Non
solo fiction a MI ARGENTINA QUERIDA.
Nei documentari presentati nell’incontro pomeridiano del 23 ottobre, le
tante facce della vecchia e della nuova emigrazione. Quante storie si
potrebbero narrare, quanti volti si nascondono dietro le infinite vicende
legate all’emigrazione, circostanze personali e/o collettive che spingono
individui, famiglie o intere popolazioni ad abbandonare la loro terra
natale alla ricerca di un futuro per sé e per i propri cari. Il senso
dei documentari proiettati nell’ambito della rassegna MI ARGENTINA QUERIDA
è anche questo: mostrare quello che nei libri di Storia generalmente non
trova spazio, far parlare, fosse anche per una manciata di minuti, i diretti
protagonisti, far emergere i loro piccoli e grandi drammi, le loro speranze,
le delusioni e i successi.
Decine di migliaia di chilometri separano l’Italia dall’Argentina, eppure
tra questi due paesi si è venuto a formare nel corso dei secoli una inscindibile
trama di legami di sangue. Sono milioni i nostri connazionali che, a più
riprese, si sono riversati nel sud del continente americano, immensa e
vergine Terra Promessa, colma di bellezze naturali e di potenziali opportunità.
Nel documentario I FRIULANI IN ARGENTINA, realizzato nel 1987, il giornalista
Giancarlo Deganutti da voce ad alcuni “emigrantes” friulani e ai loro
discendenti. I più anziani parlano del Friuli come se lo avessero lasciato
il giorno prima, e si commuovono mentre riemergono i ricordi della loro
giovinezza. I loro figli molto spesso non ci sono mai nemmeno stati in
Italia, ma l’hanno a loro modo vissuta attraverso i racconti carichi di
pathos dei genitori (è tipico incontrare discendenti di friulani che,
oltre allo spagnolo, conoscono bene il dialetto d’origine e che possiedono
una “geografia interiore” del Friuli, pur non avendolo mai visitato direttamente).
Già alla terza generazione il legame si fa più labile, i nipotini sanno
spiaccicare solo qualche parola in dialetto e dimostrano di non dare troppo
peso alle nostalgie dei nonni. Il viaggio di Deganutti attraverso le comunità
friulane in Argentina è una interessante testimonianza di quella sorta
di “identità sospesa” che vive l’emigrante. Costretto ad adattarsi al
Nuovo Mondo e nello stesso tempo aggrappato ai simboli del passato (come
il “fogolar” dei friulani) e ai ricordi di una terra che la memoria tende
ad idealizzare e che forse nella realtà non esiste più. E con il tempo
che ovviamente rema contro, rendendo di generazione in generazione sempre
più deboli i legami, sempre più lontane quelle terre di origine.
Con il documentario VOGLIA DI ITALIA di Rosaria Polizzi (una produzione
del 2002) ci spostiamo al presente, e sentiamo la voce dei tanti giovani
italo-argentini desiderosi di trasferirsi nella terra dei loro avi. Sono
per lo più laureati, ingegneri o persone qualificate, sono molto pessimisti
sul futuro del loro paese (parlano dell’inflazione, dell’insicurezza sociale,
della mancanza di lavoro e di credibilità in un governo che possa fare
qualcosa di concreto) e guardano all’Italia come se fosse “Lamerica”.
Ma c’è anche una voce fuori dal coro. Una signora di mezza età ben felice
di continuare a vivere in Argentina: “Questo è un paese straordinario
che ha ancora tanto da dare. Se fossi in un giovane, invece di scappare
in Italia mi sposterei nel sud dell’Argentina dove c’è ancora tutto da
fare, da costruire. In Italia si sta stretti, ognuno nasce nel suo cassetto
e può ambire solo al suo pezzettino. Qui anche partendo dal niente si
può diventare ricchi”. E ancora: “L’Argentina non mi ha delusa, ma mi
hanno deluso molto gli argentini”. Intanto, le immagini del documentario,
le riprese sulle lunghissime code, davanti ai consolati, di gente desiderosa
di avere il passaporto che gli permetta di espatriare (a proposito, una
riflessione, come mai una situazione che ci riguarda così da vicino è
così scarsamente considerata dai nostri mass-media?) sono li a dimostrare
che la Storia si sta ripetendo, questa volta con segno contrario.
Loris SERAFINO
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