Teatro delle celebrazioni
 

IL POPOLO NON HA il PANE?

DATEGLI DELLE BRIOCHIE

di Filippo Timi
Bologna, 05/03 2010
Regia | Filippo Timi e Stefania De Santis
Con Filippo Timi (Amleto), Paola Fresa (Ofelia)

Marina Rocco, Lucia Mascino, Luca Pignagnoli (Attori)

di Simona PACE

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- Il Popolo Non ha il Pane?

La struttura dicotomica del dilemma, emblema dell'universo tragico dell'Amleto shakespeariano, viene esplicitamente disattesa dal Timi demiurgo e mattatore, audace e canzonatorio Amleto pop, a favore del paradosso, chiave e sottotesto del suo “Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche”.
La logica dell'aut aut viene sapientemente sostituita da una prepotente volontà inclusiva, declinata su diversi livelli (da quello testuale a quello puramente scenografico).
Convivenza degli opposti: nell'uso di un linguaggio tragicamente comico, ironicamente malinconico, ma anche irriverente e sacro allo stesso tempo; negli anacronismi testuali dettati dagli improbabili ma azzeccati richiami musicali (da Battisti a Edith Piaf, da Jimmy Scott allo Spiritello burtoniano di Beetlejuice che si impossessa dell'attore in scena attraverso la famosa Banana Boat Song); nella commistione di generi diversi e antitetici.
Lo spirito onnicomprensivo, che trasfigura la tragedia rendendola in superficie un'originale e tutt'altro che convenzionale commedia in realtà sottintende il dramma, non lo supera, lo complica anzi, rimandandolo indirettamente allo spettatore, che ride alla morte, al pianto, all'abbandono, alla follia come se il riso fosse l'unica risposta possibile, non importa se sensata, al tragico.
Il principe “orgiastico”, come lo stesso Timi l'ha definito, questo suo nuovo impudente e viziato Amleto “tutto cibi e denti marci”, stufo di subire da secoli il proprio ruolo, cambia le regole sul palcoscenico, diventa finalmente regista della propria storia, smaschera e si maschera, manovra i personaggi fantocci che lo circondano. Il pretesto è la follia.
Amleto si finge (è?) pazzo, demonizza e divora le passioni, demolisce il contesto che abita esasperandone i meccanismi, denuncia le trappole del padre buono, della madre puttana, dell'amore non corrisposto.
Ride, piange, balla, uccide, si fa possedere dalla pazza Ofelia e muore.
Ma la follia è anche il filtro che raffina la dissacrazione, che la rende sensata, dolorosa.
I personaggi in scena vivono di errori, sono la caricatura di se stessi quasi fossero bidimensionali, sono sempliciotti e spartani tanto quanto la scenografia (è più che giustificabile, in quest'ottica, il minimalismo degli ambienti), ma assolutamente caratterizzanti e forti. Memorabili.
Nessuno di loro riuscirà a pronunciare il fatidico Essere o non Essere, che il testo stesso rigetta, rifiuta. E neanche Amleto, in preda ad un'improvvisa (e simpaticamente autoreferenziale) balbuzie, riuscirà ad articolare il dilemma. E questo è un problema, ci dice Timi.
La sua rappresentazione scanzonata e derisoria, comica ma seria, fagocita i temi shakespeariani, li rende contemporanei, ma rassegnati al riso.
Ecco che torna l'antinomia del titolo della pièce, “Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche” (frase peraltro attribuita a Maria Antonietta). Ad una domanda seria e reale segue una risposta assurda, incongruente.
Di domande Timi ne suggerisce tante attraverso il suo testo, forti reali intense.
Non ci sono risposte, non ce ne sono più, se non nell'esplosione della vitalità e nel nonsense.
Ecco il crudele paradosso. Si può essere più tragici di così?
E la metateatralità di alcuni passaggi sembra ricordarci la precarietà di tutto.
Amleto che dice ad Ofelia: “Il buio parla”e il pubblico ride animandolo, o i siparietti della svampita attricetta, la simpaticissima ed esilarante Marina Rocco, emulo di Marilyn che prima della fine (della morte anche), conquista il suo personalissimo Oscar con il quale tenterà invano di suicidarsi, rimandano ad un'atmosfera surreale, colorata edulcorata, ma precaria.
Anche il fantasma del padre di Amleto si manifesta, durante una divertentissima scena, sottoforma di attricetta platinata in cerca di fama che, dichiarando la sua falsa identità (“sono il fantasma di tuo padre, sono il fantasma di tuo padre”), ci rimanda in qualche modo, in maniera volutamente esasperata, attraverso echi di magrittiana memoria, alla mancata corrispondenza tra oggetto reale e sua rappresentazione, al grande paradosso dell'evidenza, dell'immagine che si dichiara uguale all'oggetto, ma che è un semplice simulacro e lontano rimando di esso.
Lo spettacolo di Timi, che firma la regia insieme a Stefania De Santis, produce ritmo e lo sostiene e lo fa per quasi due ore senza mai stancare, non solo grazie alla bravura del protagonista, ma alle straordinarie capacità di Marina Rocco, Lucia Mascino, Luca Pignagnoli e Paola Fresa.
Una drammaturgia visiva forte e tendenzialmente cinematografica, un testo originale e coraggioso nella sua iconoclastia, uno spettacolo divertentissimo ed eccentrico che non annoia ma trattiene, diletta e fa pensare.

Teatro delle celebrazioni

IL POPOLO NON HA PANE?

DATEGLI DELLE BRIOCHIE
Bologna, 05/03 2010
Regia | Filippo Timi