
Emidio Greco presenta a Roma il suo film, tratto dall'omonimo
romanzo di Leonardo Sciascia, dinanzi ad una sala gremita di giornalisti
e critici cinematografici.
EMIDIO GRECO: Si tratta di una
pellicola che a prima vista è molto fedele al romanzo mentre nell'intenzione
e nella sostanza è un'interpretazione personale, una rielaborazione
rispettosa dell'essenza pur nel rispetto della forma. E' il mio secondo
lungometraggio tratto da un libro di Sciascia ed è frutto di un
progetto piuttosto datato che si può collocare nel 1993. Problemi
di finanziamento e produzione lo hanno fatto slittare per quasi un decennio,
in un panorama piuttosto desolante che vuole il cinema italiano come cinema
povero che difficilmente si permette ricostruzioni storiche ed affreschi
di costume.
DOMANDA: Nonostante sia tratto dal romanzo meno politico di Sciascia
il film appare nettamente politico..
GRECO: E' vero ma è anche un film esistenzialista (molto
più del libro)
D: Ma l'idea politica con cui è nato il progetto del '93
è la stessa di oggi?
GRECO: Sì, fondamentalmente è la stessa nonostante
il trascorrere del tempo non sia fattore contingente. Il riferimento preciso
alla grande impustura di Vella è la stessa mistificazione operata
dai Media oggi. Lo stesso vale per il mondo virtuale che, anzi, lungi
dall'essere smascherato diventa quasi un mito. Naturalmente la realtà
attuale è molto diversa sia da quella di un decennio fa che, tanto
più, di quella del '63 in cui Sciascia scrisse il libro. Ciò
che rimane invariato è il modo di affrontarla: molti non capiscono
ancora oggi, ma alcuni ragionano con la propria testa.
GRECO: Il fatto storico narrato dal libro è autentico: Il
Consiglio d'Egitto come falso d'autore è conservato al Museo di
Palermo ed è storicamente provato che l'Avv. Di Blasi ordì
le fila di una congiura giacobina. Quello che non è certo e che,
pertanto, è stato oggetto di licenza letteraria da parte dell'autore
e di rielaborazione critica da parte mia, è la natura dei due personaggi
protagonisti delle storie parallele. Del Vella, per esempio, alcuni hanno
sostenuto con forza l'assoluta ignoranza mentre altri storici ne hanno
esaltato la cultura profonda. Del Di Blasi alcuni dissero che si pentì
sul patibolo, altri che non rinnegò mai la sua vocazione per la
Repubblica. Sciascia, per esempio, inventa per intero che la grande impostura
non fu scoperta ma confessata, per troppa noia, da un abate Vella stufo
di recitare ogni sera lo stesso personaggio, rivelando il pirandellismo
di certe sue creazioni. Si passa, così, dalla Storia all'invenzione
letteraria e da questa alla rielaborazione melodrammatica del cinema in
cui è possibile sentirsi ancora più liberi.
Continua GRECO: Se Sciascia fosse vivo sono certo amerebbe il mio
film. Ho cercato di dare luce ad un aspetto sottovalutato della sua letteratura:
il rapporto drammatico tra ragione e sentimento che va oltre la formazione
illuminista dello scrittore. Io ho cercato, tramite i due protagonisti,
di creare degli eroi pre-romantici, così come trasparivano dalla
lettera del romanzo di Sciascia. Se, infatti, è inevitabile che
i due progetti utopici falliscano (ragione), il tentativo di dare corpo
al progetto è già, di per sé, il successo del sentimento.
GRECO: Il riferimento all'abate Vella così come contenuto
nel film non è fedelissimo al libro. Nel romanzo, infatti, si trattava
di un "fratacchione" di un metro ed ottanta col pancione prominente
e la tonaca sporca. Aver scelto un attore pazzesco come Orlando non è
stato facile.. ho voluto pensare all'abate per linee interne, travalicare
il suo aspetto fisico. Ci voleva un attore sublime come Silvio Orlando
per rendere credibile un personaggio che passa dallo spessore di un modesto
numerologo a quello di piccolo faccendiere a quello di altra faccia della
medaglia del rivoluzionario giacobino. Vella è salvato dalla sua
menzogna che è stata capace di coinvolgere ed invischiare il potere
mentre Di Blasi è estirpato, in quanto estraneo, da uno status
quo per cui rappresenta solo una minaccia.
SILVIO ORLANDO: Nella carriera di un attore si esaurisce, ad un
certo punto, l'ondata di interesse verso di lui ed è quello il
momento in cui fare il salto di qualità dimostrando una crescita.
Un personaggio come questo non capita spesso. Ho affrontato con entusiasmo
l'impegno, anche se non sono andato in convento secondo il metodo americano.
Lo splendore di un passato di ricchezza si scontra, a Palermo, con il
marciume del degrado per cui mantenere il nitore della pellicola è
stata operazione epica. Il film è stato pensato e girato da un
intellettuale fiero di esserlo e questo è stato un vero bene: si
fosse trattato di un regista della mia generazione, con ogni probabilità,
staremmo ancora a girare a Palermo cercando di venirne fuori.
GRECO: Dietro il film c'è un enorme studio ed un'attenta
ricerca su ambienti e costumi. Ho avuto la collaborazione preziosa dei
migliori professionisti del settore ed un ringraziamento particolare va
ad Andrea Frisanti, lo stesso scenografo dei film di Rosi. Io ho orrore
del revival e la difficoltà vinta in questo film è stata
quella di non fare del '700 il protagonista della vicenda quanto il suo
sfondo naturale. Avevo la consapevolezza di operare su un'iconografia
convenzionale del '700 e perciò ho lavorato sulla convenzione senza
ridicolizzarla o esasperarla.
TOMMASO RAGNO: recitare con i mezzi del teatro è diverso
che farlo con quelli del cinema. E' stato per me un esercizio molto intenso.
E' come giocare a basket o a calcio: c'è sempre una palla ma non
è affatto la stessa cosa. Inoltre portare al cinema la letteratura
è qualcosa di estremamente gratificante e consente allo spettatore
di godere di un orizzonte diverso da quello a disposizione dell'uomo del
2002, di elevarsi ad una dimensione quasi mitica.
DOMANDA: Sig. Greco, si è ispirato a qualche altro regista
per quanto riguarda lo stile del film?
GRECO: Assolutamente no anche se sono perfettamente consapevole
che il film più bello sul '700 è Barry Lyndon
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