La Soglia

di Valentina Carollo

 

Una personale esperienza, in particolare la partecipazione ad uno degli eventi a latere dell’ultima Biennale di Venezia ha mosso la mia ricerca, fornendo così uno spunto per la produzione di questo testo. Mi riferisco all’intervento di Bill Viola che ha presentato una video-istallazione, dal titolo “Ocean without a shore”, nella chiesa quattrocentesca di S.Gallo. Nell’oscurità di uno spazio raccolto, interno a questa suggestiva cornice spaziale, tre grandi pale poste sugli altari di pietra vengono concepite come “soglie”, portali di transito tra la vita e la morte, la luce e l’ombra, la materia e lo spirito. Esse diventano superfici trasparenti su cui si manifestano immagini inizialmente indistinte, poi via via più precise, dei morti che cercano di ritornare nel nostro mondo: il muro d’acqua, dapprima invisibile, si frange, la soglia è varcata. Il tema è quello, ricorrente in molte opere di Bill Viola, della presenza della morte nelle nostre vite, del passaggio, della sospensione tra la vita e la morte affrontato nella direzione di una intensa riflessione esistenziale. Il passaggio oltre la soglia che separa i due mondi è segnato da una barriera fatta d’acqua, esile, come fragile è il confine che ci separa dalla morte. L’invisibilità della soglia, attraversabile, intesa come possibile filtro, ci mostra che i due universi sono vicini, contigui, e che noi stessi conviviamo continuamente con l’idea della morte. Alla base del lavoro dell’artista, la presenza di un immaginario collettivo complesso in cui si amalgamano occidente ed oriente e ispirato per l’occasione ai versi del cantastorie senegalese Birago Diop, carichi di un acuto animismo e testimoni della cultura africana di cui sono figli. « I morti non sono nella terra: sono nell’albero che freme, sono nel bosco che geme, sono nell’acqua che scorre, sono nell’acqua che dorme, sono nella capanna,. sono nella folla: i morti non sono morti ». L’Africa infatti, continua a vivere accanto ai suoi morti, ne sente la presenza che ne vivifica continuamente la memoria, la custodisce come un bene prezioso.

Ci troviamo senza dubbio di fronte ad un intervento artistico che invita alla partecipazione, ad una interazione e coinvolgimento del soggetto che fruisce dello spazio e dell’evento che concorre a produrre. A proposito dell’arte di Bill Viola si parla infatti di un’arte di emozione, la quale agisce su un piano viscerale; di un’arte “sublime”, che è capace di commuovere e di elevare anche quando desta timore reverenziale; e di un’arte che rivela la sua caratteristica di “prossimità” attraverso un senso di forza e presenza che travolge le nostre facoltà. Ultima ma non ultima qualità di quest’arte che pare fatta “con” il pubblico e non “per” il pubblico, è quella che porta ad una profonda riflessione, che ti lascia interdetta, suggestionata, che ti pone svariati interrogativi, toccando le tue corde più intime. A partire dall’esperienza soggettiva di questa video-istallazione tutta da vivere e di fronte la quale bisogna lasciarsi vivere, credo che la sua più grande potenzialità consiste proprio nell’“impressionare”. Ciò è reso possibile grazie alla presenza di simboli visivi pregnanti e non a caso scelti dall’artista per il loro potere di trasmissione di un contenuto di significato dietro una spiritualità sintetizzata. Ritengo che il lascito, più duraturo, di queste immagini che sembrano giungere con così tanta facilità a noi spettatori e parlarci da vicino, consiste nella spinta ad un “atto di contemplazione” inteso non come un momento “morto”, di stasi ma al contrario attivo, punto di avvio per una riflessione. Si tratta realmente di un’opera a cui è difficile rimanere indifferenti, l’evocazione di straordinaria suggestione a cui si assiste,  più affettuosa e dolente che drammatica, rappresenta uno stimolo a guardarsi dentro nel proprio “oceano senza approdo”, ad attivare una personale riflessione esistenziale come quella che compie l’artista affrontando certi temi. Ad un’analisi più accurata sono proprio questi naturalmente i dubbi che l’uomo comune si pone ogni giorno fino alla morte, e questa, l’occasione di scovare dentro di sé e provare a dare delle risposte. Alla base di questo processo notiamo come ci sia, infatti, una volontà di straniamento dello spettatore: spaesando lo spettatore, lo si porta fuori dal mondo, collocandolo, non in una passività inerme dove non si formulano domande, ma in un luogo dove egli possa “meditare”.

Nel contesto multischermo che ospitava, facendone allo stesso tempo parte, la creazione dell’artista, ho vissuto un’esperienza percettiva che posso definire sinestetica e che ha costituito l’incipit dell’indagine di una speciale presenza: quella della “soglia”. E’ evidente come nel lavoro di Bill Viola, essa sia concepita come un possibile filtro, un passaggio invece che barriera, limite, o impossibile ostacolo. Andando oltre il suo carattere di invisibilità, questa è una soglia che tutti sentono in quanto attraversarla comporta una possibilità/pericolo di cambiamento, una inversione. Il passaggio è infatti consentito solo a patto di fare i conti con l’altro dominio, accettare la sua influenza benefica o meno sulla nostra identità. Alla luce di ciò, il cammino intrapreso dalle figure evanescenti dei morti che li conduce ad attraversare quella “soglia”, l’ingresso al mondo dei vivi, è lo stesso che li porta a sentire interiormente tutto il peso di questo passaggio, la consapevolezza del cambio e della loro conquistata fisicità. Dapprima spaesati, attoniti, le loro espressioni cambiano lentamente, mostrando un’inquietudine e una sofferenza sempre crescenti insieme ad un senso di oppressione. Essi avvertono quindi di non poter più appartenere a questo mondo, di non poter sostenere il cambio di identità che avevano intrapreso e tornano, ognuno prigioniero della loro solitudine, alla loro dimensione originaria, nell’oscurità profonda della morte. Ciò dimostra come le soglie, visibili o invisibili, siano staccate e insieme parte delle due differenti realtà o identità che vi si affacciano. Senza questa soluzione di “continuità spaziale” le differenze di densità che stanno intorno a differenti presenze non potrebbero “esprimersi” e confrontarsi adeguatamente. Dunque la soglia, seppur attraversabile, come in questo caso, serve a ribadire le differenze; così come la presenza dei “tori” (nome orientale che denota appunto le soglie poste all’entrata dei templi) rappresentavano un limite, un confine netto ed invalicabile tra sacro e profano.

Ma un’altra accezione di significato tutto orientale contraddistingue la “soglia” adottata da Bill Viola, e ne conferisce un valore specifico. Il muro d’acqua di “Ocean without a shore” è un limite fisico, concepito come porta d’accesso che può essere attivata solo da chi l’attraversa. Nel momento stesso in cui viene oltrepassato il limite, esso racchiude la potenzialità, insieme a chi la esperisce fisicamente, di attivare uno spazio che si predispone all’esperienza, dunque svuotato e pronto ad essere enunciato; esso si da come condizione che accoglie l’evento che noi stessi, attraversandolo, produciamo. Una volta superata la barriera d’acqua si assiste ad una vera e propria “epifania”: da forme indistinte in un bianco e nero sgranato, emergono dalla dissolvenza diverse, di nuovo tangibili nella concretezza dell’alta definizione, le figure dei morti che così giungono fino a noi. Tutto ciò deriva dalla concezione (in tutto orientale) di un’arte pratica, che agisce in una dimensione performativa dove spazio e tempo sono i luoghi dell’esperienza. Essa è azione all’interno di uno spazio fluido, in movimento, che è lì per essere enunciato. Questa concezione spaziale si ritrova identicamente riflessa nella presenza materica di un’altra soglia, opera di Felix Gonzales Torres, posta all’interno del Padiglione Italia. Sebbene di diverso materiale, la “soglia”di Torres costituisce un richiamo ideale a quella di Viola: essa è un limite fisico, vacuo, fatto di palliettes dorate e molto glamour, che mette in luce le sue potenzialità nel momento in cui viene attraversata, esperita fisicamente, fruita. Noi diveniamo così i fautori di uno spazio percepito sostanzialmente come identico all’elemento che viene prodotto cioè l’evento, il quale si manifesta nel momento stesso in cui attiviamo la soglia quale dispositivo. Per cui risulta valida l’espressione: “il mondo è tutto ciò che succede, non tutto ciò che è”. Altro aspetto che, a mio avviso, rende peculiare la “soglia” nell’opera di Bill Viola è la scelta di un medium come l’acqua, con tutti i possibili riferimenti ad essa quale fonte di vita, liquido amniotico, e confine dell’esistenza. In “Ocean without a shore” trovo infatti enormemente suggestiva l’immagine della potente cascata d’acqua che visualizza il punto di intersezione tra i due mondi, una sferzata di energia che squarcia il velo e anima le figure, dà loro colore, consistenza ed incombenza, nel lento incedere, fluido e incessante dallo sfondo alla ribalta

Ancora, proseguendo nella nostra indagine, un altro artista che si è servito di quelle che ai miei occhi appaiono “soglie”, è Lucio Fontana. I suoi “tagli”, che vivono dell’immediatezza di un’incisione chirurgica sono tesi a rivelare ciò che la tela copre: un corpo, lo spazio aldilà del quadro, la sua dimensione temporale. Ciò che spinge l’operazione dell’artista è proprio la volontà di coinvolgerci nello spazio oltre i confini pittorici. Dunque, i suoi “tagli”, come “porte socchiuse”, ingressi ad una realtà altra, sconosciuta, ci tengono in sospeso su ciò che può nascondersi dall’altra parte. Infatti la parola “Attese”, con cui designa questa serie di tele, riferisce l’azione di attendere che precede l’atto di scoperta.

Percorrendo a ritroso la storia dell’arte, sono approdata ad un impiego tutto “simbolico” della soglia all’interno della visione chiara, distinta, essenziale suggerita da Canova nel monumento funebre a Maria Cristina d’Austria. La composizione, asimmetrica, di ritmo grave e pausato è tutta un lento incedere verso la soglia buia della morte. Questa volta la “soglia” funge da ingresso ad un mondo, quello dei morti, completamente immerso nell’oscurità, che appare solo accennato, nettamente separato e distante dal nostro. E’ un’opera che non mira all’emozione e alla suggestione, come in Bill Viola, ma nella quale la presenza della morte nell’esistenza di ogni individuo è solo allusivamente  detta e osservata da quella “giusta distanza” che permette di coglierla con assoluta chiarezza. Il sentimento infatti qui si decanta e si purifica e diventa sentimento cosciente o morale, meditazione. Null’altro che questo portarsi della realtà a livello del simbolo, questo includersi dell’idea di morte in quella della vita è il classicismo idealistico del Canova.

Ritornando a “Ocean without a shore” di Bill Viola, notiamo infine come l’ampio svolgimento delle immagini invita lo spettatore a concentrarsi non solo sul punto d’arrivo ma anche e soprattutto sull’azione stessa, sul percorso che porta alla rivelazione finale. Questo processo contempla l’idea per la quale l’inizio e la fine di ogni cosa sono inscindibili, ogni estremo implica l’altro, nelle opere come nella vita; come ci ha detto l’artista “amore e morte sono due aspetti della stessa cosa”. E’ così che, forse richiamati alla vita dalla nostra stessa memoria, le figure dei morti vengono inondate da uno scroscio d’acqua vivificante e salvifico, che ridona  ai loro corpi colore e consistenza in uno stupore che prima di tutto è il loro. L’attraversamento della barriera fra i due mondi è infatti da considerarsi un intenso momento di emotività infinita e di consapevolezza fisica. Ritengo che ciò che impressiona realmente insieme a suggestionare sono le espressioni ed i gesti impacciati e dolenti delle figure che emergono ciclicamente. Esse si mostrano sempre più vere e più vicine al nostro mondo, riuscendo ad instaurare un contatto diretto con il semplice sguardo.

 All’interno dello spazio intimo ed avvolgente che accoglie la video-istallazione, si è portati a partecipare di un’esperienza unica, una sorta di “rapimento estatico” come quello che si vive davanti ad un quadro concepito come un evento: esso si da per il tempo in cui noi lo guardiamo. In questo modo l’atto della contemplazione risulta necessario affinché esso venga enunciato e prodotto. E’ questo il caso in cui l’esperienza dell’arte viene portata nello spazio dell’esperienza reale, in cui le immagini diventano parte dell’architettura

  

Bibliografia

Chris Townsend, Cynthia Freeland, L’arte di Bill Viola, Mondadori, Milano, 2005

 

 

La Soglia