L.I.V.E. IN VENICE 2013

 

patty smith and her band
poetry, dance and music

 

Teatro Verde, Isola di San Giorgio, Venezia
27 luglio 2013 h.21

 

di Gabriele FRANCIONI I fotogallery
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 © Arianna Scolaro

30/Lode

Music begins to atrophy when it departs too far from the dance...
Poetry begins to atrophy when it gets too far from music.
(Ezra Pound)

Come il San Giorgio di Vittore Carpaccio, Patti Smith arriva in volo fino alla dead city veneziana atterrita dal drago, lei a cavallo di cani ululanti di nome Banga e Lenny Kaye, insieme ai quali chiama a raccolta le fiere impietrite dalla Storia, scioglie il leone di San Marco e percorre di notte le calli con la sua banda di giustizieri travestiti da bestie. Il drago è l’apatia, la fissità di una città che chiede solo di essere continuamente scossa dalla Cultura, dai Poeti e dagli Artisti, com’ è successo in questa mirabile seconda edizione del “L.i.v.e. in Venice”, il vero grande evento musicale delle ultime estati in laguna.
Per organizzare qualcosa che non ripetesse all’infinito la litania o il rosario dei topoi classici della nostra città, bisognava andare a cercare un luogo dimenticato e una location adatta ai concerti all’aperto. Il riuso del Teatro Verde è stato il colpo di genio di Aloud Promotion e di Ponderosa, cui si deve “L.I.V.”. Alcuni veneziani tra il pubblico non conoscevano nemmeno l’esistenza di questo anfiteatro, completato nel 1954 su progetto di Luigi Vietti e Angelo Scattolin e che ora ci permette di ammirare Patti Smith, i Buena Vista Social Club o Melody Gardot avendo come sfondo il bacino di San Marco verso il Lido. Tutto lo spazio che precede il teatro, dall’entrata laterale sino al grande parco e al retro-palco verso l’acqua è quanto di più semplicemente scenografico esista in laguna, senza però dover “sembrare Venezia”, quella delle pietre angolari, dei marmi,  delle colonne e dei bovoli. è fisiologico chiedere un po’ di verde in estate, anche restando in città:è l’occhio stesso a volerlo e, a San Giorgio, questo è possibile averlo senza doversi spingere fino al Lido. Chi scrive ricorda Leonard Cohen in Piazza San Marco, Cesaria Evora alla Fenice e Chico Buarque al Casinò estivo, ma lo scenario della cavea artificiale del Teatro Verde non ha paragoni e conferisce qualcosa di magico agli spettacoli, anche solo grazie all’aggiunta di semplici spot di luce colorata rivolti verso le colonne naturali dei cipressi. Noi siamo già in attesa dell’edizione 2014, sperando che l’evento si trasformi in un festival sviluppato lungo l’arco di dieci giorni/due settimane, arricchito, se possibile, da iniziative collaterali che accolgano il pubblico sin dal primo pomeriggio. Marc Quinn e “Fragile” hanno svolto egregiamente il loro compito - anche a prescindere dai concerti, ovviamente - ma sarebbe interessante poter rimanere all’interno dell’area del parco a partire da qualche ora prima degli spettacoli.
 

And the winged Lion became an howling dog…

Patti Smith è perfetta nel cogliere il significato del genius loci, intrecciando memoria collettiva e luoghi interiori. Nei suoi racconti il venezianissimo Albino Luciani,già celebrato in “Wave”, incontra Ezra Pound,probabilmente nella chiesa di San Giorgio, spesso citata tra un brano e l’altro, prima di tornare a San Michele, mentre durante l’esecuzione di “Banga” è l’intera schiera di sculture zoomorfe veneziane ad essere convocata per un poetico/maledetto raid notturno al seguito della godmother of punk  e del leone alato di San Marco portato in vita. La poetessa newyorchese va sempre oltre i confini del testo musicale e si pone al centro di un rito collettivo (quello sacro del LIVE) che esige la condivisione delle dimensioni private dei presenti.

Da “Redondo Beach” a “Dead City” non sappiamo se ci parla di America o di Venezia:

This dead city longs to be 
This dead city longs to be living 
Is it any wonder there's squalor in the sun 
With their broken schemes and their lotteries 
They never get nowhere 
This damn city this dead city 
Immortal city 
Suc-cess city 
Longs to be 
Longs to be
 
Free 

E quando viene rievocata la celebrazione del rito della fertilità grazie al quale il mare/madre della laguna le avrebbe permesso di avere un figlio, il glamour si fonde alla dimensione domestica, poiché sarebbe stata Isabella Rossellini a farle lanciare in acqua una delle due scarpe, come richiesto dalla tradizione.
La Smith è quindi un catalizzatore di energia pronta per essere redistribuita in forma di poesia recitata, danza, musica. La perfetta sintesi auspicata da Ezra Pound si realizza nella fusione di gesto aggraziato, affabulazione e
canto. è in questa forma complessa che ci vengono regalate “Privilege/Set me free”, ”Distant Fingers”, ”Break it Up”, ”Dancing Barefoot” e “Pissing in a River”, cioè il cuore della produzione smithiana degli anni Settanta, mentre al centro e alla fine del concerto stanno due concentrazioni di rock puro, con meno poesia e più spazio alla band (“her band”, ma anche dell’eterno Lenny Kaye).

Ascoltiamo “Summertime Blues”, cioè Eddie Cochran catapultato dagli albori del rock’n roll (1958!), ”Banga” e “Dead City”.
A fatica si rimane seduti e siccome “la gente ha in mano il potere”, quando parte “Because the Night” conquistiamo tutti il quasi-proscenio, che al Teatro Verde significa rischiare di cadere nel golfo mistico. ”Gloria” è pura apoteosi di energia animalesca, forse ancor più potente e aggregante del precedente inno smithiano-springsteeniano. Scendono dai gradoni semicircolari del T. Verde fiumi di teenager assolutamente non pronosticabili, quasi avessero capito che la set-list, dopo l’inevitabile “People have the Power”, prevede “My Generation” (Who, 1965).
Nonne e mamme coetanee della Smith assumono fattezze e sguardo acceso di figlie e nipoti, quindi benedette da un fotoritocco dell’anima che solo la musica eternamente giovane, il rock, può assicurare.


Dopotutto sappiamo da tempo che il rock’n roll “is here to stay”.
Forever.

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