PAROLA DI FERNALDO
incontro con
Fernaldo Di Giammatteo

Approfittando di una pausa, abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il noto critico e storico del cinema Fernaldo Di Giammatteo, qui a Trieste per il convegno scientifico. Con l'usuale lucidità e acume critico, ne ha avute per tutti: pubblico, critica, cinema americano e "rinascita" di quello italiano. Ma ci avvisa subito: "di fantascienza non so nulla!".

KINEMATRIX: Lei in questi giorni ha ribadito di non ritenersi un esperto di fantascienza, ma in una occasione come questa non possiamo astenerci dal fare una riflessione sul film di Kubrick. Ci può esprimere qualche considerazione in merito?

FERNALDO DI GIAMMATTEO: La prima cosa che mi viene in mente è che tutto ciò che aveva immaginato Kubrick non si è realizzato. Adesso che ci troviamo nel 2001 non c'è un HAL 9000, non c'è una Discovery, non si sono viaggi interplanetari. Da questo punto di vista la fantascienza non riesce mai a prevedere il futuro e su questo aspetto si potrebbe meditare. Pensiamo anche al film di Carpenter 1997 FUGA DA NEW YORK che non ne ha azzeccata una. Detto questo, il film di Kubrick resta una tappa importante non della fantascienza, di cui in fondo poco mi preoccupo perché non lo ritengo nemmeno un genere, ma una tappa importante per la storia del cinema in generale come anello di passaggio tra ciò che si pensava prima e la costruzione dell'avvenire. È riuscito ad esempio ad anticipare le paure e le angosce dell'uomo, come per ciò che riguarda le macchine pensanti con sentimento, che si offendono e che potrebbero in futuro governare l'umanità.

KMX: E' anche vero che il fascino di questo film sta anche nella sua ambiguità interpretativa.

FDG: Non solo nel cinema, nell'arte in genere, tutte le opere che valgono realmente qualcosa si prestano ad una pluralità di significati. E' proprio questa ambiguità che fa la forza delle opere che hanno qualcosa da dire. Va bene che ci siano anche delle controversie, che si litighi, si discuta, perché no? Anche questo indirettamente è la prova dell'importanza di un'opera.

KMX: Lei ama ribadire che la fantascienza non esiste come genere a sé, possiamo approfondire questa tesi.

FDG: Secondo me non è un genere ma un coacervo di generi in cui prevale ora l'aspetto avventuroso, ora quello orrorifico, quello riflessivo-filosofico, e così via. Il nucleo di questo supposto genere non c'è mentre se si prende la commedia, da Aristofane ad oggi, il nucleo non cambia anche se possono cambiare le situazioni o la società che vi si riflette dentro. Pensiamo anche al western. Può essere il western filosofico che è andato di moda in alcuni decenni, oppure quello di Sergio Leone che è fatto da un europeo che non ha alcuna esperienza diretta di quei temi, però il meccanismo formale e strutturale del genere è sempre quello mentre nell'evoluzione della fantascienza non si riesce a identificare nessuno nucleo strutturale comune. Ma ora basta parlare di fantascienza, argomento di cui conosco poco o nulla.

KMX: Va bene. Per provare ad allargare il discorso, mi viene in mente un fatto curioso avvenuto di recente ad Hollywood. Si è scoperto che un noto critico cinematografico veniva pagato per recensire positivamente certi film. Ma secondo lei, relativamente alla realtà italiana, quanto potere ha la critica nell'indirizzare i gusti del pubblico.

FDG: Difficile dirlo, occorrerebbe fare delle indagini e io posso solo esprimere delle opinioni. Intanto bisogna dire che la voce che anche in Italia ci siano critici corrotti corre. Siccome io non scrivo su quotidiani o su riviste non sono stato mai avvicinato da nessuno che intendesse corrompermi e quindi da questo punto di vista non ho particolari meriti. Però certe volte viene il dubbio leggendo certi elogi esagerati, certi entusiasmi di fronte a film anche modesti. Ma detto questo ti viene solo il dubbio. Venendo alla domanda, io sono convinto che la critica abbia comunque una certa influenza, altrimenti non farei questo mestiere. Del resto incontrando persone ci si accorge di come direttamente o indirettamente abbiano orecchiato qualcosa di scritto su un film e quindi un po' ne sono stati influenzati. A volte secondo me il pubblico reagisce quasi per reazione. Mi viene in mente il caso dell'ultimo film di Piccioni LUCE DEI MIEI OCCHI che, maltrattato a mio parere ingiustamente a Venezia, si sta ora vendicando sui critici e ottenendo un importante successo al botteghino.

KMX: In generale cosa pensa del pubblico italiano. Secondo lei è un pubblico maturo, dal "palato fine" oppure tende a farsi condizionare troppo dagli eventi che si costruiscono intorno ad un film.

FDG: Una volta si diceva che non si può mai parlare di pubblico in generale ma è necessario distinguere tra pubblico e pubblico, tra età ed età e così via. I giovani hanno inevitabilmente gusti diversi dalle persone di mezza età, chi vive al sud può essere portato ad apprezzare cose che piacciono meno al nord. E lo stesso si può dire tra chi vive in una grande e caotica città rispetto a chi sta in campagna. Comunque un minimo di evoluzione il pubblico in generale la ha avuta. In fondo il pubblico che andava al cinema negli anni trenta e quaranta in America come in Europa (tempi, tra parentesi, in cui la televisione non si era ancora diffusa) era un pubblico che seguiva delle direttive molto generiche che poi erano quelle dei generi. Si sapeva che andare a vedere una commedia con ad esempio Chaplin, significava andare a vedere una ben precisa commedia, un ben preciso film comico. Non era un pubblico maturo ma irreggimentato in compartimenti ben precisi perché era il cinema ad essere così settoriale. Con la Nouvelle Vague a partire dagli anni sessanta, il cinema acquista una nuova consapevolezza, esce dalla griglia dei generi. Quando accade questo è inevitabile che parallelamente anche il pubblico comincia a fare delle scelte diverse, a orientarsi in modo alternativo, si comincia ad andare al cinema pensando e scegliendo in modo più diversificato. Vedo quindi un minimo di maturità, che credo poi sia il massimo di maturità che il pubblico, inteso come massa, possa acquisire. Del resto non si può pretendere che tutto il pubblico voglia solo Fellini o Truffaut.

KMX: E veniamo al cinema Americano di oggi. In un libro recente a cura di Roy Menarini e Leonardo Gandini, HOLLYWOOD 2000, si parla espressamente di crisi di una struttura produttiva in cui un film è solo una parte, un accessorio di un progetto più vasto che comincia un anno prima con il lancio pubblicitario e termina un anno dopo con il videogame che dal film viene tratto.

FDG: Questa analisi effettivamente è veritiera. Comunque il cinema americano è pur sempre un cinema vitale, che tenta tutte le strade per mantenere il suo piedistallo economico che gli permette la strada del grande cinema di spettacolo. Ed è un cinema che ha dentro di sé una tale forza creativa ed una tale capacità di agganciare i gusti del pubblico, di tutto il mondo e non soltanto di quello americano, che vederlo in crisi mi sembra una cosa un po' comica. Tutti quelli che parlano di crisi del cinema americano probabilmente non hanno guardato il cinema europeo che non esiste praticamente più. In Italia chi c'è? In Europa chi è rimasto? E tutto il cinema europeo ad essere molto più debole, fragile, ad avere molte meno cose da dire del cinema americano. Gli americani avranno pure un apparato industriale imperialistico che invade il mondo, però non impone la sua volontà solo perché spara delle cannonate ma anche perché ha dei prodotti che esistono in quanto prodotti e non sono solo delle bandiere.

KMX: È anche vero che questa potenza toglie spazio poi alla produzione europea e finisce col condizionare i gusti di un pubblico che non trova spazi per sperimentare altre idee di cinema.

FDG: La preponderanza economica del cinema americano è evidente, ed è vero che quando può schiaccia la concorrenza, con la complicità degli esercenti e dei distributori italiani. Però tutto questo non c'entra nulla con la qualità del prodotto cinematografico americano.

KMX: A questo proposito, cosa pensa di questa fantomatica "rinascita" del cinema italiano attuale, un po' diviso tra i "mucciniani" da una parte e i "morettiani" dall'altra. Si può parlare, secondo lei, effettivamente di una nuova tendenza oppure si è trattato solo di una congiuntura fortunata.

FDG: Non lo so. E poi non credo che valga la pena di rompersi troppo la testa su questa questione della rinascita. Mi fa un po' ridere perché è come per quelli che si occupano della borsa e che guardano i grafici interrogandosi su dove si attesterà domani questo o quel titolo. Ci sono stati dei film interessanti, altri deboli, ci sono dei registi che hanno qualcosa da dire, ci sono dei registi che sanno fare il cinema, questa è la situazione che troviamo nel cinema italiano attuale. Alcuni registi sono bravi, altri hanno una personalità, come ad esempio Moretti. Ed è indubbio che chi ama Moretti non possa amare altrettanto un Muccino. Io sono tra quelli che amano Moretti e che nutre scarsa considerazione per L'ULTIMO BACIO. Intendiamoci, Muccino è un eccellente regista, in grado di costruire delle storie con una grande finezza e grande abilità. In più domina tutto quello che avviene sul set con una sicurezza che non si ritrova in nessun altro regista italiano attuale e riesce a far recitare ottimamente anche un attore scarso come Stefano Accorsi. Detto questo, occorre dire però che le storie che racconta sono superficiali, senza spessore. Se il tema del film è l'immaturità dei giovani d'oggi, egli si ferma semplicemente a questa constatazione, come possiamo fare io e te mentre facciamo una passeggiata. Egli aveva il dovere di approfondire e di dirmi il perché di questa immaturità, da dove effettivamente nasce l'inquietudine e l'immaturità nei ragazzi di oggi.

KMX: Non crete che in fondo un film come L'ULTIMO BACIO, dalla confezione curata e che racconta una storia capace di attirare pubblico pur senza troppe pretese contenutistiche, costituisca in fondo il prototipo di quel cinema "medio" che un po' è venuto a mancare in Italia negli ultimi anni.

FDG: Messa così sono d'accordo. In fondo la mancanza del cinema medio è stata una delle deficienze di tutto il cinema europeo in genere: grandi punte e tante stupidaggini. Non conosco le ragioni ma in Europa manca proprio questo "tappeto" sul quale in fondo cammina il cinema e che l'America costruisce giorno per giorno con tutti i suoi film. Certo che se si potesse affermare un cinema medio forse ci sarebbero anche più risorse da investire per il cinema di punta. Se quello di Muccino si possa considerare cinema medio? Beh, da questo punto di vista posso essere d'accordo ma resta il fatto che mi indigna un po' che un regista così fine e intelligente si abbandoni ad una storia senza senso perché lui il senso non glielo dà. A me sembra più una fuga davanti alle proprie responsabilità e tutto sommato viene fuori che tutto ciò che si vede nel film è un autoritratto dell'autore. Anche se non ho avuto modo di conoscerlo personalmente, ho questa impressione.

KMX: A proposito di questa sua ultima affermazione, cosa pensa del rapporto che esiste oggi tra autori e critica: esiste secondo lei una qualche forma di dialogo o si tratta di due mondi che non comunicano. E da questo punto di vista i grandi festival come Cannes o Venezia oltre ad essere delle vetrine promozionali potrebbero diventare luogo di incontro e dialettica tra critici da una parte e chi fa cinema dall'altra?

FDG: Non mi pare che ci sia molta collaborazione, dovrebbero forse interagire in maniera più diretta. Dove si possa fare non lo so, ma certo sarebbe importante farlo. I festival non saranno mai luoghi di incontro perché l'atmosfera del festival è tale da negare ogni possibilità di rapporto serio. Un festival è una specie di baraccone dove si va per imporre il proprio prodotto e avere successo comunque. Hanno tentato di fare incontri e tavole rotonde ma quando il regista si presenta in conferenza stampa lo fa con una funzione puramente promozionale sparando su tutti quelli che provano a fare delle obiezioni. Bisogna anche dire, quando si discute di questo, che c'è dietro un importante aspetto psicologico: l'autore è un essere sempre molto fragile, da Fellini a Visconti, fino ai più recenti come Moretti, soffre sempre molto quando si trova davanti qualcuno che entra nel merito delle cose che ha fatto ed in un certo senso le distrugge o almeno le critica. Questo finisce col creare un distanziamento che rende ogni comunicazione quasi impossibile. Dipende poi ovviamente dal carattere delle persone. C'è chi è più fragile e chi meno e quelli, come Visconti o Rossellini, che riuscivano a crearsi una specie di corazza intorno per cui potevi dire loro qualsiasi cosa che non ne erano per nulla toccati. Noto invece che gli autori di oggi, quando si critica magari duramente le loro opere, hanno la tendenza a prenderla come un fatto personale, ti tolgono letteralmente il saluto.

KMX: Prima di salutarci le chiediamo una risposta secca. La critica cinematografica è - o dovrebbe essere - più arte, più scienza o un misto delle due?

FDG: Scienza no di sicuro. Se c'è una cosa che non è scientifica è proprio la critica anche se, a seconda del temperamento personale, può essere più arte, più intuizione, più capacità di scoprire al volo le cose, oppure più analisi, approfondimento, sforzo di arrivare attraverso il ragionamento all'essenza delle cose. Soltanto quegli illusi dei semiotici del cinema sono convinti di fare una operazione scientifica ma si sbagliano di grosso. Umberto Eco, il più intelligente della truppa lo ha sempre detto. C'è una battuta del suo primo romanzo - IL NOME DELLA ROSA - che fa pressappoco così "io credevo che sarei riuscito a dominare il mondo, a inserirlo in una struttura e mi sono trovato davanti a cose che non ho saputo comprendere".

Loris SERAFINO