SCHERMI D'AMORE 2002
Verona, 23 aprile


Dopo la cerimonia per lo "Speciale Riconoscimento alla Carriera" dell'attore veronese Fabio Testi nell'ambito del progetto "il Veneto ed il Cinema" e la proiezione del film di Pietro Germi SIGNORE & SIGNORI, cha ha goduto di una immensa partecipazione di pubblico (molte persone erano in piedi), con circa un'ora di ritardo è iniziata la proiezione, assai attesa, di Last Ball, l'opera prima di un giovane regista di New York.

LAST BALL (USA 2001)
di Peter Callahan
con Charlie Hofheimer, Laurel Holloman, Leo Fitzpatrick,
James Rebhorn, Amelia Campbell

Alla deriva di una campagna newyorkese sospesa nel tempo tra il sole, gli alberi e l'acqua, in una insignificante cittadina al di là del fiume Hudson fatta dal "Bar & Grill di John" e alcune casupole collegate dal servizio taxi di una sgangherata compagnia locale, si succedono le giornate pigre di un tardo-adolescente che finito il liceo non sa cosa fare della propria vita, schivo di prospettive ambiziose, ma impaurito dalla mediocrità. Qui Jim lascia scorrere la sua vita senza cercare di indirizzarla, si mantiene lavorando come tassista e spende il tempo libero al bar in compagnia di quei pochi amici che, nelle pause rubate allo studio o al lavoro, sono disposti a concedergli un pò del loro tempo. "The last ball" è l'ultimo drink, il modo di chiamare l'ultimo giro di bevute prima che il bar chiuda le serrande, una icona goliardica che riporta Jim indietro ai tempi del liceo ora che il percorso della vita avanza la pretesa di atti di responsabilità e coraggio. L'unica cosa importante è l'amore di una ragazza madre e moglie infelice che abita il villino sulla collina e che Jim ha conosciuto nel suo taxi. Tra i due nasce una storia autentica, fatta di complicità e tenerezza, ma inevitabilmente destinata a scontrarsi con le necessità della sopravvivenza sociale impongono: alla proposta di Jim di lasciare il marito per seguirlo lei risponde, suo malgrado,: -"e di cosa vivremmo?". Sarà proprio il rifiuto di Cathy che darà a Jim il coraggio per riprendere in mano il timone e fuggire verso l'avventura della vita con un gesto dalla simbologia un po' ruffiana, l'attraversamento del fiume a nuoto verso la città, ma che poco toglie alla genuinità e alla freschezza complessive dell'opera.
"La storia della mia vita " ha dichiarato Peter Callahan, (ed in effetti l'autobiografismo non è solo simbolico) ma in fondo la storia di qualunque adolescente in quella fase sbandata che dalla spensieratezza giovane introduce al mondo adulto. Ed anche "la storia del primo amore" dice lui, una storia che Callahan ci racconta con tono sommesso e suggestivo. Un film silenzioso e per nulla pretenzioso, allestito su scenari anonimi dove non si vedono motori a parte il fatiscente taxi di Jim, popolati da pochi personaggi frivoli e dimessi che Callahan ci racconta con una partecipazione intensa ma mai invadente, una regia che con una attenzione toccante per i volti e gli sguardi dei due eccellenti protagonisti riesce a delineare una sua personale geografia dell'anima.

Voto: 28/30

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breve incontro con
PETER CALLAHAN

Nell'attesa che aprissero le porte per una proiezione abbiamo incontrato, per caso, Peter Callahan, sceneggiatore e regista del film in lizza per il premio Schermi d'amore 2002 LAST BALL. Ne approfittiamo per rivolgergli due domande a bruciapelo:

KINEMATRIX: tu pensi che il cinema debba parlare della vita?

P. CALLAHAN: si, a me piace il cinema che parli della vita reale, non quello fatto di storie integralmente basate sull'azione e gli effetti speciali. Mi piace il cinema che racconta cose, anche inventate, ma che parlino della verità delle persone normali.

KMX: ci sono modelli nel cinema americano o europeo che hanno contribuito alla tua formazione?

PC: purtroppo il cinema europeo lo conosco poco; per quanto riguarda l'america io seguo molto il cinema indipendente...

KMX: ...quello di New York, in particolare?

PC: ma anche di Hollywood. Vedi, ad Hollywood ci sono molti studios ed alcuni di questi, pochi per la verità, lavorano per un cinema che non dipende dalle leggi spietate del mercato.

KMX: un'ultima cosa, una poiccola curiosità. Anche la storia del last ball, dell'ultimo drink, è un fatto reale?

PC: si lo è.

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VITTORIO STORARO PRESENTA IL SUO LIBRO

Nel pomeriggio, in un improvvisato palchetto di una libreria del centro che non è stato facile trovare, il 3 volte premio Oscar Vittorio Storaro (inutile dilungarsi nella presentazione del personaggio) ha presentato il suo saggio SCRIVERE CON LA LUCE - LA LUCE, primo volume di una trilogia dedicata ad un personale approfondimento sulla esperienza dell'immagine, attraverso l'analisi di tre aspetti: la luce, il colore, gli elementi. L'opera è strutturata su un registro ipertestuale, una sorta di esperienza estetica composita, fatta di pensieri sparsi, frasi estratte dai testi di grandi filosofi, fotografie, fotogrammi di vari film e riproduzioni di dipinti di grandi maestri della pittura appartenenti al ricchissimo ed articolato complesso culturale che ha guidato il percorso artistico di Storaro ed ha contribuito a delineare la sua particolare visione della cinematografia e dell'arte visiva. Sullo stesso registro, ci ha anticipiato il maestro, sarà strutturata una mostra di sue opere fotografiche, che saranno esposte all'interno di una allestimento scenico assolutamente "dinamico" insieme a sculture, proiezione di pellicole cinematografiche, architettura di luci e melodie sonore. (Storaro ha ipotizzato, e questa è un'anteprima di cui testeremo in futuro la veridicità, che la mostra si svolga a Verona, magari durante una prossima edizione di Schermi d'amore in un palazzo, quello della Gran Guardia, che secondo lui ha le dimensioni e la struttura giusta per ospitarla). "Io non sono un bravo fotografo, le mie immagini hanno bisogno del movimento", ha dichiarato Storaro, rimandando ad un concetto fondante della sua idea di cinematografia, nel senso di cine-fotografia, ovvero di immagine fotografiche che non sono fisse su un supporto espositivo, ma si succedono in una progressione cinetica. Nella cine-fotografia, ci spiega, l'esperienza visiva non si esaurisce nell'immagine singola ma si sviluppa in un arco di tempo nel quale un ruolo importante è giocato dalla dimensione del ritmo, che è scandito dal montaggio, e l'opera del cine-fotografo deve inserirsi e riuscire ad integrarsi all'interno di un contesto artistico composto da diversi linguaggi: il suono e la scrittura oltre che l'immagine. A tal proposito rispondendo ad una domanda rivoltagli dalla affascinanete intervistatrice su quali fossero le principali referenze filosofiche dell'opera, Storaro cita la formula dell'Energia Cinetica di Einstein: E = mc(2), cui attribuisce, con un salto interpretativo un po' azzardato ma suggestivo, il merito di dimostrare che "c'è energia laddove c'è movimento". Rispondendo alla stessa domanda cita anche Platone, e particolarmente il mito della caverna, che egli considera una meafora del cinema. La caverna sarebbe la macchina da presa, il fuoco la luce, le persone che si muovono la troupe, e le ombre proiettate sulla parete il miracolo della pellicola e della sua proiezione. Il cinema, per il maestro, non può essere la realtà ma una sua rappresentazione. Da qui si parte per un discorso tangenziale sul rapporto cinema-realtà: il cinema verità non esiste, dice Storaro, è una contraddizione in termini, perchè la macchina da presa seleziona arbitrariamente uno spazio circoscritto e alterato dall'allestimento scenico e dal gusto compositivo dell'operatore. Il gioco di luci e la composizione conferiscono all'immagine impatti estetici e connotazioni differenti all'immagine e quindi alla realtà ripresa, che di conseguenza non è più "riprodotta", ma "rappresentata". Ma al mito della caverna mutua anche il rapporto luce-ombra, che è il concetto problematico alla base del saggio SCRIVERE CON LA LUCE ed elemento caratterizzante il percorso formativo e professionale del suo autore. Come nella filosofia di Platone, la luce per Storaro è l'elemento di passaggio dall'ignoranza alla conoscenza, lo stimolo impulsivo che spinge ad indagare quest'apparenza e ciò che si muove dietro di essa.
Storaro ha parlato anche della sua attività di docente all'Accademia Internazionale per le Arti e le Scienze dell'Immagine dell'Aquila, fondata nel 1991 su iniziativa di Gabriele Lucci grazie al sodalizio con Vittorio Storaro stesso ed altri personaggi del cinema e della comunicazione audiovisiva, e che lavora per preparare veri e propri Professionisti dell'Immagine, nella fiducia che presto il titolo rilasciato dall'Accademia possa avere riconoscimento legale. Una battaglia questa che si accompagna a quella per il riconoscimento del direttore della fotografia come co-autore del film assieme al regista, al musicista ed allo sceneggiatore, sanando così un vizio burocratico-concettuale che denota una ormai fuori tempo carenza di "Cultura dell'Immagine".
Tra i progetti presenti e futuri, oltre l'iniziativa intrapresa con gli studenti dell'Accademia di realizzare monogfrafie su personaggi più o meno noti del panorama artistico italiano, di cui la più imminente è quella dedicata al pittore Gino Covili, Storaro ci ha parlato della ricerca che sta portando avanti sulla messa a punto di una pellicola con tre perforazioni e formato di composizione 1:2, che garantirebbe non solo una maggiore definizione (con il 25 % di pellicola in più per fotogramma) ed una maggiore conservazione nel tempo, ma anche un rapporto dimensionale esteticamente ottimale che non costringe l'operatore dell'immagine a compromettere con i tagli l'integrità del proprio "campo visivo".

Mirco GALIE'
25 - 04 - 02


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