teatro regio di torino

stagione opera & balletto 2013

"Puglia in scena"

 

29/novembre-01/dicembre 2013

 

Limb’s Theorem
Compositore: Thom Willems
Coreografia: William Forsythe

di Vanessa MICHIELON

Collegamenti rapidi: SCHEDA

Limb's theorem, uno sguardo forsythiano su luci, architetture e corpi danzanti. Se volessimo indicare un compendio sulla ricerca sul movimento condotta da William Forsythe nei primi anni Novanta, Limb’s Theorem farebbe al caso nostro. Creata nel 1990 per il Frankfurt Ballet, quest'opera non solo illustra magistralmente l'intento di operare una destrutturazione dei codici della danza classica accademica per adattarli alla scena contemporanea, ma anche rivela una profonda fascinazione per il potenziale cinematografico della luce, per l'installation art e per l'architettura che ha portato il coreografo, in tempi più recenti, a dedicarsi anche alla creazione dei cosiddetti "oggetti coreografici". Nel 2005 Limb’s Theorem è stato introdotto nel repertorio del Ballet de l’Opéra de Lyon, che dopo una pausa di cinque anni ha deciso di riportarlo in scena nel nuovo tour, facendo tappa al Teatro Regio di Torino dal 29 novembre al 1 dicembre.
Anche in questa occasione gli spettatori accorti avranno potuto godere del raffinato gioco tra polisemia del titolo e complessità della composizione. Il termine teorema evoca infatti il rigore scientifico e l'universo della geometria che guidano la pratica coreografica dell'artista, estimatore degli studi labaniani, nella ricerca sul movimento. La parola "limb" rimanda invece alle gambe e alle braccia - contorte, tese, disarticolate - dei danzatori, ma anche all'idea di sbilanciamento verso condizioni di rischio, di estensione oltre un limite. Un limite fisico e corporeo da superare come credo coreografico forsythiano, ma anche un limite scenografico con il quale porsi in relazione. L'operazione di segmentazione del palco con confini materiali e immateriali è qui realizzata impiegando strutture cinetiche che creano ombre o riflettono luce diffusa e sorgenti luminose mobili che nascondono e svelano i corpi.
Questa scenografia minimalista rivela chiaramente l'interesse di Forsythe per l'architettura - non a caso Daniel Libeskind è un suo importante punto di riferimento nel periodo della produzione di Limb's theorem. Così il coreografo non solo crea le luci per l'intero spettacolo insieme a Michael Simon, ma progetta e realizza anche l'allestimento del secondo atto, una parete lignea ondulata a centro palco contro la quale si scagliano i danzatori e le loro ombre deformate. La musica è firmata invece da Thom Willems, compositore di fiducia della compagnia del Frankfurt Ballet.

La prima sezione, Limb's I, si apre con un groviglio di arti, un'entità tentacolare che pulsa nella penombra su un lato del palco. Lentamente i corpi si sciolgono per conquistare lo spazio scenico, accompagnati dalla luce proveniente da una saracinesca sulla sinistra. Il raggio scivola sul palco, un metronomo scandisce il tempo. Gli accademici neri indossati dai quattro danzatori lasciano scoperte solo le braccia, talvolta mosse in modo fluido, a percorrere curve e spirali, talvolta tese come a tagliare l'aria. La scena è qui dominata da una vela bianca, superficie riflettente ma anche generatrice di ombra. Ancorata in un punto al centro del palco, la struttura è controllata da un impassibile manovratore, una figura estranea alle dinamiche che intercorrono tra i quattordici danzatori.
Gli emblematici elementi stilistici forsythiani sono immediatamente enunciati: il bacino che cambia inaspettatamente direzione, i manège in cui le braccia disegnano forme inattese, la rapidità dei coupè, i rond de jambe e i grand pliè esasperati. Ancora, l'alternarsi di linee di sapore balanchiniano e di spirali generate in estremità del corpo sempre diverse, il senso del rischio, il disequilibrio e la scomodità ricercati, i piedi che scivolano pericolosamente o che puntano saldi. L'eredità di Balanchine si manifesta anche negli incroci tra schieramenti in riga che si muovono a specchio, nell'uso dei canoni, nei polsi spezzati, nei rapidissimi temps levè per avanzare verso il proscenio. L'occhio dello spettatore vorrebbe ma non può abbracciare interamente il gioco di contrasti e di sottili analogie che si sviluppa sul palco, come quando in due punti distinti della scena coesistono un trio maschile, caratterizzato dalla fluidità delle onde che percorrono il corpo e lo muovono anche a contatto con gli altri, e una formazione lineare di donne in punta, chirurgica nell'esecuzione degli echappè. In istanti come questi lo statement dell'artista si concretizza visivamente.
Forte dell'esperienza acquisita presso la Juilliard School e il Joffrey Ballet a New York prima di trasferirsi in Germania, Forsythe è infatti noto per aver adottato i codici del classico destrutturandoli, per aver  reinterpretato il balletto sondandone gli estremi e riconfigurandolo in chiave postmoderna. Una linea di pensiero chiaramente riassunta nella sua celebre asserzione: "Il vocabolario non è e non sarà mai vecchio, è la scrittura che può risultare datata."
Un'atmosfera sospesa contraddistingue l'incipit del secondo atto, Enemy in the figure. Il sipario si alza su tre figure sulla sinistra del palco: una danzatrice in bianco giace a terra mentre il partner manipola le gambe, poi la testa, quasi fosse una bambola meccanica. Nell'ombra, scivolando lungo la parete laterale, un'altra donna avanza sinuosa con un movimento a flusso continuo.
La scena di riempie progressivamente in un alternarsi di passi a due, assoli e momenti di gruppo compositi. Grandi protagonisti di questa sezione sono i fari mobili, spostati dai danzatori per disegnare lo spazio variando continuamente le condizioni di visibilità e sfidando le capacità percettive dello spettatore. I danzatori in body e accademici bianchi o neri giocano così al limite tra chiarore e oscurità, rasentano i bordi confermando quello stato di minaccia e di suspense suggerito dalla composizione sonora. A fare da contrappunto ai tagli di luce, una corda è trascinata sul palco e mossa con oscillazioni ritmiche. I danzatori la afferrano, la sollevano con il collo del piede, la oltrepassano saltando, la usano come elemento scenico minimale ma di forte impatto.

Nel terzo capitolo, Limb's III, pertiche oblique che proiettano ombre contro un muro fungono da riparo per i danzatori, attratti dal centro del palco ma costantemente di ritorno verso la parete, secondo un movimento ondulatorio. Dall'altro lato della scena una singolare scultura sospesa (il relitto di una navicella spaziale?) costituisce il fulcro attorno al quale si sviluppano brevi soli maschili. La grande chiusura corale coinvolge un cast di ventinove elementi che il coreografo organizza genialmente ricorrendo a formazioni ordinate ciclicamente disgregate e sostituite da configurazioni caotiche, micro universi brulicanti di movimento.

Sempre attuale e capace di sorprendere, Limb's theorem è un'opera-summa in cui la tradizione della danza classica è celebrata ma trasformata, analizzata e destrutturata con rigore chirurgico, in cui scarpe da punta e calzini, tute accademiche, costumi eccentrici e abiti quotidiani si mescolano in uno scenario surreale.




foto
© Michel Cavalca

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