"Non
aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo"
Orson Welles
C’è una storia, tipicamente
italiana, che è la storia della fame. Una storia, oggi, forse poco
comprensibile, ma strettamente legata alla tradizione culturale e
cinematografica nostrana, in particolare nei due dopoguerra. Dal pensionato
ridotto in miseria di Umberto D ai contadini molisani di Francesco
Jovine, i nostri intellettuali hanno descritto, talvolta con ironia e
talvolta drammaticamente, tutta quella parte di popolazione che aveva
davvero poco di cui sfamarsi e soffriva, letteralmente, la fame. Anche
"La
Ricotta"
di Pier Paolo Pasolini è una storia di povertà e di stomaci vuoti: Stracci,
la comparsa che interpreta il ladrone buono nella rievocazione
cinematografica della passione di Cristo, cerca di sfamarsi tra una pausa e
l’altra delle riprese, visto che ha regalato il cestino del pranzo alla
moglie e ai sette figli.
L’episodio viene girato nel 1964 ed è inserito nel progetto filmico
RO.GO.PA.G. -
acronimo di Rossellini, Godard,
Pasolini, Gregoretti. Dietro la messa in scena di un carrozzone tipicamente
cinematografico, Pasolini nasconde un atto di denuncia contro il conformismo
e l’indifferenza della società italiana, come se
-
per dirla con Antonio Gramsci - “Ciò che succede, il male che si abbatte su
tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia
promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al
potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare (…) e allora
sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non
sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del
quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva
e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente”.
In scena dal 25 al 27 gennaio al Teatro Vascello, la versione teatrale de
"La
Ricotta",
ideata ed interpretata da Antonello Fassari con Adelchi Battista si
inserisce nella rassegna del Vascello dedicata a Pier Paolo Pasolini. Un
progetto -
così come spiega Battista a fine
spettacolo -
nasce circa otto anni fa. Noto al
grande pubblico per molte interpretazioni televisive e, in particolare, per
il ruolo di Cesare ne I Cesaroni, Fassari ha divertito e commosso il
pubblico con una performance energica e vitale che ha regalato pienezza
visiva e uditiva al palcoscenico. Con la sua parlata romanesca
-
che sarebbe tanto piaciuta a
Pasolini -
ci ha offerto una lettura
spettacolo in cui non c’è una sola voce monologante, ma semmai una
voce-guida più una moltitudine di personaggi e di voci
-
nonché di vocalità - scaturenti
da un solo corpo. Ci è sembrata altresì bella e interessante l’idea di
spiegare a fine spettacolo la genesi della trasposizione teatrale e l’idea
di proiettare per intero il film di Pasolini, in una modernissima
commistione tra cinema e teatro che conduce lo spettatore a riflettere
profondamente.
Fassari ci guida con tenerezza nella storia del povero Stracci e rende
ottimamente e tragicamente, proprio per mezzo del monologo, “un’umanità
fotografata nel suo rapporto con l’Assoluto e con il profano, come in una
sorte di Giudizio Universale, dove Stracci, il generico che diventa
protagonista, trasfigurato dalla ricerca del cibo, affronta un Calvario
reale ma invisibile a tutti gli altri” (A. Fassari). Un triste paradosso,
quello del jet set romano con star viziate e politici impettiti in contrasto
con i “poveracci” della campagna romana
-
spesso protagonisti dell’arte
pasoliniana -, reso ancora più grottesco dalla riflessione sul sacro e sul
Vangelo. Una riflessione sul Cattolicesimo e, soprattutto, sui valori di
carità e fratellanza, qui profondamente traditi: Stracci, misero e affamato,
viene schernito, deriso, tentato con un panino che non può agguantare dagli
operatori della troupe, rappresentanti del ceto medio e della decadenza
morale dell'uomo contemporaneo. Dopotutto, sono le stesse parole del regista
-
interpretato nel film dall’esoso
Orson Welles -
a svelare la critica alla piccola
borghesia italiana: “un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente,
conformista, razzista, schiavista, qualunquista.
Lei non esiste”, è, appunto, un indifferente.
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