sms  PRESENTA...
 

jackson browne

Venezia, venerdì 08 maggio 2009

Teatro Malibran

di Gabriele FRANCIONI

Collegamenti:

- Teatro Malibran

- SMS Venice

26/30

L’occasione di poter ascoltare dal vivo un’icona della musica West-Coast come Jackson Browne, a due passi da casa - otto minuti, per essere precisi - non capita tutti i giorni e, trattandosi di Venezia (“We came on boats…” dirà in concerto il cantautore, stupito come un bimbo), l’effetto è abbastanza estraniante.

Niente palasport, niente venue all’aperto, niente figli dei fiori invecchiati, niente di niente che possa ricordare o evocare l’atmosfera  del flower power anni ’70, a noi sconosciuta perché non l’abbiamo vissuta per ragioni anagrafiche e del quale il californiano Browne è esponente allo stesso tempo classico e anomalo.

Classico perché le sue musiche e le sue prime liriche sono in linea con il mainstream dell’epoca (Eagles, Poco, James Taylor, Warren Zeavon), anche se forse declinate secondo canoni più intimistici; anomalo perché la pratica quotidiana dell’impegno politico, iniziata con il concerto-evento NO NUKES del ’79 contro le centrali nucleari, lo caratterizza in modo assolutamente unico, al punto da averlo avvicinato a diversi candidati alla presidenza americana, tutti regolarmente sconfitti alle elezioni.

JB sta per definizione dalla parte dei perdenti, dei losers, di chi lottava e lotta per il minimum wage, pronto a buttarsi in avventure già segnate in partenza dal crisma del “fallimento preventiv(at)o”, come l’appoggio alle candidature di Ralph Nader e, nel 2008, di John Edwards, quest’ultimo unico vero rappresentante della classe operaia, schiacciato dai colossi Obama e Clinton.

A completare il progetto di sconfitta della propria attività politica, Browne è stato spesso sul palco dei comizi di John Kerry, nel 2004: forse il fallimento meno atteso e che, non casualmente, coincise con la rescissione del trentennale rapporto con la casa discografica Elektra/Asylum.

 

Perdente, quindi, in un campo che forse non è mai stato suo, se non in termini di rappresentanza formale (associazioni benefiche, enti umanitari etc) e che ne ha, probabilmente, direzionato la carriera negli ultimi due decenni, vissuti in un’oscurità sempre maggiore, lontano tanto dalla ribalta delle classifiche rock, quanto da quella delle star del cinema che lo hanno affiancato, ultima la Daryl Hannah di BLADE RUNNER, che lo lasciò per John John Kennedy nel 1993.

 

Browne è peraltro uno “spirito libero”, poco incline a derive pessimistiche e cupi ripiegamenti su se stesso: la sua golden era è passata da almeno 20-25 anni, nessuno lo nega, ma i cicli della vita vengono vissuti con grande saggezza e nessun desiderio di ritirarsi dalla scena.

 

Il Malibran viene preso d’assalto da una folta rappresentanza di turisti americani, tutti tra i 65 (forse anche di più) e i 55, molti impegnati a impartire una lezione di country-rock d’annata ai figli, che partecipano al tutto tra lo stupefatto e il vagamente sospetto.

è molto interessante studiare le diverse reazioni di generazioni così distanti alle sollecitazioni elettroacustiche provenienti dal palco: da una parte teste grigie che si muovono a tempo, a lato zazzere postpostmoderne immobili.

L’adulto sfrutta le pause tra i brani per spiegare qualcosa al ragazzino perplesso, che non ha proprio nulla di JB nel proprio Ipod…

 

Il californiano chiede quanti siano i veneziani in sala e la risposta –specie dai palchi, più economici- è abbastanza consistente: diciamo un 20 % dell’audience.

Moltissimi flash: il desiderio di fissare l’evento, data anche l’età del compositore e una sempre più contenuta attività live, è fortissimo.

Il buio cala e inizia il rituale scintillio di fotocamere e cellulari.

Qualcosa finirà sicuramente su Youtube.

 

Browne sceglie un taglio e un repertorio segnati dall’età e dai tempi di crisi.

è appena tornato con un cd dal titolo assertivo: “Time, the Conqueror”, che costituirà il centro, il nucleo scuro di una performance meditativa, orientata generazionalmente, quasi compassata.

Assistiamo, in pratica, a due forme di espressione in atto: musiche dettate da ritmi lenti, forse troppo cadenzati anche per questa platea, e testi, al contrario, profondi, studiati, combattivi, vitali.

Il pubblico di lingua inglese ama ogni attimo della serata, mentre qualche timido commento in italiano racconta un’impazienza che per fortuna si placa durante l’intervallo (dovuto, utile, forse un po’troppo lungo).

 

L’incipit fa ben sperare, con l’impatto rock di BOULEVARD, subito seguito dai primi brani da “Time the Conqueror”.

L’alternanza, all’inizio, funziona: possiamo apprezzare i capolavori DOCTOR MY EYES e soprattutto FOUNTAIN OF SORROW, prima di ascoltare una lunga sezione di canzoni nuove.

Tra queste, si fa notare sicuramente GOING DOWN TO CUBA, con un sin troppo marcato appello alla caduta delle barriere tra l’isola e gli Stati Uniti.

Tra momenti “minori” della discografia browneana come BARRICADES OF HEAVEN e IN THE SHADOW OF A HEART, fa finalmente capolino LATE FOR THE SKY, che però chiude il primo tempo.

 

Il cantautore - ragioniamo nell’intervallo - ha attentamente evitato tutte le composizioni che in qualche modo evochino spensierate gioventù, vite passate on the road, amorazzi post-liceali, richiami al disimpegno: niente da fare per chi si aspettava TAKE IT EASY (vero inno generazionale, San Francisco e Los Angeles tra fine Sessanta e inizio Settanta), THE ROAD, JAMAICA SAY YOU WILL, THE LOAD OUT – STAY  (ahi ahi…grave assenza), THAT GIRL COULD SING, ROSIE.

Più inaspettata, in un contesto di tematiche pensose e profonde, la latitanza di HOLD ON HOLD OUT, altro inno alla resistenza, privata o pubblica che sia, e di OF MISSING PERSONS.

 

Il secondo tempo ribadisce i ritmi compassati, ma almeno ascoltiamo THESE DAYS e ROCK ME ON THE WATER, dai primi due lavori del ’72-’73.

Straordinaria, invece, la performance delle backing vocalist di colore, alle quali, onestamente, Browne dovrebbe lasciare più spazio: LIVES IN THE BALANCE brilla in mezzo al repertorio della serata con i suoi ritmi serrati e il canto alato delle ragazze.

Gradiamo tutti, molti si alzano e si aspettano una grandinata di successi.

Andiamo avanti, invece, con “Time, the Conqueror”, che per quanto venga promosso, è impossibile possa scalare le classifiche.

 

Non volendo concederci LOAD OUT-STAY e THE ROAD, JB non può però evitare di proporre un triplice botto finale: FOR EVERYMAN, THE PRETENDER e RUNNING ON EMPTY (il padre si agita e scuote il figlio assopito) regalano emozioni forti.

 

Apprezzato l’omaggio alle vittime del terremoto: BEFORE THE DELUGE (Prima del diluvio) chiude il concerto con un solo bis, lasciando il Malibran in un’atmosfera sospesa, senza che nessuno abbia il coraggio di chiedere altri encores.

sms PRESENTA...

jackson browne
Venezia, venerdì 08 maggio 2009
Teatro Malibran