
CINEMAMBIENTE 2002 "Mai più una storia sarà
raccontata come fosse l'unica", la citazione di John Berger in apertura
del romanzo di Arundhati Roy Il dio delle piccole cose descrive la sensazione
che ci ha accompagnati durante le proiezioni di questa quinta edizione
di Cinemambiente, il maggiore festival in Italia di film a tematica ambientale.
L'ampiezza della tematica ben si presta all'eterogeneità cui di fatto
abbiamo assistito, ma l'armonia che non era certo scontata la si può ricondurre
alla messa in atto delle intenzioni del direttore del festival Gaetano
Capizzi: "Una settimana di film che coniughino arte, impegno sociale e
memoria storica", un modo di ricordarci di come nel mondo ogni evento
ne generi un altro e niente ci sia estraneo, un'ulteriore conferma del
fatto che il cinema non è intrattenimento, ma arte e via di comunicazione,
strumento importante di denuncia e mezzo di espressione insostituibile,
veicolo di messaggi universali senza essere per questo noioso. Una scommessa
alla base di questo progetto indubbiamente c'è, inutile fingere che allestire
una manifestazione che contenga più documentari che opere di fiction equivalga
a riempire le sale e proprio di questa scommessa abbiamo parlato con il
coordinatore generale di Cinemambiente Stefano Susca che basa le aspettative
di crescita del festival sull'espansione che questo ha avuto nel corso
delle ultime due edizioni con ospiti importanti e un numero sempre maggiore
di spettatori. Susca ci informa del fatto che la sezione che contiene
le "Immagini dall'India", Global vision, dopo Torino verrà riproposta
a Roma, sempre nell'ambito di serate a tematiche ambientali in cui i dibattiti
hanno la medesima importanza delle immagini; stessa sorte per numerose
altre opere, portate in giro per l'Italia con la massima attenzione alla
corretta contestualizzazione nel panorama preesistente, in direzione opposta
alla commercializzazione globalizzata e alla pessima architettura, incuranti
di ciò che hanno intorno.
Gran parte del materiale proiettato, inoltre, resterà a disposizione di
scuole, enti e singoli individui (almeno per una visione in loco) nella
videoteca di Cinemambiente e così i materiali che non sono stati selezionati
né, quindi, inseriti nel programma. In realtà le parole del coordinatore
generale più che quello della scommessa hanno il sapore di chi crede fermamente
in un progetto che metta in circolazione idee, immagini e parole senza
schemi precostituiti, né gabbie montate dal clamore dei media, accettando
il rischio, sì, di restare nell'ombra (rischio che finora è stato scongiurato),
ma con la consapevolezza che quando le maglie si restringeranno per un
qualsiasi motivo, tutto ciò non avrà più motivo di essere; lo stesso entusiasmo
pacato di chi ha creato qualcosa di autentico, Susca e Capizzi devono
averlo trasmesso agli ospiti che circolano per le sale del Cinema Massimo
in mezzo agli spettatori e intervengono in modo estemporaneo durante le
proiezioni come ha fatto Virgilio Tosi spiegando i differenti formati
in cui è stato girato un documentario di Ivens agli oltremodo grati astanti.
La terra, le donne e gli uomini: una tematica che definire vasta sarebbe
quantomeno ridicolo è stata inserita in un programma che vale la pena
di analizzare seguendolo nei percorsi che suggerisce. Innanzitutto il
Concorso Lungometraggi, vinto dal giapponese
God's Children di Hiroshi
Shinomiya film che narra della chiusura di una discarica a Manila in seguito
allo smottamento del terreno dovuto alla pioggia e della conseguente disperazione
delle famiglie sopravvissute che vivevano in quella discarica.
Testimonianza agghiacciante della miseria assoluta e tema caro al regista
che da parecchi anni si interessa dei bambini di Manila e delle loro condizioni
di vita. Nella stessa sezione anche Chantal Akerman con
De l'autre cote,
lunghissimi piano-sequenza per raccontare i tentativi di emigrazione dal
Messico verso gli Stati Uniti di uomini, donne e bambini che attraversano
a piedi il deserto e rischiano, se sopravvivono a quell'esperienza, di
essere uccisi sul confine; Life and Debt di
Stephanie Black tratteggia
gli effetti della globalizzazione sulla Jamaica, il libero mercato l'ha
ridotta in condizioni in cui gli abitanti devono lottare per sopravvivere,
accompagna la narrazione una colonna sonora dei più grandi cantanti di
reggae; Jean Rouch invece ci inserisce in un'atmosfera onirica con
Le
reve plus fort que la mort e la sua trasposizione de I persiani
di Eschilo,
lo fa dilatando i tempi e rendendo la visione particolarmente ostica con
stacchi e inserti destabilizzanti (nonché fastidiosi). Infine, di
Anand Patwardhan e Simantini Dhuru,
War and Peace ha ricevuto la menzione speciale
della giuria, il film è un lungo inno al pacifismo che parte dalle immagini
di Gandhi assassinato e arriva a toccare le piccole comunità che resistono
e portano avanti un differente stile di vita nel segno del rispetto dell'uomo.
Tra le dodici opere presenti nel Concorso Corto-Mediometraggi la giuria
ha premiato Freedom…! di
Amar Kanwar che mostra come in ogni regione dell'India
l'ecosistema sia minato da interventi dissennati che portano alla fame
e alla morte migliaia di individui, l'indissolubilità del legame tra uomo
e terra è qui messo in scena in modo inequivocabile e così la possibilità
di una nuova e differente via di sviluppo sostenibile.
Il film iraniano The Migratory Goose di
Siros Hassan-Pour si è aggiudicato
la menzione speciale per "per la semplicità di una storia che assume un
valore che trascende contesti storici e geografici e ci restituisce in
modo diretto in un periodo in cui si cerca di affermare un concetto aberrante
come quello della cosiddetta guerra preventiva un semplice desiderio di
vita." Tra le altre opere ricordiamo il bel Porto Marghera: inganno letale
di Paolo Bonaldi, proiettato anche durante l'ultima edizione del festival
del cinema di Venezia, il film ci offre le prove raccolte negli anni da
un operaio in lotta contro l'industria chimica di Porto Marghera. La scrittrice
indiana Arundhati Roy è ospite della manifestazione perché protagonista
di Dam/Age video di Aradhana Seth che narra della sua battaglia a fianco
del Movimento per la Salvaguardia del fiume Narmada. Il video è inserito
nella sezione Global Vision - Immagini dall'India, curata da Daniela Bezzi
e mostra il percorso di presa di consapevolezza che ha portato la Roy
ad essere condannata alla reclusione da parte della Corte Suprema dell'India
(reclusione che è durata una notte dopo la quale la scrittrice ha accettato
di pagare la cauzione) per una causa in difesa delle condizioni di vita
di migliaia di indiani minacciati di morte dall'immane opera , ormai ventennale,
del grande progetto idroelettrico che vuole costruire dighe per deviare
il corso del fiume Narmada del tutto incurante dei danni irreversibili
causati a ambiente e persone.
Dam/Age alterna pezzi di una lunga intervista alla Roy con riprese degli
eventi salienti della battaglia contro la Corte Suprema e delle pubbliche
dichiarazioni degli uomini del governo indiano sulla assoluta bontà dell'opera
in cui la demagogia fa da collante e tiene insieme populismo e menzogna;
il video è stato proiettato al termine della cerimonia di premiazione
nella sala più grande del cinema Massimo gremita di gente e la scrittrice
ha ribadito che non esistono problemi di questa o quella parte di mondo,
ma un unico enorme problema che è la circolazione di denaro che viene
sempre mantenuta all'interno dei soliti canali in modo da indebolire sempre
più i paesi poveri e dare forza sempre maggiore alle super potenze, portando
avanti un progetto evidentemente miope che non tiene conto delle individualità,
né delle condizioni ambientali preesistenti alle scelte umane e che spesso
dimostrano, facendosi sentire attraverso sciagure altamente prevedibili,
di essere imprescindibili e non trascurabili come ci vogliono fare credere.
Words on Water di Sanjay Kak approfondisce la questione del Movimento
per la Salvaguardia del fiume Narmada mostrando la resistenza dura portata
avanti dagli abitanti dei villaggi sorti nei pressi del fiume e che su
questa vicinanza hanno basato la propria sopravvivenza, ingannati con
promesse di nuove terre in luoghi altrettanto fertili e ridotti alla fame,
disperati al punto da arrivare a legarsi agli alberi e lasciarsi morire
affogati esercitando una forma estrema di protesta verso questa opera
programmatica di morte. Gli altri video di questa sezione sono anch'esse
opere di denuncia, in ogni angolo del grande paese vi è un esempio di
malgoverno contro il quale gli indiani sono costretti a battersi: queste
le loro voci che ci vengono portate attraverso immagini filmate.
Sempre attraverso le parole di Stefano Susca apprendiamo che per un festival
come Cinemambiente è fondamentale inserirsi nel contesto sociale e cittadino
e in quest'ottica fa la sua comparsa, per la prima volta proprio in questa
edizione, il bel progetto Scena/ri di sostenibilità realizzato dalla
Provincia
di Torino (con Media Agency, Zenit Arti Audiovisive, ArNIA Archivio Nazionale
Immagine Ambientale e l'Associazione Cinemabiente) e coordinato da Silvia
Magino (autrice anche della brochure che illustra il progetto).
Cinque video realizzati da non professionisti che hanno risposto al bando
di concorso e hanno partecipato a laboratori teorici e tecnici sulle modalità
di ripresa, hanno riempito di pubblico una delle sale del Massimo ottenendo
un grande successo. Ognuno dei cortometraggi affronta una problematica
ambientale, un modo alternativo e a "impatto minore" di vivere nel contesto
cittadino, una forma di protesta per riprendersi le strade dalla folla
di automobilisti; in particolare il video
Pane e sapone di Cristina Amione,
Nadia Di Noia e Luca Romanelli con il montaggio in parallelo dell'esperienza
di una famiglia che cerca di incidere il meno possibile sull'ambiente
(facendo, tra le altre cose, in casa sia il pane che il sapone) e di una
serie di interviste raccolte fuori da un supermercato ci dà l'idea di
uno stile di vita alternativo a quello comune, ma non al di fuori della
nostra portata e le soggettive con sbarre dall'interno del carrello del
supermercato sono piuttosto eloquenti di quello che rischiamo di perderci.
Infine la meravigliosa Retrospettiva Joris Ivens, venticinque opere di
sperimentazione, controinformazione, poesia e denuncia.
L'Italia non è un paese povero (1960), l'incredibile documentario commissionato
a Ivens da Enrico Mattei, allora presidente dell'ENI, per convincere gli
italiani che le materie prime erano una realtà del nostro paese (senza
aspettare gli aiuti americani) ha avuto una storia travagliata: all'epoca
fu sottoposto a brutali tagli da parte della censura della Rai e trasmesso
senza però che Ivens lo riconoscesse, una copia originale è stata portata
in Francia da Tinto Brass, assistente alla regia, proprio per evitare
che finisse tagliata anch'essa e ora possiamo ammirarla.
Tre episodi e un giro nell'Italia dell'epoca, da Cortemaggiore alla Lucania
e Gela, con ritratti di persone la cui vita cambia con l'arrivo delle
raffinerie messi al fianco di spiegazioni tecniche sull'utilizzo dei macchinari
per l'estrazione di gas e petrolio con l'intenzione, mantenuta, di realizzare
un documentario molto piacevole, leggero e comprensibile. Di tutt'altro
registro sono: La Seine a rencontré Paris (1956), belle immagini di donne
e uomini e dello scorrere delle loro vite attorno al fiume parigino con
commento poetico scritto da Prévert,
Puor le Mistral (1965) punto importante
della sua intenzione di filmare l'invisibile che culminerà in
Io e il
vento e A Valparaiso (1963) dove l'inferno di Santiago del Cile è filmato
con una piega poetica e il commento è di Chris Marker (il grande regista
de La Jetee). Lungometraggio di fiction è
Die Abenteur des Till Eleunspiegel
(1956) di cui, però, Ivens è solo produttore, un divertente film di e
con Gerard Philipe che interpreta Till, l'eroe che libera, con espedienti
un po' alla Will il coyote a dir la verità, le Fiandre dagli invasori
spagnoli. Tutto in questo festival (anche nelle sezioni non citate qui)
ci parla di aggressioni alla terra e di resistenza umana, ma lo fa evitando
toni catastrofici, proiezioni tediose e distacco etereo dalla realtà;
anche chi avrà assistito a qualche proiezione con i pregiudizi di chi
è abituato a legare il cinema alla fiction e a una fruizione più legata
all'intrattenimento, si sarà stupito.
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