Organizzata da Umberto Berlenghini e Michelangelo D’alto in
collaborazione con la Cineteca di Bologna, la rassegna avrà nei mesi di
Ottobre, Novembre e Dicembre una replica quasi integrale al Museo Nazionale
del Cinema di Torino e repliche parziali nelle sale del circuito ‘Fronte del
pubblico’, a Parma, Modena, Reggio Emilia, Ferrara, Cesena e Ravenna.
L’uomo, lo stile, il cinema
L’uomo, perché Peckinpah ha messo nei suoi film qualcosa di più di
semplici storie e immagini; ha rivelato se stesso, la propria vita e la
propria personalità. indissolubilmente intrecciate alla Natura, al Mito e
alla Storia del suo Paese. Lo stile, perché Peckinpah è un autore
capace di piegare tecnica e linguaggio ad una scrittura personale
assolutamente inimitabile (ben al di là delle infinite imitazioni). Il
cinema, perché nei film di Peckinpah il western, la violenza, la New
Hollywood – giusto per rimanere ai cliché – sono talmente vividi e potenti
da mostrare come e perché il cinema rappresenti la resistenza contro
l’abbruttimento sociale e culturale dell’America contemporanea, quella
dell’era televisiva.
Mi piace bere, mangiare, mi piacciono i
vestiti comodi e le belle donne. Ma se mi lascio fregare da questa società
consumista, poi finisce che non riesco più a fare i film che voglio fare.
Sono un nomade, uno che vive con la valigia in mano e la mia casa è lì dove
sto girando un film. Sam Peckinpah
(intervista a Playboy, agosto 1972)

La
rassegna "Sam Peckinpah. Il Ritmo della Violenza", per chi ha avuto la
fortuna di seguirla interamente, è stata qualcosa di più di una semplice
retrospettiva cinematografica. È stata un’esperienza, estetica, culturale,
umana. Un insieme di persone (appassionati, collezionisti, film maker,
collaboratori del regista, critici, studenti di cinema) si sono immersi per
una settimana – mattina, pomeriggio e sera – nelle opere dell’autore, nei
documentari su di lui, nei discorsi che costituiscono la memoria dell’arte e
della personalità di questo gigante del cinema. La quasi totalità della
produzione peckinpachiana e ogni dettaglio conosciuto della sua vita sono
stati visti e ascoltati dallo schermo e dalla voce di coloro che sono
rimasti segnati dalla potenza dei suoi film.

Il primo e misconosciuto, prima di tutto perché invisibile,
La morte cavalca a Rio Bravo (Deadly
Companion, 1961) è stato proiettato in DVD perché la pellicola
originale risulta apparentemente introvabile. Si tratta di un film
decisamente minore e inaugura la lotta infinita fra Peckinpah e i
produttori: tratto da un romanzo odiato dal nostro (come accadrà di nuovo
con il celebre e maledetto Cane di
paglia), il film fu l’oggetto degli scontri fra il regista e la
produzione, che gli impose di rispettare il libro. Il risultato è
decisamente deludente, anche se si intravedono elementi propri dello stile e
della poetica di Peckinpah.

La
dimostrazione che la colpa della malriuscita del primo esperimento non era
sua, l’abbiamo potuta osservare grazie alla magnifica copia restaurata di
Sfida nell’Alta Sierra (Ride the
High Country, 1962), girato solo pochi mesi dopo l’opera d’esordio.
Capolavoro del cosiddetto western crepuscolare, di cui rappresenta uno dei
primi esempi, quest’opera merita di essere vista e rivista nella versione
originale in pellicola, con i suoi colori technicolor che restituiscono le
montagne della California, amatissime dal regista. Anche il terzo lavoro,
Sierra Charriba (Major Dundee,
1965) è stato presentato a Bologna in una copia recentemente restaurata che
cerca di riportare l’opera il più vicino alla concezione dell’autore: la
vicenda produttiva del film è segnata forsa dalla più grave rottura fra
Peckinpah e la produzione dei suoi film, un dissidio che costerà al regista
un esilio dal set durato fino alle riprese del suo capolavoro assoluto,
Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch,
1969).

Sierra Charriba, visto
durante la rassegna in una versione di 134’, si dimostra essere un’opera
unica, che rivela, anche nelle lacune dovute all’ingerenza dei produttori,
lo stile e le tematiche più personali dell’autore; basti citare la scena del
massacro finale, in cui i discutibili eroi vengono decimati dalle truppe
francesi, inequivocabile premonizione della chiusura epocale del film del
’69. Le opere successive, da La
ballata di Cable Hogue (1970) a
Voglio la testa di Garcia
(1974), da Getaway (1972) a
La croce di ferro (1977), da
Cane di paglia (1971) a
Pat Garret e Billy the Kid
(1973) – proiettato a Bologna nella versione director’s cut, sono
ormai dei classici, pietre miliari del cinema americano “modernista” degli
anni Settanta in cui Peckinpah declina con diverse intonazioni la sua
organica e personalissima visione del mondo.
Forse
meno conosciuti, ma non per questo meno entusiasmanti, anzi,
L’ultimo buscadero (1972), Killer
Elite (1975), Convoy (1978) e
OsteRman Weekend (1983) sono splendidi esempi dell’irriducibile
alterità del regista rispetto al mondo contemporaneo: la delicata elegia
della star del rodeo interpretato da Steve McQueen nel film del ’72 e la
paranoica durezza di quello dell’83 dimostrano come dietro la violenza
superficiale delle opere di Peckinpah si nascondessero la tenerezza e la
nostalgia verso un mondo più onesto e umano.

Oltre alla retrospettiva completa dei quattordici lungometraggi
diretti dal regista tra il 1961 e 1983, la rassegna ha proposto una quantità
di materiali per lo più sconosciuti o sottovalutati dal pubblico e
probabilmente anche dalla critica.
Innanzitutto, la vasta produzione televisiva (51 opere fra il 1956 e
il 1968) è stata rappresentata da ben 31 titoli, sceneggiati, diretti o
prodotti da un giovane Peckinpah in cerca del proprio spazio nel mondo del
cinema. Si tratta di qualcosa di ben più interessante che semplici prove
giovanili o lavori su commissione: nonostante l’impossibilità di esprimersi
completamente e le frustrazioni imposte dalle rigide regole della
comunicazione televisiva, tanto più nell’America degli anni Cinquanta, i
telefilm scritti o diretti da Peckinpah mostrano in maniera illuminante la
nascita e lo sviluppo, graduale ma non per questo meno stupefacente, dello
stile e della poetica del regista. Peckinpah esordisce come sceneggiatore,
dopo il lavoro di dialoghista per Don Siegel, con "Gunsmoke" (1955/1975),
serie tratta da uno spettacolo radiofonico molto popolare, a sua volta uno
dei più grandi successi del western televisivo; grazie a questa prima
esperienza Peckinpah acquistò subito notorietà nell’ambiente e gli vennero
affidate, oltre ad una notevole quantità di episodi per diversi serial, "The
Rifleman" (1958/1963) e "The Westerner" (1960). Quest’ultima, composta di
soli 13 episodi, fu interamente ideata e prodotta dal nostro; la sua visione
del West può finalmente dispiegarsi interamente, anche se ancora attraverso
i filtri del visibile televisivo, e ne risulta quella che secondo molti è
stata la migliore serie western di tutti i tempi. Lo stile di regia di
mostra una padronanza ormai eccellente nella gestione del tempo e dello
spazio filmici; l’atmosfera che è decisamente inconsueta nella fiction
televisiva; i temi prediletti di Peckinpah prendono forma uno ad uno: i veri
effetti della violenza, un panorama di personaggi sbandati e fuori dalle
regole, la corruzione delle istituzioni. Forse per questo, la serie fu
cancellata prestissimo.

Due
spot pubblicitari girati in Giappone con James Coburn e i due videoclip
("Valotte" e "Too Late for Goodbyes") realizzati per Julian Lennon nel 1984,
pochi mesi prima della morte, pur non aggiugendo nulla alla sua parabola
artistica, ci mostrano “in negativo” quale spreco siano stati i cinque anni
di inattività forzata cui il degrado fisico e l’ostracismo da parte dei
produttori hanno costretto Peckinpah tra il ‘78 e l’83.
Sette filmati “backstage” (d’epoca e non) hanno rivelato i retroscena
della realizzazione di alcune fra le pellicole più conosciute. Fra questi
spicca, per durata e approfondimento, "Alpha to Omega: Exposing The Osterman
Weekend", di Jonathan Gaines, proveniente dall’edizione in DVD del film: i
retroscena della realizzazione dell’ultimo film diventano un luogo
privilegiato per osservare la fase finale e travagliata della vita del
regista, ancora una volta espropriato della sua opera dai produttori che
pure gli avevano offerto la propria disponibilità dopo anni di disinteresse
da parte dell’industria.
La vicenda umana del regista è stata ampiamente ripercorsa attraverso i
nove documentari proposti: dall’infanzia passata sulle montagne e nei
boschi della California meridionale, là dove rimaneva ancora la memoria
diretta del West, agli anni della decadenza, dovuta in primo luogo all’abuso
di alcol e cocaina, ogni fase della vita del regista è stata raccontata
senza sensazionalismi ma anche senza reticenze da coloro che hanno
conosciuto l’autore o che hanno deciso di dedicare molto del loro tempo per
collezionare le sue opere e i suoi cimeli, per scrivere un libro su di lui,
per girare un film, magari nei luoghi dove sono stati nati i suoi
capolavori. Quattro i lungometraggi presentati, tutti interessanti:
Sam Peckinpah: Man of Iron
(GB/1990) di Paul Joyce (90’),
Sam’Peckinpah’s West: Legacy of a Hollywood’s Renegade (USA/2004) di
Tom Thurman (90’), Passion & Poetry
(Germania/2005) di Mike Siegel (115’),
Sam Peckinpah: un ritratto
(Francia-Italia/2006) di Umberto Berlenghini e Michelangelo Dalto (80’).

Alcuni dei materiali raccolti dai collezionisti Jeff Slater e Mike Siegel
(locandine, foto di scena, una uniforme proveniente dal set di
Sierra Charriba) sono stati
raccolti e presentati in una mostra fotografica allestita nella sale della
Cineteca di Bologna. Infine, a completare il quadro, sono stati proiettati
Amore piombo e morte e
Stridulum, due film di produzione italiana del 1978 nei quali il
regista figura nelle vesti di attore in piccole apparizioni; il primo, uno
spaghetti western del grande Monte Hellman, amico di Peckinpah, il secondo,
un horror delirante di Giulio Paradisi con un cast all star che comprende
anche John Huston e Glenn Ford.

In occasione della rassegna, è stato pubblicato dalla Cineteca in
collaborazione con la casa editrice Le Mani il volume "Sam Peckinpah.
Il Ritmo della Violenza", a cura di Franco La Polla, che contiene
interessanti saggi di critici italiani e stranieri, come Flavio De
Bernardinis, Emanuela Martini, Claver Salizzato, Claudio Bisoni, Stephen
Prince, David Weddle, le testimonianze di Katherine Haber, collaboratrice di
Peckinpah, e di Gianni Bozzacchi, produttore di
Amore piombo e furore, ma
soprattutto la splendida intervista concessa da Peckinpah a "Playboy" nel
1972, sul set de L’ultimo buscadero, in cui esprime con chiarezza, ironia e
intelligenza uniche tutta la propria visione della vita, dell’America e del
Cinema.
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