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    Dentro le viscere, 
    aldilà della pelle 
     
    Si torna ancora una volta in un periodo storico ben definito e più volte 
    affrontato con "La Pelle", spettacolo andato in scena al Teatro Toniolo di 
    Mestre martedì 2 dicembre. Lo scenario della seconda guerra mondiale, con 
    tutta la sua conseguente corruzione e distruzione, diventa centrale nel 
    nuovo lavoro diretto e interpretato da Marco Baliani, uno dei maggiori 
    rappresentanti in Italia del teatro di narrazione. Il regista riadatta il 
    testo scritto in seguito allo sbarco degli alleati a Napoli nel ’43 dal 
    giornalista Curzio Malaparte, per poter analizzare in maniera viscerale le 
    cause che hanno condotto l’uomo a perdere la propria identità e dignità, 
    lasciando traccia di ciò ancora oggi. I personaggi non sono altro che corpi, 
    nudi o semivestiti, che si muovono sul palco come se fossero delle 
    marionette: cadono in terra, non si reggono in piedi e vengono mossi da 
    convulsioni improvvise. Questi attori, che non interpretano il napoletano 
    quanto l’uomo vinto e perdente, battuto da una guerra sfuggita al suo 
    controllo, non hanno alcuna caratteristica che li contraddistingue l’uno 
    dall’altro; sono solo intenti a svendere la propria persona a chi capita pur 
    di riuscire a sopravvivere e di non patire la fame. È qui che entra in gioco 
    l’allusione della pelle: pur di salvare il proprio corpo indossano i vestiti 
    sporchi di sangue e odoranti di carne putrida dei soldati morti per non 
    patire il freddo; le donne diventano prostitute mettendosi a disposizione 
    degli americani solo per pochi dollari; si vendono bambini e se ne mangiano 
    per disperazione; si cede la propria anima e la cosa più cara che si ha solo 
    per un tozzo di pane. L’America è vista come la causa di questa miseria di 
    spirito e di questa diffusa vigliaccheria, perché “il vincitore ha bisogno 
    di toccare con dito, e infilarlo nelle piaghe del perdente”, per potersi 
    ritenere tale e aumentare il suo potere: il soldato è lì a comprare a prezzi 
    svenduti ciò che gli viene proposto. Torna così un riferimento alla società 
    dei nostri giorni con un popolo, quello degli USA, che porta al resto del 
    mondo la propria solidarietà – così come gli americani stessi la definiscono 
    – subito messa in discussione con l’affermazione di Baliani per cui “Cristo 
    non chiede la solidarietà ma la pietà”. Pietà che mancava già da prima del 
    ‘900, ma che ancora oggi a distanza di secoli non è stata raggiunta. 
    Alla narrazione di Baliani seguono belle immagini di impatto, con corpi che 
    si dispongono in modo tale da ricordare al pubblico attento quadri famosi 
    come quelli di Caravaggio; le scene corali sono quindi di grande effetto, 
    anche se lo sarebbero state di più se inserite con maggior parsimonia 
    all’interno della pièce – senza invece concentrarle quasi tutte in 
    un’esclusiva scena in maniera troppo frettolosa –. Le scenografie a cura di 
    Marion D’Amburgo e le musiche originali di Mirto Baliani si sposano bene con 
    un impianto drammaturgico che sembra appesantito da una tematica chiara ma 
    troppe volte ribadita e con monologhi non entusiasmanti. In scena oltre 
    Baliani, Elisa Cuppini, Marion D’Amburgo, la brava tersicorea Alessandra 
    Fazzino, Maria Maglietta, Simone Martini, Guido Primicille Carafa, Michele 
    Riondino, Giuseppe Sangiorgi e Caterina Simonelli.   |