L.I.V.E. IN VENICE 2013

 

buena vista social club
UNA CASITA EN VENECIA

 

Teatro Verde, Isola di San Giorgio, Venezia
25 luglio 2013

 

di Gabriele FRANCIONI I fotogallery
 tutte le foto
 © Arianna Scolaro

30/30

 

“Una casita en Veneçia,

una casita muy linda,

una casita en Veneçia

y un pasaporte…” 

Perfettamente a loro agio sull’isola di San Giorgio, per una sera trasformata in “piccola Cuba” del Son, della Rumba e del Cha Cha Cha, i Buena Vista Social Club ci lasciano intendere, tra le righe, che per quanto viaggino e siano perennemente in tournée, la loro segreta speranza è quella di una fuga definitiva verso l’ Altro Mondo e di un asilo politico, poiché il visto o il passaporto non sono che un palliativo rispetto al desiderio di “libertà assoluta”.

Oliver Stone, e non solo lui, condividerebbe pochissimo questa misinterpretazione delle qualità taumaturgiche di un’ esistenza passata tra gli agi dell’universo lanciato verso il New World Order.
Dubitiamo che a Cuba si viva peggio che in Grecia/Spagna/Italia, almeno in questo scorcio di lunghissimo tramonto del Vecchio Continente.
La “casita en Veneçia” è un miraggio per i Buena Vista,forse anche più del “pasaporte”.

Carlos Calunga, nuovo e giovane cantante dei BVSC, gioca sul tema dell’espatrio ,mentre la vecchia guardia, seduta in seconda fila, ha ben altre aspettative di vita. Pensando agli ultimi dieci anni, poi, sembra che un cha cha cha lento sia meglio di una rumba travolgente, come filosofia esistenziale: cinque o sei storici componenti del Club, infatti, sono morti per l’eccessivo girovagare e per l’impatto col resto del mondo.Fatta eccezione per Compay Segundo - scomparso ultranovantenne nel 2003 - gli altri non hanno retto il salto dalla pacifica, rigida monotonia castrista ai ritmi sincopati dell’Occidente.
Calunga,
per quanto dinamico e abile affabulatore, è l’anello debole della catena, sostituto naturale proprio di Ibrahim Ferrer, strepitoso leader e inimitabile voce dell’ensemble originaria, andatosene poco più che settantenne.

A-Live in Venice.

Al di là di tutto, il concerto è strepitoso e il ricambio naturale ha giovato al suono del Club, che alterna il dinamismo di danze veloci, lasciate al carisma di  una giovane cantante, ottima bailarina e fondamentale presenza scenica, al ritmo più cadenzato di guajiras come “El carretero”.
La struttura del concerto è precisa e omaggia la tradizione del gruppo ,conservata nella memoria del fondatore  Maximo Francisco Repilado Muñoz (Compay Segundo,1907/2003),
l’unico insieme a Ferrer ad aver realmente vissuto le due epoche contrapposte della Cuba di Batista e Fidel Castro.
Ad un inizio scoppiettante lasciato alla joven guardia,
seguono tre sezioni distinte,quasi dei live-set autonomi all’interno del concerto, che ruotano attorno alle figure di Eliades Ochoa (chitarrista e cantante) e della cantora Omara Portuondo, icone di due diverse generazioni del Son cubano, poi riunite nel finale dedicato all’Orquesta come insieme di solisti e virtuosi.

Di solito si tralascia,infatti, la provenienza dei musicisti del Club:sono i migliori strumentisti cubani,alcuni scelti dallo stesso Segundo poco prima di morire.

Ochoa
e Portuondo hanno anche carriere autonome, ma, considerata la fama e le richieste delle platee internazionali, seguono ormai ogni tournée dei Buena Vista allo scopo anche di alzare l’età media dell’ensemble e garantire quello spessore e senso di tradizione che musicisti troppo giovani non potrebbero in nessun modo comunicare. Si chiede al Club di non assomigliare nemmeno visivamente ad un’orchestra di salsa: i 13 componenti, infatti, impegnati a coprire il vasto palco del Teatro Verde, rimangono seduti (eccetto cantanti e contrabbassista o trombettista in fase di a-solo) e invitano, con la loro stessa posa, a una meditazione approfondita sulle origini di un suono antico.

“Rincon Caliente, “El Bodeguero”, “El Ruisenor del Guateque”
e “Cemento, Ladrillo, Arena” - ovvero l’incipit tutto dinamismo e ballo - non prevede alcun brano dall’unico, storico album in studio dei BVSC (1997), ma serve, oltre che come introduzione, a mostrare le qualità compositive e di orchestrazione di Manuel Guajiro Mirabal e Barbarito Torres,trombettista chitarrista,  appartenenti al nucleo originario del 1996,una sorta di all stars di tutte le migliori orchestre allora ancora attive a Cuba dopo oltre 35 anni dalla presa del potere da parte di Castro.

Nel 2006 il disco che portava il nome di Guajiro  ricevette il Grammy Award come Miglior Album Latino. Il cha cha cha del “Ruisenor” di Torres, lascia spazio all’ensemle più raccolta di “Cemento Ladrillo Arena”, per charanga, ovvero una formazione in cui il violino ha più spazio rispetto all’orchestra piena.

La temperatura emotiva sale con l’arrivo di Eliades Ochoa: si torna al 1997,alla guajira di “El carretero” e a “De camino a la Vereda”, con atmosfere e testi di semplicità ancestrale (tradimenti e figure di malafemmina senza tempo o di lavoratori di campagna lontani da ogni tentazione urbana) su una base musicale sempre articolata e complessa.  Ochoa ha un timbro profondo e rauco e duetta spesso con Barbarito Torres, di cui è in un certo senso l’alter ego.

Sto andando al magazzino
a lasciare il mio carico
sto andando al magazzino
a lasciare il mio carico
lì sarà terminato
il mio faticoso lavoro

Andiamo a cavallo per la montagna
andiamo a cavallo per la montagna…

Io lavoro senza sosta
per potermi sposare

io lavoro senza sosta
per potermi sposare
e se ci riuscirò
sarò un campagnolo felice (…).

EL CARRETERO.


Dall’entrata in scena dell’83enne Omara Portuondo,che avanza claudicante in un vestito rosso fuoco,
il coinvolgimento del pubblico diventa automatico,dettato dalla gestualità e dalla mimica attoriale di una performer straordinaria.

Portuondo (o “Delmundo”,
secondo l’epiteto usato dai musicisti) è emozione pura,racchiusa in un timbro incredibilmente espressivo, che convoca il pianto anche quando il canto è una celebrazione di allegria. Dalla sostenuta “Mulatas del cha cha cha”, eco delle atmosfere dei suoi esordi a l’Havana, a “Veinte anos”, anch’essa tratta dal disco del ’97, l’anziana cantante domina la scena, accenna qualche passo (era principalmente ballerina, negli anni ’40) e balla col marito, Juan de Marcos Gonzales (chitarra). Solo “Quizas Quizas”, molto attesa, risulta un po’ sotto il livello medio d’interpretazione: forse perché è un cha cha cha noto a tutti, probabilmente considerato commerciale dai Buena Vista: sta di fatto che viene ridotto a pochi minuti, senza assoli e con la stessa Portuondo che lo esegue distrattamente.
Il finale,
però, è memorabile, perché Eliades Ochoa riprende il testimone da Omara, che sostituisce prima dei due bis.

“Chan Chan”
e “El cuarto de Tula”, forse i brani più noti dell’album in studio prodotto da Ry Cooder, mantengono lo spirito e la carica originari. In particolar modo “Chan Chan”,assoluto capolavoro di Segundo,conquista la platea con un crescendo sconosciuto ad altri brani.
 

De Alto Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí

El cariño que te tengo
No te lo puedo negar
Se me sale la babita
Yo no lo puedo evitar

Cuando Juanica y Chan Chan
En el mar cernían arena
Como sacudía el jibe
A Chan Chan le daba pena

Limpia el camino de pajas
Que yo me quiero sentar
En aquél tronco que veo
Y así no puedo llegar

CHAN CHAN


Il ritorno della Portuonodo, per “Dos Gardenias” e “Candela”,
così diversa dalle versioni radiofoniche (o internettiane), crea l’amalgama perfetto, con Omara e Ochoa contemporaneamente sul palco.
Un plauso anche a Jesus Aguaie Ramos,
trombettista, che ha coordinato, da vero direttore d’orchestra, l’alternarsi dei vari set durante le due ore abbondanti di concerto.

SITO UFFICIALE

 

L.I.V.E. in Venice 2013
BUENA VISTA SOCIAL CLUB