica si è dedicato alla musica e alla danza. Quando Wu
Lan viene a conoscenza del disegno messo a punto dello zio, che come
confermano le voci di palazzo ha assassinato il suo predecessore, vuole
vendicare la morte del padre uccidendo il nuovo imperatore. Nel frattempo la
vita sentimentale di Wu Lan è legata a doppio filo con la matrigna e con
Qingnii, la giovane figlia del Ciambellano da sempre innamorata di lui.
L’opera di Feng Xiaogang ha uno stile colossale con dei ritmi narrativi
molto dinamici riconducibili alla cinematografia occidentale. La fotografia
che esprime elegantemente il simbolismo legato ai colori ha un ruolo
predominante, e si dedica con devozione alla cura dei dettagli. L’elemento
coreografico, con un’espressione viva e armonica, permette di paragonare
alcune scene del film alla messa in scena di uno spettacolo lirico e fa sì
che nelle inquadrature si avviluppino lotte fascinose come danze, contornate
da drappi dalle tinte decise e musiche monumentali.
Voto: 28/30
Exiled
di Johnnie To
Hong Kong, 2006, 100'
In Concorso

Già nel titolo Exiled
dimostra l’isolamento dei protagonisti che sembrano muoversi in un
non-luogo. Una città che sin dalle prime inquadrature si presenta deserta,
ospita i membri di un gruppo di malavitosi che a causa dei vari
avvicendamenti al comando delle organizzazioni criminali di Macao nel 1998
si ritrovano l’uno contro l’altro. Il capro espiatorio delle dispute è Wo,
uno della gang che ha deciso di dire addio al crimine per dedicarsi alla
vita matrimoniale, tanto più che adesso ha anche un figlio. Blaze e Fat due
sicari alle dipendenze di Fay, un boss di Hong Kong, ricevono l’incarico di
eliminare Wo, loro vecchio compagno d’infanzia, ma dovranno fare i conti con
Tai e Cat altri due killer, anch’essi amici di lunga data di Wo. La riunione
di malavitosi, sia quelli che vogliono fare fuori Wo, sia quelli che
vogliono difenderlo, avviene proprio nella nuova abitazione del ragazzo
preso di mira dai due sicari ex-amici. In quella casa si apre il sipario per
lunghe sparatorie e movimentate azioni delittuose.
La pellicola di Johnnie To che dopo la presentazione all’ultimo Festiva di
Venezia si è meritata il Premio per la Miglior Regia all’Asian Film
Festival di Roma è contrassegnata dall’essenzialità della messa in scena
guidata dalla geometricità con la quale registra ogni singolo dettaglio.
Legato ad un forte simbolismo, lo sviluppo narrativo che scava nel profondo
di una solida e imprescindibile amicizia virile, stupisce per la fusione di
elementi da film noir, con alcune rappresentazioni comparabili al genere
western, senza infine perdere l’opportunità di inserire con cognizione
alcuni momenti ludici e umoristici.
Voto: 28/30
4:30
di Royston Tan
Singapore, 2005, 93'
In Concorso

Quando entriamo nel mondo del piccolo Zhang Xiao Wu iniziamo un viaggio
introspettivo che ci mette inevitabilmente in contatto con il bambino che è
in ognuno di noi. Zhang Xiao Wu è un giovane scolaro che abbandonato a se
stesso vive da solo in un appartamento vuoto. Adesso però si trova a
condividere l’alloggio con Jung, un trentenne reduce da una dolorosa
delusione amorosa che lo ha portato alla depressione. La vita del bambino si
svolge da questo momento in poi in funzione del suo coinquilino.
Nell’asfissiante tentativo di mettersi in relazione con il reticente
compagno di casa Zhang Xiao Wu arriva persino a spiarlo durante la notte (la
sveglia è puntata ogni notte alle 4:30), quando Jung viene profondamente
addormentato dai fumi dell’alcol. Il piccolo Zhang Xiao Wu raccatta ogni
notte dalla stanza di Jung diversi indizi che possano definire la
personalità del taciturno trentenne. Ogni prova della sua ricerca viene
meticolosamente catalogata da Zhang Xiao Wu in una sorta di quaderno/diario
in cui convivono le annotazioni e i diversi oggetti raccolti con ingenuo
feticismo. La relazione tra i due, pur senza scambi verbali ma affidata
piuttosto alla complicità derivata dalla quotidianità dei loro gesti diviene
infine assai profonda.
Royston Tan che si trova a dirigere a soli ventinove anni il suo secondo
lungometraggio racconta la sofferenza della solitudine vista con gli occhi
sensibili di un bambino. Due universi lontani, nonostante vivano uno
affianco all’altro, separati dall’incomunicabilità di un’egoistica
superficialità affettiva, che finiscono per fondersi grazie all’enorme forza
dei sentimenti più semplici e più puri. Se nella sua prima opera, 15, Tan
aveva fotografato la gioventù che aggregata per tipi o caste riusciva ad
esprimere la propria inquietudine ribellandosi al mondo degli adulti,
rifiutando almeno apparentemente ogni legame con un universo per loro troppo
ordinario, in 4:30 la speranza e la scoperta di un legame tra giovane e
adulto come tra padre e figlio, o fratello minore e maggiore diventa
indispensabile e irrinunciabile. La scena in cui le lancette dell’orologio
vengono fissate dal piccolo Zhang Xiao Wu sulle 4:30 è testimone del
riscatto del protagonista che afferma così con forza la sua riluttanza ad
abbandonarsi alla solitudine dei sentimenti. La pellicola è vincitrice
del Premio di Miglior Film alla quarta edizione dell’Asian Film
Festival di Roma.
Voto: 28/30
I Don’t Want to Sleep Alone
di Tsai Ming-liang
Taiwan, Francia, Austria, 2006, 115'
In Concorso

Già dalle prime inquadrature in cui un folto gruppo di persone attornia un
imbonitore che promette numeri fortunati in cambio di soldi veniamo
risucchiati nel variegato mondo della terra malese.
è il primo film girato da
Tsai Ming-liang in quei luoghi che gli hanno dato i natali. Ed in quei posti
ci torna quasi da straniero a giudicare dalla meticolosità a tratti morbosa
con cui riprende i palazzi, le strade e il folklore che anima la città.
Hsiao-kang il protagonista del film che ha il volto di Lee Kang-sheng,
l’attore feticcio di Tsai Ming-liang già interprete di altre precedenti
pellicole del regista taiwanese, è un senzatetto che dopo essere stato
assalito e derubato dei pochi spiccioli in suo possesso, viene soccorso da
un gruppo di lavoratori del Bangladesh che lo conducono nella loro
abitazione. Uno di loro, Rawang si dedica a lui con particolare attenzione.
è Rawang che lo cura nei
primi giorni di degenza e gli permette di dormire al suo fianco nel suo
vecchio ma prezioso materasso. Quando Hsiao-kang si rimette in forza,
durante il suo vagabondare, incontra Chyi una giovane donna che fa la
cameriere in un coffee shop e che allo stesso tempo si prende cura del
figlio paralizzato della padrona del locale. Tra i due nasce un’attrazione,
ma Hsiao-kang non riesce ad allontanarsi dalle premure di Rawang. Il
triangolo amoroso in cui è stretto Hsiao-kang si sviluppa proprio mentre in
città gli abitanti sono costretti ad indossare delle maschere per non
esalare l’aria infetta.
La pellicola del regista di Vive
l’amour che vinse il Leone d’Oro al festival di Venezia dimostra,
attraverso le vicissitudini dei suoi protagonisti impegnati a cercare di
soddisfare le proprie pulsioni sessuali, come sia difficile e
contraddittoria l’arte di donarsi agli altri.
Voto: 25/30
Roma Capitale, 20:12:2006 |