“Una casita en Veneçia,
una casita muy linda,
una casita en Veneçia
y un pasaporte…”
Perfettamente a loro agio sull’isola di San Giorgio, per una sera
trasformata in “piccola Cuba” del Son, della Rumba e del Cha Cha Cha, i
Buena Vista Social Club ci lasciano intendere, tra le righe, che per quanto
viaggino e siano perennemente in tournée, la loro segreta speranza è quella
di una fuga definitiva verso l’ Altro Mondo e di un asilo politico,
poiché il visto o il passaporto non sono che un palliativo rispetto al
desiderio di “libertà assoluta”.
Oliver Stone, e non solo lui, condividerebbe pochissimo questa
misinterpretazione delle qualità taumaturgiche di un’ esistenza passata tra
gli agi dell’universo lanciato verso il New World Order.
Dubitiamo che a Cuba si viva peggio che in Grecia/Spagna/Italia, almeno in
questo scorcio di lunghissimo tramonto del Vecchio Continente.
La “casita en Veneçia” è un miraggio per i Buena Vista,forse anche più del
“pasaporte”.
Carlos Calunga,
nuovo e giovane cantante dei BVSC,
gioca sul tema dell’espatrio
,mentre la vecchia guardia,
seduta in seconda fila, ha ben altre aspettative di vita. Pensando
agli ultimi dieci anni,
poi,
sembra che un cha cha cha lento sia meglio di una rumba travolgente,
come filosofia esistenziale:
cinque o sei storici componenti del Club,
infatti,
sono morti per l’eccessivo girovagare e per l’impatto col resto del
mondo.Fatta eccezione per Compay Segundo
-
scomparso ultranovantenne nel 2003
- gli altri non hanno retto il salto dalla pacifica,
rigida monotonia castrista ai ritmi sincopati dell’Occidente.
Calunga,
per quanto dinamico e abile affabulatore,
è l’anello debole della catena,
sostituto naturale proprio di Ibrahim Ferrer,
strepitoso leader e inimitabile voce dell’ensemble originaria,
andatosene poco più che settantenne.
A-Live in Venice.
Al di là di tutto, il concerto è strepitoso e il ricambio naturale ha
giovato al suono del Club,
che alterna il dinamismo di danze veloci,
lasciate al carisma di una giovane cantante,
ottima bailarina e fondamentale presenza scenica,
al ritmo più cadenzato di guajiras come “El carretero”.
La struttura del concerto è precisa e omaggia la tradizione del gruppo
,conservata nella memoria del fondatore Maximo Francisco Repilado Muñoz
(Compay Segundo,1907/2003),
l’unico insieme a Ferrer ad aver realmente vissuto le due epoche
contrapposte della Cuba di Batista e Fidel Castro.
Ad un inizio scoppiettante lasciato alla joven guardia,
seguono tre sezioni distinte,quasi dei live-set autonomi all’interno
del concerto,
che ruotano attorno alle figure di Eliades Ochoa (chitarrista e
cantante) e della cantora Omara Portuondo,
icone di due diverse generazioni del Son cubano,
poi riunite nel finale dedicato all’Orquesta come insieme di solisti e
virtuosi.
Di solito si tralascia,infatti, la provenienza dei musicisti del Club:sono i
migliori strumentisti cubani,alcuni scelti dallo stesso Segundo poco prima
di morire.
Ochoa
e Portuondo hanno anche carriere autonome,
ma,
considerata la fama e le richieste delle platee internazionali,
seguono ormai ogni tournée dei Buena Vista allo scopo anche di alzare l’età
media dell’ensemble e garantire quello spessore e senso di tradizione che
musicisti troppo giovani non potrebbero in nessun modo comunicare. Si chiede
al Club di non assomigliare nemmeno visivamente ad un’orchestra di
salsa:
i 13 componenti,
infatti,
impegnati a coprire il vasto palco del Teatro Verde,
rimangono seduti (eccetto cantanti e contrabbassista o trombettista in fase
di a-solo) e invitano,
con la loro stessa posa,
a una meditazione approfondita sulle origini di un suono antico.
“Rincon Caliente, “El Bodeguero”, “El Ruisenor del Guateque”
e
“Cemento,
Ladrillo,
Arena”
-
ovvero
l’incipit tutto dinamismo e ballo
- non
prevede alcun brano dall’unico,
storico
album in studio dei BVSC (1997),
ma
serve,
oltre che come
introduzione,
a
mostrare le qualità compositive e di orchestrazione di Manuel Guajiro
Mirabal e Barbarito Torres,trombettista chitarrista,
appartenenti al nucleo originario del 1996,una sorta di all stars
di tutte le migliori orchestre allora ancora attive a Cuba dopo oltre 35
anni dalla presa del potere da parte di Castro.
Nel 2006 il
disco che portava il nome di Guajiro ricevette il Grammy Award come Miglior
Album Latino. Il cha cha cha del “Ruisenor” di Torres, lascia spazio
all’ensemle più raccolta di “Cemento Ladrillo Arena”,
per
charanga, ovvero una formazione in cui il violino ha più spazio rispetto
all’orchestra piena.
La temperatura
emotiva sale con l’arrivo di Eliades Ochoa: si torna al 1997,alla
guajira di “El carretero” e a “De camino a la Vereda”,
con
atmosfere e testi di semplicità ancestrale (tradimenti e figure di
malafemmina senza tempo o di lavoratori di campagna lontani da ogni
tentazione urbana) su una base musicale sempre articolata e
complessa. Ochoa ha un timbro profondo e rauco e duetta spesso con
Barbarito Torres, di cui è in un certo senso l’alter ego.
Sto andando al magazzino
a lasciare il mio carico
sto andando al magazzino
a lasciare il mio carico
lì sarà terminato
il mio faticoso lavoro
Andiamo a
cavallo per la montagna
andiamo a cavallo per la montagna…
Io lavoro
senza sosta
per
potermi sposare
io lavoro
senza sosta
per potermi sposare
e se ci riuscirò
sarò un campagnolo felice (…).
EL
CARRETERO.
Dall’entrata in scena dell’83enne Omara Portuondo,che avanza
claudicante in un vestito rosso fuoco,
il
coinvolgimento del pubblico diventa automatico,dettato dalla gestualità e
dalla mimica attoriale di una performer straordinaria.
Portuondo (o “Delmundo”,
secondo
l’epiteto usato dai musicisti) è emozione pura,racchiusa in un timbro
incredibilmente espressivo,
che
convoca il pianto anche quando il canto è una celebrazione di
allegria.
Dalla
sostenuta “Mulatas del cha cha cha”,
eco
delle atmosfere dei suoi esordi a l’Havana,
a “Veinte
anos”,
anch’essa
tratta dal disco del ’97,
l’anziana cantante domina la scena,
accenna
qualche passo (era principalmente ballerina,
negli
anni ’40) e balla col marito,
Juan de
Marcos Gonzales
(chitarra).
Solo “Quizas
Quizas”,
molto
attesa,
risulta un po’
sotto il livello medio d’interpretazione:
forse
perché è un cha cha cha noto a tutti, probabilmente considerato
commerciale dai Buena Vista: sta di fatto che viene ridotto a pochi
minuti,
senza assoli e
con la stessa Portuondo che lo esegue distrattamente.
Il finale,
però,
è
memorabile,
perché
Eliades Ochoa riprende il testimone da Omara, che sostituisce prima dei due
bis.
“Chan Chan”
e “El cuarto de Tula”,
forse i
brani più noti dell’album in studio prodotto da Ry Cooder,
mantengono lo spirito e la carica originari.
In
particolar modo “Chan Chan”,assoluto capolavoro di Segundo,conquista la
platea con un crescendo sconosciuto ad altri brani.
De Alto
Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí
El cariño que te tengo
No te lo puedo negar
Se me sale la babita
Yo no lo puedo evitar
Cuando Juanica y Chan Chan
En el mar cernían arena
Como sacudía el jibe
A Chan Chan le daba pena
Limpia el camino de pajas
Que yo me quiero sentar
En aquél tronco que veo
Y así no puedo llegar
CHAN CHAN
Il ritorno della Portuonodo, per “Dos Gardenias” e “Candela”,
così
diversa dalle versioni radiofoniche (o internettiane),
crea
l’amalgama perfetto,
con
Omara e Ochoa contemporaneamente sul palco.
Un plauso anche a Jesus Aguaie Ramos,
trombettista,
che ha
coordinato,
da vero
direttore d’orchestra,
l’alternarsi dei vari set durante le due ore abbondanti di concerto. |