Asaf Avidan è uno di quegli artisti che possiedono il dono delle tre B:
bello, buono, bravo. Anzi, bravissimo.
In tour per la promozione del disco da solista “Different Pulses”, dopo il
recente successo della mini tournée acustica, l’autore e interprete di “One
Day/ Reckoning Song” si è esibito in un concerto elettrico sul palco della
Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma accompagnato da una band di
quattro elementi (tastiera, batteria, chitarra e basso, percussioni e voce).
Dal vivo Avidan è una specie di visione: un mohicano esile e sinuoso in
canottiera bianca e bretelle, che si muove nello spazio di un palcoscenico
che sembra vibrare sotto i suoi passi. La parola d’ordine è sensualità. Una
sensualità che emana dalle sue movenze aggraziate e da quella voce
graffiante a cui deve il soprannome, assolutamente calzante, di “angelo
rauco”. Allegro e struggente, coinvolgente e malinconico, Avidan ha molto
parlato di sé: della sua storia, del suo modo di scrivere musica, persino
della sua recente esibizione milanese durante la quale il pubblico non ha
fatto che cincischiare con il cocktail in mano. La platea romana, invece,
infiammata e commossa, ha per lo più trattenuto il fiato, agitandosi di
tanto in tanto in seguito ai suoi ripetuti “C’mon!”.
Quello del cantautore israeliano è un mix eclettico e innovativo di pop-rock
ed elettronica dal retrogusto blues e folk, con qualche evidente incursione
nel repertorio jazz. Figlio illegittimo di Janis Joplin (a cui, checché se
ne dica, non si può non pensare) e Johnny Cash, finalmente venuto fuori dai
confini del suo Paese, dove da anni è considerato una star, Avidan sembra
uscito da una bettola fumosa di New Orleans. Dalla sua musica giungono echi
di tutto il retroterra di artisti che lo hanno ispirato: Leonard Cohen, Bob
Dylan, Tom Waits, Robert Johnson, Elvis Presley, John Lee Hooker, Billie
Holiday, Nina Simone e, non ultimo, Thom Yorke.
Semplicemente divino.
28/30 |