SPECIALE MARTIN SCORSESE

 

PREMIO FONDAZIONE FELLINI

 

di Gabriele FRANCIONI

MARTIN SCORSESE A RIMINI
 


Dopo la laurea honoris causa consegnatagli dall’Università di Bologna, Martin Scorsese è stato insignito anche del Premio Fellini, al termine di una "tre giorni" memorabile in Emilia Romagna.
I rapporti con la Cineteca felsinea sono sempre stati ottimi, collaborativi e concreti, cosa assai rara per i grandi registi americani nei loro rapporti con enti e istituzioni di altri paesi.
Ciò lo si deve non solo all’essere “uno di Little Italy”, ma anche ad una sensibilità da cinefilo fattivamente coinvolto nell’azione di restauro e conservazione dei capolavori del cinema di ogni epoca e nazionalità.


 

L’autore de IL DOLCE CINEMA/IL MIO VIAGGIO IN ITALIA, infatti, si era precedentemente dedicato con attenzione a preservare la memoria delle pellicole statunitensi prodotte sino agli anni Settanta (VIAGGIO NEL CINEMA AMERICANO, 1995).
Da docente di cinema e maestro della comunicazione, il regista newyorkese si confronta costantemente con le nuove generazioni, al punto da intuire, prima di altri, il rischio dell’oblio o addirittura della non-conoscenza dei maestri del passato.


 

Chi è stato all’UCLA (ma non all’USC, che ha fama migliore) e ha girato tra gli scaffali di biblioteche e book-shop, conosce la sconfortante sensazione di assenza della memoria. Sono pochissime le monografie, scarse le sceneggiature, rari i saggi relativi all’epoca che arriva sino ai fatidici Seventies, quando il New American Cinema portava sugli schermi la realtà urbana del disagio, le angosce del singolo individuo perso dentro i suoni e i colori della metropoli alienata. E se Paul Schrader, epitome di tali individualità borderline, sensibili e sofferte, si era salvato scrivendo TAXI DRIVER, dopo divorzi, dipendenze varie e licenziamenti dall’American Film Institute, Scorsese, raccogliendone il testimone artistico, aveva rappresentato il tutto con una regia rivoluzionaria, sintonizzata e sincronizzata su ritmi e frequenze di New York.


 

Se chiedete a uno studente di cinema di Los Angeles, non potrà far a meno di ricordare Scorsese e Taxi Driver, ma non vi citerà un titolo di Howard Hawks e con scioltezza snocciolerà i nomi degli sceneggiatori studiati, tra cui sicuramente troveranno posto nomi a noi giustamente sconosciuti o meteore sopravvalutate come Kevin Williamson.


 

Persino ricevendo il Premio intitolato a John Huston, nel 1996, Scorsese parlò di “restoring”, di rispetto e di difesa dei “valori morali” del cineasta, di difesa del sistema-cinema a rischio di entropia, di diritti dell’Artista e di copyright usurpato dagli Studios. Una mosca bianca, un esempio meraviglioso di fede (lui che voleva essere un “parish priest”) in qualcosa di grandioso, quasi la dimostrazione di una vocazione che va oltre il talento artistico. “The Film Foundation”, “The Artists Rights Foundation”, tutte battaglie poco appoggiate in patria, vengono qui salutate con plauso e stima. C’è sempre un riferimento generoso all’Italia, nei discorsi pubblici di Scorsese: l’incontro con Jack Valenti della MPAA a Sorrento, nel 1970, il lavoro sul DOLCE CINEMA, i frequenti viaggi anche per incontrare Fellini, mai gratuiti e sempre volti a garantire un futuro alle pellicole bisognose di attenzioni e restauri. Di questi ultimi incontri, il regista ha fatto un racconto completo, appassionato e commovente, mettendo in parallelo la malattia del maestro riminese e quella del padre, scomparso quattro mesi prima di Fellini stesso.


 

Le passeggiate per la Roma notturna che ispirò SATYRICON, la Roma sotterranea, catacombale; la battaglia per far distribuire LA VOCE DELLA LUNA, quando entrambi furono sconfitti dal disinteresse delle Majors, seppur dopo gli ottimi incassi de L’INTERVISTA in America; addirittura il primissimo incontro del ’70 (forse proprio a Sorrento), quando il ventisettenne studente dell’American Film Institute, già cormaniano d.o.c., andò a presentare suoi brevi lavori, certo, ma anche a diffondere il materiale di altri colleghi alle prime armi. Un uomo che vive per il cinema a 360 gradi, come ha capito lo spettatore che, al Fulgor, gli ha urlato “Marty, sei un essere umano meraviglioso”, trascendendo i termini del premio e del contesto generale in cui veniva consegnato.
Scorsese ha diligentemente incontrato tutti: da Cofferati a Calzolari, da Farinelli a Olmi, da Sesti a Pupi Avati e ha chiesto solo poche ore di concentrazione per ritoccare la lectio magistralis nel giorno precedente il conferimento della laurea ad honorem.
Il viaggio a Rimini è stato ritagliato in mezzo ai tanti appuntamenti bolognesi: altri avrebbero dato forfait.


 

La citazione de I VITELLONI, per quanto doverosa, conteneva comunque qualcosa di personale, di sentito. La Rimini immaginata dal giovanissimo talento, che iniziò a soli quattro anni di età, nel 1946, a seguire il cinema anche italiano sugli schermi newyorkesi, era un luogo della fantasia, poi diventato topos di riferimento per altri cineasti affascinati dalla spiagge oniriche de I VITELLONI e de LA DOLCE VITA, dalle feste di matrimonio (ovviamente AMARCORD), o dalla potente valenza simbolica della palla di ferro - citata dal regista - di PROVA D’ORCHESTRA, che nel 1978 acquisiva un valore politico riferito al tragico presente e preconizzava il buio decennio successivo.
La speranza è che quello che successe a Fellini, dopo L’INTERVISTA e GINGER E FRED, non sia nel destino di S., costretto a remake di peraltro apprezzabili prodotti di provenienza asiatica (INFERNAL AFFAIRS) e ad avere THE AVIATOR co-finanziato da un Di Caprio.
L’età comincia a tenerlo lontano dalle generazioni dedite ai teenage movies: speriamo non venga dimenticato da giovani produttori quarantenni a Hollywood, da lui frequentata soprattutto nel periodo dell’American Film Institute e della factory cormaniana.
Scorsese è uscito dal Fulgor sulle stupende note della colonna sonora di TAXI DRIVER, ultimo e definitivo capolavoro di Bernard Herrman.
 


NO DIRECTION HOME



“Like jazz (and rock, n.d.r.), we must remember that cinema is the great indigenous American art form, and all we're saying is that we want it to be preserved and we want it to be shown, now and in the future, the way it was meant to be, by those who originally created it”.
 


A margine dell’evento del 26 novembre, sempre per parlare di musica, è stato proiettato NO DIRECTION HOME (frase ritagliata dal testo di LIKE A ROLLING STONE), l’accuratissimo lavoro sul Bob Dylan degli anni 1961-1966.
NO DIRECTION HOME è il compendio e la chiusura del cerchio di THE LAST WALTZ. A 29 anni di distanza e conclusasi l’epopea della west-coast e della canzone di protesta (sepolta dallo stesso Dylan della svolta elettrica, nel 1965), Scorsese, col distacco della maturità piena, tiene la materia musicale a una certa distanza, lasciandola raccontarsi attraverso la pertinenza del suono e delle parole, ma con un senso di rispettosa documentazione che era trascesa, in LAST WALTZ, dal pathos e dal coinvolgimento nei confonti di un’era (e relativi movimenti, come No Nukes) ancora viva, anche se pronta a lasciare il posto a diversi scenari (Patti Smith, Tom Verlaine, Talking Heads e Devo, un nome peraltro amato da Scorsese: con MONGOLOID erano la soundtrack del corto THE BIG SHAVE del 1967 e presentato a Venezia nel ’79).
 

 

Il concerto d’addio della Band dylaniana del ‘78 - il link è fin troppo evidente - lascia il posto a un fiume in piena di materiale fatto decantare, distillato e riportato in vita con l’arte del montaggio, infine fissato nello splendore contrastato del b/n, in cui la torrenziale produzione di Robert Zimmerman di quegli anni irripetibili è perfetta metafora di un’America che aveva nel Village di Greenwich l’ombelico di un non-movimento (c’era stato Kerouac, Woody Guthrie era in manicomio, resistevano sentori di Esistenzialismo, ma non di più) ancora lontano dal preciso impegno politico.

 

 

Scorsese e lo stesso Dylan non fanno sconti al proprio passato: l’opzione della lotta dura non era nelle prospettive delle star dell’epoca - fatta eccezione, pare, per Joan Baez e Pete Seeger, il resistenziale comunista che voleva tagliare i cavi elettrici del concerto del ’65 - e all’alba del Movimento, dopo l’incidente motociclistico del ’66, si ferma la parabola dylaniana, il suo coinvolgimento all’interno dello Human Rights, la valenza di messaggio collettivo dei suoi testi, da MASTERS OF WAR a BLOWIN IN THE WIND, e forse la grandezza di un’artista poi ritrovatosi solo a sprazzi (BLOOD ON THE TRACKS - HARD RAIN - DESIRE).

 


Scorsese descrive benissimo il non-detto, tutto ciò che avverrà di lì a poco: il rumoroso silenzio in cui si ritirò Dylan prima di BLONDE ON BLONDE contrastava con il massacro nell’università dell’Ohio, con MLKing e Bob Kennedy assassinati, quasi che il folk singer avesse “temuto” di fare quella stessa fine e avesse scelto l’ambigua strada della sopravvivenza.
C’è qualcosa di strano, una domanda che rimane sospesa nella carriera di Dylan e in NO DIRECTION HOME: cosa avvenne veramente nel ’66? Come fu esattamente la dinamica dell’incidente motociclistico? Perché Dylan tornò combattivo solo nel ’76, in era post-Watergate e carteriana? Perché la nuova implosione degli Ottanta e il trip cristiano (Zimmerman è ovviamente ebreo)?
 

 

Certo, Scorsese dice di essersi sentito troppo coinvolto - è praticamente coetaneo di Dylan - e di aver voluto principalmente assemblare materiale altrui (compaiono Ginsberg e Seeger, Baez, Al Kooper e Mike Bloomfield). Ma forse un po’ di distacco emotivo ci fu anche nel cineasta in erba, che come molti visse la svolta e il ritiro quasi si trattasse di un tradimento verso gli ideali di una generazione.
Ma, e qui dovremmo passare il testimone a Oliver Stone, quella domanda sospesa potrebbe forse trovare risposta e nel carattere schivo, un po’ opportunista, di Dylan, e nell’episodio del misterioso incidente: un avvertimento forte a un personaggio troppo scomodo - governava un falco come Lyndon Johnson, colui che seppellì JFK e rinvigorì il conflitto vietnamita - suggerisce il ritiro a Dylan.
Per non entrare a far parte dei misteriosamente scomparsi dell’epoca: Jimi, Jim, Janis, tutti uccisi in circostanze poco chiare da ancor meno chiare overdose di alcool e barbiturici.
Scorsese sa che Bob Dylan morì realmente in quell’incidente, lasciando il posto a Robert Zimmerman.

VOTO AL DOCUMENTARIO: 29/ 30
28:11:2005

 

 

NO DIRECTION HOME

Regia: Martin Scorsese
Data pub.:03:11:2005
Durata: 204' - Documentario
Lingua: Inglese/sott. In, It

Formato A/V: DD 5.1/Full Screen
Prezzo: € 26,34 (2DVD, zona2)