ASIAN FILM FESTIVAL

 

04/07:12:2006

ROMA CAPITALE

di Alessandro ANSELMI


Luxury Car
di Wang Chao
Cina/Francia, 2006, 88'

In Concorso

 


Un padre alla ricerca del figlio è la linea narrativa che conduce i personaggi di Luxury Car in un viaggio di speranza. Li Qi Ming, un insegnante ormai prossimo alla pensione, arriva dalla campagna in città a Wuhan, dove lavora la figlia Yanhong, per cercare notizie del figlio scomparso. La madre molto malata ha espresso il desiderio di riabbracciare il suo ragazzo un’ultima volta prima di morire. Yanhong, ad insaputa della famiglia, si guadagna da vivere facendo l’intrattenitrice in un locale di karaoke, ed è la compagna del proprietario, un boss della malavita locale. Per trovare gli indizi che possano metterlo sulle tracce del figlio Li Qi Ming si fa aiutare da un poliziotto, anch’egli vicino alla fine della sua carriera. I due intraprendono le investigazioni affidandosi alla loro facile e spontanea complicità. Nel frattempo Yanhong si destreggia tra violenti avventori del locale e la cura dell’ospitalità del padre nell’appartamento in cui vive, e che divide con una ragazza dai facili costumi.
I toni della pellicola sono moderati, fatta eccezione per l’ipnotica ambientazione del locale dove lavora Yanhong, riempito da uno sfolgorante mosaico di luci, in contrasto con il pessimismo vissuto dai personaggi. Il racconto lineare si riempie di silenzi che assegnano all’espressività degli sguardi il compito di tracciare la drammaticità del plot. Il film che viene inserito nella corrente realista della cinematografia cinese è stato premiato come Miglior Film alla sezione “Un certain regard” al Festival di Cannes. La protagonista dotata di eloquente bellezza e vigore comunicativo ha vinto all’Asian Film Festival di Roma il Premio come Migliore Attrice.
Voto: 26/30
 


Pao’s Story
di Ngo Quang Hai

Vietnam, 2006, 98'

In Concorso



La vita di Pao, non è una vita facile. Pao è una ragazza di campagna che vive a mezza giornata di cammino dal mercato. La sua esistenza così come quella della sua famiglia è subordinata alla prosperità del raccolto dal quale si può trarne di che sostentarsi non senza ore di faticoso lavoro. In quei luoghi ameni e quasi incontaminati delle campagne del Vietnam lo scopo primario di chi vi abita è la sopravvivenza. Il lungo flashback che copre buona parte del film racconta i trascorsi vissuti dalla famiglia di Pao sin da prima che lei nascesse. Il rapporto tra i genitori di Pao è stato messo in crisi dal fatto che non riuscivano ad avere figli. Così il padre al ritorno da un lungo viaggio conduce con sé una nuova compagna dalla quale ha due figli: Pao che in quanto femmina non viene accolta dalla comunità con grande entusiasmo, e Tal, il figlio maschio che garantendo la prosecuzione della stirpe riconsegna al padre onore e dignità. Per un lungo periodo la convivenza dei due piccoli insieme a due madri non è affatto facile. Da quando la madre naturale se n’è andata Pao comincia a sentirne la mancanza, rimanendo comunque profondamente legata alla madre che la ha allevata. Pao decide di intraprendere un viaggio alla ricerca del suo passato per fare luce sui propri sentimenti.
Il flashback può essere codificato come il richiamo della coscienza di Pao che cerca nel viaggio in cui è impegnata il significato delle proprie colpe e trova il modo per espiarle. Un percorso oltre che reale immaginario che trasporta la protagonista fino alla piena consapevolezza di una esistenza vissuta e da vivere con quella rassegnazione che in modo contraddittorio restituisce la serenità. L’importante ruolo della fotografia nel film mette in contrasto la quieta desolazione dei paesaggi in campo lungo con la vivacità nel dettaglio dei colori del mercato. L’opera di Ngo Quang Hai è stata decretata la miglior pellicola vietnamita dell’anno ed è candidata a rappresentare il suo paese agli Oscar 2007 come Miglior Film straniero.
Voto: 27/30
 


The Great Yokai War
di Miike Takashi

Giappone, 2005, 124'

In Concorso
 


Chiudiamo gli occhi e proviamo a far esplodere dalla nostra fantasia una sfilata di strane creature, di mostri orribilmente stravaganti, di personaggi eccentrici mai incontrati prima. è certo che il prodotto creato dalle nostre menti non si sarà neppure avvicinato all’universo immaginifico e sorprendente realizzato da Miike Takashi in Yôkai daisensô.
La favola che ci racconta Takashi, uno dei più prolifici registi del Giappone (69 film in 15 anni), narra le vicissitudini di Tadashi, uno spaurito ragazzino di un piccolo villaggio di campagna che durante i festeggiamenti di una notte di folklore viene eletto Cavaliere Kirin. Tadashi non è a conoscenza della leggenda e non sa ancora che il suo gracile corpo avrà l’arduo compito di difendere la pace e la giustizia nel mondo. La Spada magica gli donerà la forza per poter combattere il terribile Yomotsumoto, il caporivolta di un gruppo di spaventose creature che sono il risultato della rabbia che gli oggetti usati hanno sviluppato contro gli esseri umani che li hanno abbandonati anzitempo per la loro inutilità. Al fianco di Tadashi e del piccolo Sunekosouri, un animaletto sensibile e fedele, si ritrova un assortito gruppo composto tra gli altri dalla Fata del Fiume, da un contatore di fagioli e da una buffa tartaruga.
Il mondo fantasmagorico di Yôkai daisensô rappresenta l’eterna lotta tra il bene e il male, e mette in scena il simbolismo orientale attraverso una raffigurazione onirica colorata da fiabesche creature. Il fantasy-horror di Takashi viaggia tra favola e videogame, con una fattura perlopiù artigianale che lascia poco spazio, se non quello strettamente necessario alla computer grafica.
Voto: 25/30
 


The Banquet
di Feng Xiaogang

Cina/Hong Kong, 2006, 131'

 


Noi siamo più abituati, o almeno lo eravamo, al genere cappa e spada, ma il cinema orientale ci ha fatto conoscere il Wuxiapian, un genere che si caratterizza per le ambientazioni lontane nel tempo con i costumi dell’epoca, e soprattutto per i feroci duelli con scontri acrobatici in cui gli sfidanti si esibiscono in voli da altezze inaccessibili ai normali esseri umani, rimanendo sospesi come se il tempo scorresse in modo rallentato. The Banquet è senza dubbio una pellicola che appartiene a questo filone. La storia, ambientata nella Cina del X secolo d.C., ai tempi delle Cinque Dinastie e dei Dieci Regni, si sviluppa tra intrighi di Palazzo, vendette, vicissitudini sentimentali e la lotta per la successione al potere. Dopo la morte dell’imperatore il posto di regnante viene preso da Li, suo fratello minore, che oltre al potere (o forse proprio perché adesso ce l’ha) vuole al suo fianco la sensuale cognata, l’imperatrice Wan, la quale a sua volta ha sempre avuto un debole per il figliastro Wu Lan che nel frattempo non curandosi della politica si è dedicato alla musica e alla danza. Quando Wu Lan viene a conoscenza del disegno messo a punto dello zio, che come confermano le voci di palazzo ha assassinato il suo predecessore, vuole vendicare la morte del padre uccidendo il nuovo imperatore. Nel frattempo la vita sentimentale di Wu Lan è legata a doppio filo con la matrigna e con Qingnii, la giovane figlia del Ciambellano da sempre innamorata di lui.
L’opera di Feng Xiaogang ha uno stile colossale con dei ritmi narrativi molto dinamici riconducibili alla cinematografia occidentale. La fotografia che esprime elegantemente il simbolismo legato ai colori ha un ruolo predominante, e si dedica con devozione alla cura dei dettagli. L’elemento coreografico, con un’espressione viva e armonica, permette di paragonare alcune scene del film alla messa in scena di uno spettacolo lirico e fa sì che nelle inquadrature si avviluppino lotte fascinose come danze, contornate da drappi dalle tinte decise e musiche monumentali.
Voto: 28/30


Exiled
di Johnnie To

Hong Kong, 2006, 100'

In Concorso

 


Già nel titolo Exiled dimostra l’isolamento dei protagonisti che sembrano muoversi in un non-luogo. Una città che sin dalle prime inquadrature si presenta deserta, ospita i membri di un gruppo di malavitosi che a causa dei vari avvicendamenti al comando delle organizzazioni criminali di Macao nel 1998 si ritrovano l’uno contro l’altro. Il capro espiatorio delle dispute è Wo, uno della gang che ha deciso di dire addio al crimine per dedicarsi alla vita matrimoniale, tanto più che adesso ha anche un figlio. Blaze e Fat due sicari alle dipendenze di Fay, un boss di Hong Kong, ricevono l’incarico di eliminare Wo, loro vecchio compagno d’infanzia, ma dovranno fare i conti con Tai e Cat altri due killer, anch’essi amici di lunga data di Wo. La riunione di malavitosi, sia quelli che vogliono fare fuori Wo, sia quelli che vogliono difenderlo, avviene proprio nella nuova abitazione del ragazzo preso di mira dai due sicari ex-amici. In quella casa si apre il sipario per lunghe sparatorie e movimentate azioni delittuose.
La pellicola di Johnnie To che dopo la presentazione all’ultimo Festiva di Venezia si è meritata il Premio per la Miglior Regia all’Asian Film Festival di Roma è contrassegnata dall’essenzialità della messa in scena guidata dalla geometricità con la quale registra ogni singolo dettaglio. Legato ad un forte simbolismo, lo sviluppo narrativo che scava nel profondo di una solida e imprescindibile amicizia virile, stupisce per la fusione di elementi da film noir, con alcune rappresentazioni comparabili al genere western, senza infine perdere l’opportunità di inserire con cognizione alcuni momenti ludici e umoristici.
Voto: 28/30
 


4:30
di Royston Tan

Singapore, 2005, 93'

In Concorso

 



Quando entriamo nel mondo del piccolo Zhang Xiao Wu iniziamo un viaggio introspettivo che ci mette inevitabilmente in contatto con il bambino che è in ognuno di noi. Zhang Xiao Wu è un giovane scolaro che abbandonato a se stesso vive da solo in un appartamento vuoto. Adesso però si trova a condividere l’alloggio con Jung, un trentenne reduce da una dolorosa delusione amorosa che lo ha portato alla depressione. La vita del bambino si svolge da questo momento in poi in funzione del suo coinquilino. Nell’asfissiante tentativo di mettersi in relazione con il reticente compagno di casa Zhang Xiao Wu arriva persino a spiarlo durante la notte (la sveglia è puntata ogni notte alle 4:30), quando Jung viene profondamente addormentato dai fumi dell’alcol. Il piccolo Zhang Xiao Wu raccatta ogni notte dalla stanza di Jung diversi indizi che possano definire la personalità del taciturno trentenne. Ogni prova della sua ricerca viene meticolosamente catalogata da Zhang Xiao Wu in una sorta di quaderno/diario in cui convivono le annotazioni e i diversi oggetti raccolti con ingenuo feticismo. La relazione tra i due, pur senza scambi verbali ma affidata piuttosto alla complicità derivata dalla quotidianità dei loro gesti diviene infine assai profonda.
Royston Tan che si trova a dirigere a soli ventinove anni il suo secondo lungometraggio racconta la sofferenza della solitudine vista con gli occhi sensibili di un bambino. Due universi lontani, nonostante vivano uno affianco all’altro, separati dall’incomunicabilità di un’egoistica superficialità affettiva, che finiscono per fondersi grazie all’enorme forza dei sentimenti più semplici e più puri. Se nella sua prima opera, 15, Tan aveva fotografato la gioventù che aggregata per tipi o caste riusciva ad esprimere la propria inquietudine ribellandosi al mondo degli adulti, rifiutando almeno apparentemente ogni legame con un universo per loro troppo ordinario, in 4:30 la speranza e la scoperta di un legame tra giovane e adulto come tra padre e figlio, o fratello minore e maggiore diventa indispensabile e irrinunciabile. La scena in cui le lancette dell’orologio vengono fissate dal piccolo Zhang Xiao Wu sulle 4:30 è testimone del riscatto del protagonista che afferma così con forza la sua riluttanza ad abbandonarsi alla solitudine dei sentimenti. La pellicola è vincitrice del Premio di Miglior Film alla quarta edizione dell’Asian Film Festival di Roma.
Voto: 28/30
 


I Don’t Want to Sleep Alone
di Tsai Ming-liang

Taiwan, Francia, Austria, 2006, 115'

In Concorso

 


Già dalle prime inquadrature in cui un folto gruppo di persone attornia un imbonitore che promette numeri fortunati in cambio di soldi veniamo risucchiati nel variegato mondo della terra malese. è il primo film girato da Tsai Ming-liang in quei luoghi che gli hanno dato i natali. Ed in quei posti ci torna quasi da straniero a giudicare dalla meticolosità a tratti morbosa con cui riprende i palazzi, le strade e il folklore che anima la città. Hsiao-kang il protagonista del film che ha il volto di Lee Kang-sheng, l’attore feticcio di Tsai Ming-liang già interprete di altre precedenti pellicole del regista taiwanese, è un senzatetto che dopo essere stato assalito e derubato dei pochi spiccioli in suo possesso, viene soccorso da un gruppo di lavoratori del Bangladesh che lo conducono nella loro abitazione. Uno di loro, Rawang si dedica a lui con particolare attenzione. è Rawang che lo cura nei primi giorni di degenza e gli permette di dormire al suo fianco nel suo vecchio ma prezioso materasso. Quando Hsiao-kang si rimette in forza, durante il suo vagabondare, incontra Chyi una giovane donna che fa la cameriere in un coffee shop e che allo stesso tempo si prende cura del figlio paralizzato della padrona del locale. Tra i due nasce un’attrazione, ma Hsiao-kang non riesce ad allontanarsi dalle premure di Rawang. Il triangolo amoroso in cui è stretto Hsiao-kang si sviluppa proprio mentre in città gli abitanti sono costretti ad indossare delle maschere per non esalare l’aria infetta.
La pellicola del regista di Vive l’amour che vinse il Leone d’Oro al festival di Venezia dimostra, attraverso le vicissitudini dei suoi protagonisti impegnati a cercare di soddisfare le proprie pulsioni sessuali, come sia difficile e contraddittoria l’arte di donarsi agli altri.
Voto: 25/30

 

Roma Capitale, 20:12:2006