
MY BROTHER TOM (Gran Bretagna, 2001)
di Dom Rotheroe
con Jenna Harrison, Ben Whishaw, Honeysuckle Weeks,
Adrian Rawlins, Michael Erskine, Judith Scott
Con uno stile di ripresa fedele ai dogmi di un Lars Von Trier, Dom Rotheroe
rincorre una qualche idea di cinema moderno che rimane soltanto vaga ipotesi
in un film dove il rapporto uomo-natura e il dramma degli abusi sugli
adolescenti sono affrontati all'insegna di un pietismo drammaticamente
antiquato. L'intenzione malcelata dell'autore è di rapinare il
consenso emotivo del pubblico con una storia malvagia, parossisticamente
violenta, dove un intorno familire crudele e spietato viola lo scrigno
di tenerezza di due anime pure nella fase di scoperta dell'amore e del
sesso. Jessica e Tom sono due collegiali, vittime di abusi sessuali consumati
in famiglia, l'una da parte dell'insegnante vicino di casa e occasionalmente
suo "baby-sitter", l'altro da parte di un padre ossessivo e
farsescamente ipocrita. Il senso di violazione ed offesa si espande a
dismisura attorno a un melodramma debordante, decisamente sopra le righe,
tutto impostato sulla presunta poesia di una convivenza, tra il verde
ed il fango del bosco, consacrata dalla rituali animaleschi di nudità,
urla, gestualità grottesche, impulsività tribali e pratiche
gratuitamente blasfeme come la cena a base di ostie ed il ridicolo gesto
di coronarsi di spine per dimostrare che "niente fa male se non glielo
permetti". Nonostante una indubbia abilità nel raccontare,
in questa pellicola di Rotheroe pesa la scelta di un registro d'azione
goffamente provocatorio che vorrebbe evocare la il senso sacro di una
passionalità al di sopra della ragione e idealmente contrapposta
ai risvolti più dolenti dell'ordine civile, ma che si risolve invece
nella banalità di una isteria adolescenziale e vittimista, tantopiù
ingenua quantopiù sterilizzata dentro una poco credibile collisione
tra purezza del proprio mondo interiore e crudeltà del mondo esterno:
scuola, famiglia, preti e quant'altro. Un film sfacciato e invadente,
che vuole a tutti i costi fare male, ma che riesce soltanto a irritare
perchè ignora il principio impietoso alla base della sofferenza
moderna: il vero male è quello di cui non si trova colpevole.
Voto: 24/30
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LOST AND DELIRIOUS (Canada 2001)
di Léa Pool
con Piper Perabo, Jessica Parè, Mischa Barton,
Jackie Burroughs, Mimi Kuzyk, Graham Greene
Apologo al femminile dell'amore assoluto incastonato in un registro di
stereotipi e percorso da una vena tutt'altro che sottile di femminismo
integralista ormai fuori moda, LOST AND DELIRIOUS racconta la storia di
tre ragazze come se ne trovano troppe al cinema, figure topiche di una
tradizione che nella abusata cornice di un college americano ambienta
il dramma di una love-story sacrificata al rigore di una società
codina con le esagerazioni idealistiche e i risvolti tragico-isterici
tipici di un romanzare d'altri tempi. Mary B. è la novellina che,
turbata dalla perdita della madre e dal rapporto difficile con la matrigna,
si affrancherà dalla sua fragilità affettiva e verrà
iniziata ad una nuova vita dall'eredità della figura carismatica
di turno, la coraggiosa e sfrontata Paulie, apoteosi della donna, trasposizione
contemporanea e al femminile del cavaliere medievale senza macchia e senza
paura che, con l'animo leso dalla negazione dell'affetto materno, si batte
fino alla morte per l'amore della sua dama e non soltanto in termini metaforici,
nella progressione tronfia di una sceneggiatura che dalla novella sentimental-adolescenziale
slitta nella saga cavalleresca con tanto di duellanti che tirano di scherma
e culti di falconeria. La pittoresca simbologia del "raptor"
che ghermisce con gli artigli chi s'azzarda di sottrargli l'amata gonfia
ad ossessione la metafora di una tenace ricerca dell'amore.
Léa Pool rivisita la tradizione romantico-cavalleresca apportando
però una sua particolare innovazione, il cut-off integrale della
componente maschile, secondo un criterio coerente a quella che sembra
una programmatica intonazione del film contro il sesso forte, piuttosto
che una casuale scelta narrativa, come suggeriscono certi dialoghi [ad
esempio quella patetica storia sul "blaterare" in classe] e
la stilizzazione impietosa dei tre-quattro ragazzi che circuiscono le
protagoniste. Come se quella degli uomini fosse una sensibilità
rozza e primitiva, cui è preclusa una qualsivoglia possibilità
di comunicazione, se non di comprensione, con certi moti passionali esclusivi
di universo femminile rigoglioso ed esaltante.
Il volo idealistico e retorico di Léa Pool fa perdere l'equilibrio
ad un film che, se affidato una capacità di tocco più delicato
e meno ridondante, con il suo potenziale di sensualità languida
ed erotismo crepuscolare e con l'elegante fotografia di Pierre Gill sarebbe
potuto diventare una meno pretenziosa e più dignitosa ode saffica
all'amore.
Voto: 24/30
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INCONTRO CON PIPER PERABO
Sabato 27 aprile, ore 14,00: in una elengante saletta dell'Hotel Accademia
incontriamo Piper Perabo, affascinante protagonista del film LOST and DELIRIOUS
di Léa Pool in concorso per il premio Schermi d'Amore 2002. arriva
in ritardo di quaranta minuti, ma si fa subito perdonare con un "buongiorno"
ed un "sorry" pronunciati attraverso la sottire apertura di un
sorriso tenerissimo. E' stata trattenuta da altri impegni di lavoro ma ora
è a completa disposizione dei pervenuti a questa attesissima conferenza
stampa. Ha i capelli biondissimi [look per il suo prossimo film SAN GIORGIO
E IL DRAGO], indossa una magliettina nera, Jeans e un paio di tacchi, si
siede sul divano in pelle nera e aspetta le domande.
E' bella. Si scoprirà poi anche dolce, colta ed amante delle arti.
Dopo qualche attimo di imbarazzo arriva la prima domanda da parte di un
signore barbuto seduto davanti e poi di seguito le altre da parte della
platea:
DOMANDA: Ci parli del suo background
PIPER PERABO: Il mio sogno era fare l'attrice di teatro. Sono nata
nel New Jersey, ho studiato teatro e dopo la laurea sono andata New York
per realizzare il mio sogno. Ma la vita a New York non era facile, così
ho fatto per un po' la cameriera finchè non sono arrivate le prime
audizioni e sono approdata al cinema.
D: Adesso che ha fatto cinema desidera ancora tornare al teatro
o vuole proseguire per questa strada?
PP: Il cinema ed il teatro mi piacciono enrambi. Ho intenzione
di continuare a fare cinema, ma il teatro rimane il mio obiettivo a lungo
termine. Mi piacerebbe gestire un teatro a New York come Willem Dafoe
che ha un piccolo teatro dove finanzia compagnie che fanno teatro sperimentale.
D: Quanti anni ha?
PP: Venticinque
D: Ha provato imbarazzo a girare le scene d'amore?
PP: Il giorno in cui si va sul set sapendo di girare quelle scene
d'amore un po' di imbarazzo è inevitabile, ma poi l'imbarazzo è
annichilito dall'idea che quella è una scena importante, un momento
in cui c'è una profonda intimità tra due personaggi che
si amano e il cui amore sarà poi offeso dalle situazioni esterne
e farà soffrire, lasciando tanta amarezza.
D: Nei precedenti film lei aveva un aspetto molto curato mentre
in Lost and Delirious il suo aspetto è più dimesso, le piace
giocare col suo look?
PP: Mi piace molto, cambiare look aiuta a liberarsi del vecchio
personaggio come un serpente si libera della propria pelle quando non
gli serve più. Vedere allo specchio un personaggio con caratteri
suoi propri ed esclusivi aiuta a calarsi più profondamente nel
ruolo e a cancellare i residui di identità passate o future.
D: Cosa ne pensa del personaggio che ha interpretato in Lost and
Delirious?
PP: E' un personaggio che mi è piaciuto subito come ho
letto il copione. Un personaggio coraggioso, pieno di energia e di passionalità
tipiche degli adolescenti
D: Cos'ha in comune con il suo personaggio?
PP: E' una brava studentessa e ama molto i libri. Per il resto
credo nient'altro.
D: E' la prima volta che viene in Italia? Cosa conosce della cultura
del nostro paese?
PP: Non è la prima volta che vengo in Italia, ci sono già
stata come "ragazza alla pari". Della cultura italiana conosco
ed apprezzo, oltre la cucina, alcuni scrittori, in particolar modo Calvino
e Dante. Proprio in questi giorni sto leggendo la biografia di Dante perchè
so che si è ritirato dei periodi a scrivere qui a Verona e vorrei
capire cosa di questa città ispirava la sua arte e in essa si può
ritrovare.
D: Come è stato accolto il film?
PP: Il film è stato presentato al Sundence ed ora è
in programmazione nelle principali città degli USA con buona risposta
da parte del pubblico e della critica
D: Ad un certo punto del film c'è un momento importante,
quando Paulie nega di essere lesbica, dicendo di essere semplicemente
innamorata. Nel resto del film quasto concetto non viene sviluppato, ma
a me sembra importante. Ci può dire qualcosa di più al riguardo?
PP: quello che Paulie prova per Victoria è un sentimento
d'amore che solo occasionalmente è tra due donne, è una
scheggia di quell'amore universale che va aldilà del connotazioni
di sesso. Lost and Delirious non è un film sull'omosessualità,
è semplicemente un film sull'amore.
D: Che clima si è creato tra tutte queste donne sul set
[le attrici, la regista, la produttrice, ecc...]...
PP: Ci siamo azzuffate. No, a parte gli scherzi, girare il film
con loro è stato bellissimo contrariamente a quanto si può
pensare in un contesto di sole donne, e poi abbiamo girato in un college
in campagna, in un posto paradisiaco, con un clima eccezionale... è
stato tutto molto entusiasmante.
D: ...mi è sembrato che nel film ci fosse un velo di femminismo,
come una coalizione di donne appassionate contro uomini dalla sensibilità
rozza e volgare, cosa ne pensi?
PP: In effetti si può avere questa impressione ma è
dovuta al fatto che il film è ambientato in un collegio di sole
donne, non solo le studentesse ma anche tutte le insegnanti erano donne,
ed il mondo maschile era completamente escluso. Più che una mancanza
di stima quella delle ragazze è una mancanza di conoscenza dell'universo
maschile.
D: Da che deriva il suo cognome spagnolo?
PP: Non è spagnolo ma portoghese, i miei genitori sono portoghesi,
emigrati in Germania e poi in America.
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