Limb's theorem,
uno sguardo forsythiano su luci, architetture e corpi danzanti.
Se
volessimo indicare un compendio sulla ricerca sul movimento condotta da
William Forsythe nei primi anni Novanta, Limb’s Theorem farebbe al
caso nostro. Creata nel 1990 per il Frankfurt Ballet, quest'opera non
solo illustra magistralmente l'intento di operare una destrutturazione dei
codici della danza classica accademica per adattarli alla scena
contemporanea, ma anche rivela una profonda fascinazione per il potenziale
cinematografico della luce, per l'installation art e per l'architettura che
ha portato il coreografo, in tempi più recenti, a dedicarsi anche alla
creazione dei cosiddetti "oggetti coreografici".
Nel
2005 Limb’s Theorem è stato introdotto nel repertorio del Ballet de
l’Opéra de Lyon, che dopo una pausa di cinque anni ha deciso di riportarlo
in scena nel nuovo tour, facendo tappa al Teatro Regio di Torino dal 29
novembre al 1 dicembre.
Anche in questa occasione gli spettatori accorti avranno potuto godere del
raffinato gioco tra polisemia del titolo e complessità della composizione.
Il termine teorema evoca infatti il rigore scientifico e l'universo della
geometria che guidano la pratica coreografica dell'artista, estimatore degli
studi labaniani, nella ricerca sul movimento. La parola "limb" rimanda
invece alle gambe e alle braccia - contorte, tese, disarticolate - dei
danzatori, ma anche all'idea di sbilanciamento verso condizioni di rischio,
di estensione oltre un limite. Un limite fisico e corporeo da superare come
credo coreografico forsythiano, ma anche un limite scenografico con il quale
porsi in relazione. L'operazione di segmentazione del palco con confini
materiali e immateriali è qui realizzata impiegando strutture cinetiche che
creano ombre o riflettono luce diffusa e sorgenti luminose mobili che
nascondono e svelano i corpi.
Questa scenografia minimalista rivela chiaramente l'interesse di Forsythe
per l'architettura - non a caso Daniel Libeskind è un suo importante punto
di riferimento nel periodo della produzione di Limb's theorem. Così
il coreografo non solo crea le luci per l'intero spettacolo insieme a
Michael Simon, ma progetta e realizza anche l'allestimento del secondo atto,
una parete lignea ondulata a centro palco contro la quale si scagliano i
danzatori e le loro ombre deformate. La musica è firmata invece da Thom
Willems, compositore di fiducia della compagnia del Frankfurt Ballet.
La prima sezione, Limb's I, si apre con un groviglio di arti,
un'entità tentacolare che pulsa nella penombra su un lato del palco.
Lentamente i corpi si sciolgono per conquistare lo spazio scenico,
accompagnati dalla luce proveniente da una saracinesca sulla sinistra. Il
raggio scivola sul palco, un metronomo scandisce il tempo. Gli accademici
neri indossati dai quattro danzatori lasciano scoperte solo le braccia,
talvolta mosse in modo fluido, a percorrere curve e spirali, talvolta tese
come a tagliare l'aria. La scena è qui dominata da una vela bianca,
superficie riflettente ma anche generatrice di ombra. Ancorata in un punto
al centro del palco, la struttura è controllata da un impassibile
manovratore, una figura estranea alle dinamiche che intercorrono tra i
quattordici danzatori.
Gli emblematici elementi stilistici forsythiani sono immediatamente
enunciati: il bacino che cambia inaspettatamente direzione, i manège in cui
le braccia disegnano forme inattese, la rapidità dei coupè, i rond de jambe
e i grand pliè esasperati. Ancora, l'alternarsi di linee di sapore
balanchiniano e di spirali generate in estremità del corpo sempre diverse,
il senso del rischio, il disequilibrio e la scomodità ricercati, i piedi che
scivolano pericolosamente o che puntano saldi. L'eredità di Balanchine si
manifesta anche negli incroci tra schieramenti in riga che si muovono a
specchio, nell'uso dei canoni, nei polsi spezzati, nei rapidissimi temps
levè per avanzare verso il proscenio. L'occhio dello spettatore vorrebbe ma
non può abbracciare interamente il gioco di contrasti e di sottili analogie
che si sviluppa sul palco, come quando in due punti distinti della scena
coesistono un trio maschile, caratterizzato dalla fluidità delle onde che
percorrono il corpo e lo muovono anche a contatto con gli altri, e una
formazione lineare di donne in punta, chirurgica nell'esecuzione degli
echappè. In istanti come questi lo statement dell'artista si concretizza
visivamente.
Forte dell'esperienza acquisita presso la Juilliard School e il Joffrey
Ballet a New York prima di trasferirsi in Germania, Forsythe è infatti noto
per aver adottato i codici del classico destrutturandoli, per aver
reinterpretato il balletto sondandone gli estremi e riconfigurandolo in
chiave postmoderna. Una linea di pensiero chiaramente riassunta nella sua
celebre asserzione: "Il vocabolario non è e non sarà mai vecchio, è la
scrittura che può risultare datata."
Un'atmosfera sospesa contraddistingue l'incipit del secondo atto, Enemy
in the figure. Il sipario si alza su tre figure sulla sinistra del
palco: una danzatrice in bianco giace a terra mentre il partner manipola le
gambe, poi la testa, quasi fosse una bambola meccanica. Nell'ombra,
scivolando lungo la parete laterale, un'altra donna avanza sinuosa con un
movimento a flusso continuo.
La scena di riempie progressivamente in un alternarsi di passi a due, assoli
e momenti di gruppo compositi. Grandi protagonisti di questa sezione sono i
fari mobili, spostati dai danzatori per disegnare lo spazio variando
continuamente le condizioni di visibilità e sfidando le capacità percettive
dello spettatore. I danzatori in body e accademici bianchi o neri giocano
così al limite tra chiarore e oscurità, rasentano i bordi confermando quello
stato di minaccia e di suspense suggerito dalla composizione sonora. A fare
da contrappunto ai tagli di luce, una corda è trascinata sul palco e mossa
con oscillazioni ritmiche. I danzatori la afferrano, la sollevano con il
collo del piede, la oltrepassano saltando, la usano come elemento scenico
minimale ma di forte impatto.
Nel terzo capitolo, Limb's III, pertiche oblique che proiettano ombre
contro un muro fungono da riparo per i danzatori, attratti dal centro del
palco ma costantemente di ritorno verso la parete, secondo un movimento
ondulatorio. Dall'altro lato della scena una singolare scultura sospesa (il
relitto di una navicella spaziale?) costituisce il fulcro attorno al quale
si sviluppano brevi soli maschili. La grande chiusura corale coinvolge un
cast di ventinove elementi che il coreografo organizza genialmente
ricorrendo a formazioni ordinate ciclicamente disgregate e sostituite da
configurazioni caotiche, micro universi brulicanti di movimento.
Sempre attuale e capace di sorprendere, Limb's theorem è
un'opera-summa in cui la tradizione della danza classica è celebrata ma
trasformata, analizzata e destrutturata con rigore chirurgico, in cui scarpe
da punta e calzini, tute accademiche, costumi eccentrici e abiti quotidiani
si mescolano in uno scenario surreale. |