|
|||
![]() Dopo la cerimonia per lo "Speciale Riconoscimento alla Carriera" dell'attore veronese Fabio Testi nell'ambito del progetto "il Veneto ed il Cinema" e la proiezione del film di Pietro Germi SIGNORE & SIGNORI, cha ha goduto di una immensa partecipazione di pubblico (molte persone erano in piedi), con circa un'ora di ritardo è iniziata la proiezione, assai attesa, di Last Ball, l'opera prima di un giovane regista di New York. LAST BALL (USA 2001) Alla deriva di una campagna newyorkese sospesa nel tempo tra il sole,
gli alberi e l'acqua, in una insignificante cittadina al di là
del fiume Hudson fatta dal "Bar & Grill di John" e alcune
casupole collegate dal servizio taxi di una sgangherata compagnia locale,
si succedono le giornate pigre di un tardo-adolescente che finito il liceo
non sa cosa fare della propria vita, schivo di prospettive ambiziose,
ma impaurito dalla mediocrità. Qui Jim lascia scorrere la sua vita
senza cercare di indirizzarla, si mantiene lavorando come tassista e spende
il tempo libero al bar in compagnia di quei pochi amici che, nelle pause
rubate allo studio o al lavoro, sono disposti a concedergli un pò
del loro tempo. "The last ball" è l'ultimo drink, il
modo di chiamare l'ultimo giro di bevute prima che il bar chiuda le serrande,
una icona goliardica che riporta Jim indietro ai tempi del liceo ora che
il percorso della vita avanza la pretesa di atti di responsabilità
e coraggio. L'unica cosa importante è l'amore di una ragazza madre
e moglie infelice che abita il villino sulla collina e che Jim ha conosciuto
nel suo taxi. Tra i due nasce una storia autentica, fatta di complicità
e tenerezza, ma inevitabilmente destinata a scontrarsi con le necessità
della sopravvivenza sociale impongono: alla proposta di Jim di lasciare
il marito per seguirlo lei risponde, suo malgrado,: -"e di cosa vivremmo?".
Sarà proprio il rifiuto di Cathy che darà a Jim il coraggio
per riprendere in mano il timone e fuggire verso l'avventura della vita
con un gesto dalla simbologia un po' ruffiana, l'attraversamento del fiume
a nuoto verso la città, ma che poco toglie alla genuinità
e alla freschezza complessive dell'opera. Voto: 28/30 ______________________________________ KINEMATRIX: tu pensi che il cinema debba parlare della vita? ______________________________________
Nel pomeriggio, in un improvvisato palchetto di una libreria del centro
che non è stato facile trovare, il 3 volte premio Oscar Vittorio
Storaro (inutile dilungarsi nella presentazione del personaggio) ha presentato
il suo saggio SCRIVERE CON LA LUCE - LA LUCE, primo volume di una trilogia
dedicata ad un personale approfondimento sulla esperienza dell'immagine,
attraverso l'analisi di tre aspetti: la luce, il colore, gli elementi.
L'opera è strutturata su un registro ipertestuale, una sorta di
esperienza estetica composita, fatta di pensieri sparsi, frasi estratte
dai testi di grandi filosofi, fotografie, fotogrammi di vari film e riproduzioni
di dipinti di grandi maestri della pittura appartenenti al ricchissimo
ed articolato complesso culturale che ha guidato il percorso artistico
di Storaro ed ha contribuito a delineare la sua particolare visione della
cinematografia e dell'arte visiva. Sullo stesso registro, ci ha anticipiato
il maestro, sarà strutturata una mostra di sue opere fotografiche,
che saranno esposte all'interno di una allestimento scenico assolutamente
"dinamico" insieme a sculture, proiezione di pellicole cinematografiche,
architettura di luci e melodie sonore. (Storaro ha ipotizzato, e questa
è un'anteprima di cui testeremo in futuro la veridicità,
che la mostra si svolga a Verona, magari durante una prossima edizione
di Schermi d'amore in un palazzo, quello della Gran Guardia, che secondo
lui ha le dimensioni e la struttura giusta per ospitarla). "Io non
sono un bravo fotografo, le mie immagini hanno bisogno del movimento",
ha dichiarato Storaro, rimandando ad un concetto fondante della sua idea
di cinematografia, nel senso di cine-fotografia, ovvero di immagine fotografiche
che non sono fisse su un supporto espositivo, ma si succedono in una progressione
cinetica. Nella cine-fotografia, ci spiega, l'esperienza visiva non si
esaurisce nell'immagine singola ma si sviluppa in un arco di tempo nel
quale un ruolo importante è giocato dalla dimensione del ritmo,
che è scandito dal montaggio, e l'opera del cine-fotografo deve
inserirsi e riuscire ad integrarsi all'interno di un contesto artistico
composto da diversi linguaggi: il suono e la scrittura oltre che l'immagine.
A tal proposito rispondendo ad una domanda rivoltagli dalla affascinanete
intervistatrice su quali fossero le principali referenze filosofiche dell'opera,
Storaro cita la formula dell'Energia Cinetica di Einstein: E = mc(2),
cui attribuisce, con un salto interpretativo un po' azzardato ma suggestivo,
il merito di dimostrare che "c'è energia laddove c'è
movimento". Rispondendo alla stessa domanda cita anche Platone, e
particolarmente il mito della caverna, che egli considera una meafora
del cinema. La caverna sarebbe la macchina da presa, il fuoco la luce,
le persone che si muovono la troupe, e le ombre proiettate sulla parete
il miracolo della pellicola e della sua proiezione. Il cinema, per il
maestro, non può essere la realtà ma una sua rappresentazione.
Da qui si parte per un discorso tangenziale sul rapporto cinema-realtà:
il cinema verità non esiste, dice Storaro, è una contraddizione
in termini, perchè la macchina da presa seleziona arbitrariamente
uno spazio circoscritto e alterato dall'allestimento scenico e dal gusto
compositivo dell'operatore. Il gioco di luci e la composizione conferiscono
all'immagine impatti estetici e connotazioni differenti all'immagine e
quindi alla realtà ripresa, che di conseguenza non è più
"riprodotta", ma "rappresentata". Ma al mito della
caverna mutua anche il rapporto luce-ombra, che è il concetto problematico
alla base del saggio SCRIVERE CON LA LUCE ed elemento caratterizzante
il percorso formativo e professionale del suo autore. Come nella filosofia
di Platone, la luce per Storaro è l'elemento di passaggio dall'ignoranza
alla conoscenza, lo stimolo impulsivo che spinge ad indagare quest'apparenza
e ciò che si muove dietro di essa. |
|||
Mirco
GALIE' |
|||
|
|||
|