verde urbano
nelle teorie urbanistiche del xix secolo

 

di Elena TREVISAN

Verde urbano nelle teorie urbanistiche del XIX secolo

 

A metà Settecento la critica all’inadeguatezza della città rispetto alle nuove condizioni del traffico, le esigenze di decoro e il crescente addensamento demografico diventano importante tema di dibattito a livello urbanistico. Nella ricerca sulle modalità di progettazione i philosophes Laugier, Voltaire, Patte, Quatrèmere de Quincy, definiscono il concetto di embellessiment, quale soluzione sicura a tale emergenza. Si consolida inoltre l’idea che «un plan total convenablement raissonné» – come il progetto di André Le Nôtre per i giardini di Versailles – sia uno strumento necessario per gestire una realtà così complessa, come quella urbana. Il tema del passeggio/giardino pubblico, inedito nella progettazione della città storica ottiene l’attenzione dei teorici. I viali di attestamento alla città vengono enfatizzati da teorici. Patte è uno dei primi ad utilizzare il termine promenade  ed a cogliere lucidamente il grave problema della realtà urbana settecentesca: l’inquinamento dell’aria. Anche Francesco Milizia, sull’esempio del trattato di Patte, affronta negli stessi anni il problema dell’aria. Ma mentre il suo predecessore si limita a sostenere che l’aria si purifica con il semplice moto circolatorio, Milizia fornisce un elemento in più, estremamente interessante perché legato alla presenza della vegetazione in città, citando il lavoro del noto scienziato inglese Joseph Priestley, che contribuì fra i primi verso la fine del XVIII secolo, alla scoperta della fotosintesi.

Negli ultimi decenni del Settecento, studiosi e progettisti sono impegnati in una querelle tra genere formale e genere informale, a favore di quest’ultimo.

 

Relegato ad un compito di utilità e non di bellezza, il passeggio pubblico viene assimilato ad un brano urbico, da trattare con le medesime regole formali dello spazio urbano, negato nella sua identità di giardino. L’allestimento ne riflette il suo obbiettivo principale: essere un luogo di passeggio e di incontro al solo scopo di guardare ed essere visti, in un esercizio di relazione, fortemente radicato nella cultura francese fin dal XVII secolo, fondato sull’ostentazione sociale. Ma se i teorici francesi esprimono fortemente questo carattere «artefatto» della passeggiata pubblica, la traduzione francese di un’opera scritta dallo studioso danese Hirschfeld, dimostra un approccio diverso basato su una visione più complessa del passeggio pubblico, legata alle nuove esigenze estetiche ed ai bisogni sociali. Egli indica la possibilità di realizzare una commistione fra i due stili, quello simmetrico e regolare e quello paesaggistico, affiancando ad alee dritte e regolari, spazi caratterizzati da strade sinuose e da boschetti per variare maggiormente l’ambiente. A fronte degli inarrestabili esiti della rivoluzione industriale, Hirschfeld, ancor prima delle esperienze progettuali di John Nash (con il Regent’s Park) e di John Claudius Loudon, intuisce il concetto di giardino pubblico quale luogo di ricreazione di tutte le classi sociali, in particolare di quelle lavoratrici e meno abbienti.

La nascita di un nuovo tema progettuale porta gradualmente alla definizione di una serie di termini per individuare le varie tipologie, nonché l’utilizzo che ne viene fatto: processo che coinvolge tra il XVII e il XIX secolo tutte le maggiori lingue europee.

Tra fine Settecento e inizi Ottocento l’approccio al tema si manifesta ancora incerto. Analizzando i trattati in lingua francese e italiana, possiamo cogliere alcune osservazioni interessanti. I termini promenade e jardin sono utilizzati in modo indifferente. In ambito tedesco, con Hirschfeld le definizioni diventano più complesse, in quanto l’autore utilizza diversi termini facendo corrispondere ad ognuno un determinato concetto di spazio e di modalità d’uso.

Fino all’inizio dell’Ottocento i trattati di arte dei giardini, si configurano nella maggior parte dei casi come studi di carattere descrittivo, dove manca un’attenzione all’aspetto iconografico. Progressivamente durante il XIX secolo alle opere teoriche si affiancano ben presto pubblicazioni di tipo iconografico dove l’immagine diventa il principale mezzo di comunicazione per una divulgazione rapida e incisiva. Nell’ambito della cultura positivista anche i giardini sono soggetti a procedimenti di analisi, in un processo di riordino classificatorio delle conoscenze acquisite. Uno dei primi studiosi francesi a fornire un quadro completo dei generi dei giardini, attraverso l’uso di una tavola sinottica e di una raccolta iconografica è Gabriel Thounin (1819). Thounin si propone di fornire un album di modelli, per un’immediata operatività nella fase progettuale.  Il libro è concepito come una raccolta di disegni e descrizioni, pubblicati e venduti ogni mese a prezzo modico, con il fine di realizzare un’opera divulgativa, economica, chiara e facilmente comprensibile ad un vasto pubblico.

La raccolta di Thounin sarà seguita da molte altre pubblicazioni divulgative, prima tra tutte quella curata dal teorico Pierre Boitard (1854). La struttura di tale trattato: una serie numerosa di tavole iconografiche all’inizio e una lunga trattazione teorica. Tale pubblicazione diviene un modello esemplare della manualistica ottocentesca di arte dei giardini successiva.

L’approccio tra classificazione e illustrazione permane fino alla fine dell’Ottocento e caratterizza molti trattati della seconda metà del secolo, anche in Italia. In particolare l’opera di Giovanni Magazzari 1837, ha un preciso riferimento al trattato di Boitard..

 

Le trasformazioni urbane attuate a Parigi durante il Secondo Impero, sotto la direzione di Georges Eugène Haussmann, rappresentano nella storia dell’urbanistica ottocentesca un riferimento senza precedenti nell’attuazione di un intervento sistematico sulla città di tipo urbano, architettonico e vegetale. Per la prima volta in Europa un piano globale comprende la possibilità di operare un rinnovamento a grande scala fondato sulla riorganizzazione complessiva delle reti infrastrutturali e sull’introduzione sistematica della vegetazione, con l’organizzazione capillare di passeggi e giardini. Non più interventi sporadici come era avvenuto nella prima metà dell’Ottocento, ma una revisione dell’approccio programmatico. La complessità del progetto richiese la creazione all’interno degli uffici tecnici municipali parigini di una struttura tecnica apposita in grado di gestire l’intero processo attuativo del verde urbano: il «Service des Promenades et Plantations de la Ville de Paris», diretto dal 1854 dall’ingegnere Jean-Charles Adolphe Alphand.

La massiccia costruzione di viali e alberate nel tessuto della città, accompagnata ai complessi progetti di parchi urbani e suburbani, avrà di fatto esiti inediti per le metropoli europee. L’obbiettivo principale dei programmi espressi da Napoleone III è la distribuzione omogenea del verde per tutta la popolazione, legittimata dal concetto ormai acquisito a metà Ottocento del verde quale strumento di riforma sociale. Bellezza e utilità sono i principi che stanno alla base di questa grande trasformazione urbana.

I passeggi e giardini sono poi necessari dal punto di vista della salubrità e il viale alberato diventa il simbolo quasi emblematico di questo risanamento.

La riconoscibilità di Parigi avviene attraverso la diffusione della materia vegetale che trasforma la città in un ininterrotto passeggio pubblico. Il verde entra a far parte del sistema infrastrutturale a pari del sistema vario e del sistema fognario: si può parlare per la prima volta di sistema vegetale.

Les Promenades de Paris di Jean-Charles Adolphe Alphand rappresenta una vasta opera celebrativa dei lavori di sistemazione e costruzione del verde urbano voluti a Parigi da Napoleone III.

La pubblicazione sconvolge i canoni tradizionali dei trattati di arte dei giardini, adottando un approccio essenzialmente descrittivo, dell’esperienza di progetto e della gestione del cantiere.

Il carattere istruttivo della trattazione avvicina l’opera di Alphand ai manuali di progettazione urbana che compariranno qualche decennio più tardi. Legandosi alla tradizione ormai consolidata di applicare alla passeggiata pubblica il gusto paesaggistico, egli sperimenta il genere informale, portandolo a risultati inediti. Cita il Regent’s Park di John Nash o il Birkenhead Park di Joseph Paxton; si nota una grande valorizzazione per gli aspetti prettamente pittoreschi, una perfetta acquisizione del concetto di aumento dello spazio attraverso il tracciamento dei percorsi curvilinei, l’introduzione di elementi infrastrutturali, come la ferrovia, la fusione tra arte e tecnica e un’attenzione sempre rigorosa verso la qualità delle piante e gli aspetti più prettamente botanici.

Negli stessi anni (1868-1872) Alphand pubblica assieme al barone di Eunurf, un’altra opera dedicata all’arte di giardini: L’art des jardins, Historie, Théorie, Pratique de la composition des jardins-parcs-squares. Si tratta di un saggio prettamente teorico attraverso il quale si tenta una prima sintesi della storia dell’arte paesaggistica.

 

A fronte del superamento del retaggio settecentesco di prevedere come unico stile per i passeggi pubblici, quello regolare, Alphand propone un approccio più vario. L’atteggiamento écletique tende ad una invenzione tipologica nuova. I giardini pubblici diventano i luoghi della sperimentazione. Si teorizza la possibilità di avere uno stile «misto», frutto della commistione fra genere regolare e genere irregolare: tale stile nasce dalla riabilitazione dello stile regolare all’interno di una concezione paesaggistica. Come esempio più rappresentativo dell’applicazione dello stile misto ad un parco pubblico è citato il parco di Sydnham, vicino a Londra, dove viene costruita la celebre serra di ferro e vetro, il Crystal Palace progettato da Joseph Paxton per la prima esposizione universale del 1851.

Alphand esprime poi alcune riflessioni importanti sul valore del verde urbano in ambito urbano. E’ chiaro come la creazione della città sia un problema complesso. Cosciente della necessità di pianificare la realizzazione di archi nel tracè de la ville, egli nota che la difficoltà d’acquisizione di porzioni di terreno comune da parte delle amministrazioni municipali e la pressione degli interessi della speculazione edilizia, sono i maggiori ostacoli alla costruzione degli spazi pubblici. In tali condizioni è necessario un atto di pianificazione antecedente alla costruzione della città, pensato e dichiarato.

A partire dalla seconda metà del secolo anche in Germania vengono pubblicati i primi manuali di urbanistica.

A tal riguardo la Groβstadt-Grün di Camillo Sitte, rappresenta una delle opere più importanti nel dibattito della cultura tardo ottocentesca.

Elevando al rango di opera d’arte non solo la singola opera architettonica ma anche l’intera realtà urbana Sitte propone esplicitamente di rivolgere una maggior attenzione ai procedimenti progettuali di trasformazione delle città. Nonostante le sue considerazioni critiche sulle funzioni sanitarie degli alberi, contempla la possibilità di avere zone più naturali all’interno dell’edificato. Individua così due grandi categorie di grun: quello sanitario con limitati benefici dell’aria e quello ornamentale, con finalità solo estetiche.

Sitte auspica una transizione graduale dalla forma della pianta a quella dell’architettura, prevedendo l’installazione tra l’una e l’altra di elementi minori che facilitino il passaggio visuale.

Nell’ambito delle riflessioni sui moderni  sistemi di tracciamento dei piani regolatori, Sitte avvia una critica decisiva al sistema ortogonale: il sistema moderno a blocchi, responsabile della continua interruzione del passeggio per attraversamento delle strade laterali. Il corso alberato deve, secondo l’autore, essere fiancheggiato da una linea continua di case, La realizzazione di piccoli giardini lungo le strade e nelle piccole piazze viene criticato da Sitte, per le stesse ragioni dei viali: spazi aperti, esposti al traffico, al vento e alla polvere non riescono ad essere efficaci per la salute dei cittadini. Sitte al contrario prevede la creazione di giardini chiusi su tutti i lati da edifici: le radici si trovano nella morfologia della città antica. Ulteriore osservazione interessante è quella che i giardini siano posti a distanze uguali. l’attenzione a questo dato permette di collegare Sitte ad altri teorici contemporanei che fanno dell’«equidistanza» uno dei principi fondamentali del progetto di verde urbano.

In generale è chiaro come per Sitte l’esigenza estetica sia più importante di quella igienica e che escludendo dalla progettazione urbana tutti quegli elementi come i tagli stradali, la formazione di viali e di boulevard, Sitte si pone in un’ottica completamente contraria a quella haussmaniana.

In Francia, concluso il lungo periodo dei Grands Travaux coordinati dal prefetto Haussmann, la città di Parigi si avvia, dopo il 1870, verso una fase di assestamento e di definizione delle successive fasi di trasformazioni urbana.

Importanti occasioni progettuali, come lo smantellamento dell’ultima cinta muraria (le mura di Thiers) e i grandi eventi delle esposizioni universali, ripropongono il tema della sistemazione di grandi aree libere, destinate alla fruizione del pubblico.

 

Tra i numerosi architetti e ingegneri, impegnati nell’amministrazione di Parigi, emergono a fine Ottocento, nell’ambito del verde urbano, due importanti figure: l’architetto Eugène Hénard e l’ingegnere-botanico Jean-Claude Nicolas Forestier.

Il contributo teorico di Hénard si concretizza nella pubblicazione di una serie di fascicoli, editi fra il 1903 e il 1909 sulla trasformazioni urbane di Parigi tra Ottocento e Novecento. Emerge una profonda critica del modello haussmaniano e all’uniformità della città di Parigi, che rende molte vie di una disperante banalità. Ai lunghi battaglioni d’ippocastani, Hénard contrappone un ideale estetico diverso e un nuovo modello di strada che chiama boulevard à redans. Tale modello continua a garantire carreggiate correttamente allineate, ma variando l’allineamento delle facciate. Il viale «spezzato» prevede vari modi di applicazione. Una prima formula, è quella di creare fronti discontinui di edifici dove a distanze regolari la facciata viene arretrata per creare piccole piazzette. Oltre a questa prima soluzione Hénard ne propone altre come l’allineamento interrotto, dove gli edifici invece che essere paralleli alla carreggiata sono ruotati di un certo numero di gradi e formano un fronte edilizio a zig-zag.

Comprende che tali proposte vanno contro la logica del mercato fondiario e né descrive i vantaggi da un punto di vista igienico-sanitario.

In un confronto fra i parchi di Parigi e quelli di Londra, Hénard si rende conto che la superficie della capitale anglosassone è caratterizzata dalla presenza di molti più spazi verdi che non quella di Parigi, dove inoltre parchi e giardini sono distribuiti in modo non omogeneo.

La sua proposta per il verde pubblico si manifesta attraverso due concetti fondamentali: la necessità di una quantità minima di verde urbano in funzione del numero degli abitanti e dell’estensione della capitale, e l’esigenza di una distribuzione uniforme di tali aree sulla superficie urbana, rendendoli facilmente accessibili a tutta la popolazione. Ogni spazio verde deve distare da quello successivo al massimo 2 km, in modo tale da far percorrere ad ogni cittadino non più di 1 km per raggiungere l’area verde più vicina. Il pensiero è in questo caso rivolto ai ceti meno abbienti. L’acquisizione di tali convinzioni è importante alla luce di una generale riflessione verso una teoria sempre più mirata ad attribuire quantità precise e limiti agli elementi del progetto d’insieme. Del resto è di quegli anni, connessa a quella cultura urbanistica, la nascita del concetto di standard come quantità minima di servizi assolutamente necessari.

 

 

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