20TH AFFF

::: LE RECENSIONI :::



 

CONCORSO LUNGOMETRAGGI

 

USA
DAWN OF THE DEAD

di Zack Snyder

(USA, 2004)

Con: Sarah Polley, Ving Rhames

Aggredita in casa dal compagno,a sua volta inspiegabilmente ferito a morte dalla figlia e poi tornato in vita all’improvviso, una ragazza riesce a fuggire per un soffio e si ritrova in una città in preda al caos, dove esseri mostruosi si aggirano alla ricerca di prede umane;insieme a pochi altri superstiti si rifugerà in un centro commerciale, al cui interno alcuni guardiani notturni si sono a propria volta barricati per tentare di scampare alla catastrofe.

Lo sceneggiatore James Gunn (già al lavoro nella produzione Troma TERROR FIRMER e nei due SCOOBY-DOO, il che è tutto dire) ed il regista Zack Snyder (uno sconosciuto dallo stile anonimo, l’ideale per un lavoro del genere) aggiornano ZOMBI di Romero alla moda dei morti viventi velocissimi e scatenati di 28 GIORNI DOPO, del resto tutt’altro che nuova,visto che già vent’ anni fa, in film italiani come INCUBO SULLA CITTA’ CONTAMINATA e DEMONI 1 & 2 si era visto qualcosa di molto simile; il risultato, almeno in quanto a fedeltà nei confronti del capolavoro a cui questo film si ispira, è quanto di più deleterio si possa immaginare. Accantonato a priori qualsiasi tentativo di approfondire la psicologia dei personaggi, di creare un minimo di suspense, di imbastire una struttura narrativa dettagliata e credibile, in netto contrasto con ciò che accadeva nell’inarrivabile predecessore, il nuovo DAWN OF THE DEAD punta tutto sull’incessante azione e su discreti effetti speciali, chiamando in causa alcuni attori che comparivano nell’originale per mettere assieme una serie di tributi più stucchevoli che genuinamente nostalgici: un negozio di abbigliamento si chiama Gaylen Ross (che fantasia!), Scott Reiniger, che appare brevemente, è un’impresa notarlo, un gonfio e quasi irriconoscibile Ken Foree, nuovamente alla prese con la mitica profezia “Quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla Terra”, mette addirittura tristezza, mentre un Tom Savini ancora in ottima forma è l’unico a regalare un cameo consistente e divertente; d’altro canto, ogni tentativo di introdurre qualche (debole) novità imbocca purtroppo strade che portano a film molto meno nobili: lasciata per strada l’idea degli animali-zombi ventilata in un primo tempo, poi fortunatamente bocciata in produzione, a ricordare il brutto ZOMBI 3 di Lucio Fulci è comunque rimasta la trovata, che qui ha un esito decisamente grottesco, della donna incinta morsicata da uno zombie. Piuttosto splatter per gli standard attuali (ma privo, per ovvi motivi di censura, dei dettagliati festini pseudocannibalistici cari a Romero), si tratta in fin dei conti di un incrocio becero e fracassone tra un videogame e un videoclip, sicuramente ottimo per ululare in sala con gli amici senza correre il rischio di annoiarsi, ma francamente indegno del titolo che porta, omaggiato in maniera assai migliore proprio nel più ispirato ed efficace 28 GIORNI DOPO; onore, una volta tanto, all’Italia, dove azioni legali intraprese da Dario Argento, che fu coproduttore di ZOMBI, e dalla Alan Young Pictures, che ne ha recentemente acquistato i diritti video per il nostro paese, hanno impedito ai distributori di utilizzare lo stesso titolo di allora, costringendoli a ripiegare su L’ALBA DEI MORTI VIVENTI, traduzione letterale di quello originale.

Voto: non classificabile

TOOLBOX MURDERS

di Tobe Hooper

(USA, 2003)
Con: Angela Bettis, Juliet Landau



Una giovane coppia va ad abitare in un condominio terrorizzato dalle scorribande di un misterioso figuro incappucciato, che ama trucidare le proprie vittime con trapani, cesoie, pistole sparachiodi ed ogni altra sorta di attrezzo. Remake soltanto nominale di THE TOOLBOX MURDERS (Dennis Donnelly, 1978), un mediocre slasher che ha fama di essere un piccolo cult in patria, e che in Italia fu distribuito soltanto in videocassetta col titolo LO SQUARTATORE DI LOS ANGELES in seguito al discreto successo del thriller di Lucio Fulci LO SQUARTATORE DI NEW YORK (1982). Prendendo in prestito dall’originale solamente le modalità degli omicidi, Tobe Hooper, uno dei tanti maestri decaduti del genere horror, si ispira guarda caso proprio a Fulci nell’imbastire un intreccio soprannaturale che ha come principale punto di riferimento il finale di QUELLA VILLA ACCANTO AL CIMITERO, anche se non mancano prestiti da un altra pellicola di Fulci (il mitico L’ALDILà) e da INFERNO di Dario Argento. Moderatamente splatter, interpretato da attori sconosciuti e fotografato piattamente, il film lascia nel complesso piuttosto indifferenti, arrancando con molta difficoltà e ben pochi sussulti verso una conclusione infarcita di stupidità talvolta addirittura irritanti; a sprazzi è pure divertente, ma ancora una volta Hooper conferma di essere finito.

Voto: 16/30

WILLARD
di Glen Morgan

(USA, 2003)

Con: Crispin Glover, R. Lee Ermey



Incapace di comunicare col prossimo, il timido e complessato Willard non trova di meglio che solidarizzare coi topi che infestano la cantina della casa materna; se ne servirà, non sempre consapevolmente, per vendicarsi di tutti coloro che lo hanno in qualche modo umiliato, ma l’esuberanza di uno dei essi finirà con l’essergli fatale. Seconda versione cinematografica del romanzo omonimo di Gilbert Ralston, tipica parabola sulla solitudine umana. Il regista Glen Morgan (che al pari del coproduttore James Wong, già responsabile di FINAL DESTINATION, ha diretto per la televisone parecchi episodi di X-FILES e MILLENIUM) sfoggia una buona padronanza della tecnica ed adatta il soggetto con notevole intelligenza, piazzando nei punti giusti alcune sequenze divertenti, o addirittura buffe, che contrastano con l’alone di tristezza che circonda il protagonista e sono spesso determinanti nel creare un’atmosfera grottesca di un certo spessore. Gli attori fanno il proprio dovere, fotografia e musica funzionano alla perfezione, ma il principale salto di qualità rispetto al datato WILLARD E I TOPI diretto da Daniel Mann nell’ormai lontano 1971 si registra a livello di effetti speciali: a rendere estremamente credibili gli attacchi dei roditori ci pensa infatti questa volta una ottima e ben sfruttata computer grafica, sempre ben accetta quando viene messa al servizio della sceneggiatura. Un film che meriterebbe di essere distribuito anche nelle sale italiane.

Voto: 25/30

LOVE OBJECT

di Robert Parigi
(USA, 2003)

Con: Desmond Harrington, Melissa Sagemiller
 

Un giovanotto timido e sessualmente inibito, amante della pornografia, ha problemi ad avvicinare la bella collega della quale è innamorato; così, senza nemmeno rendersi conto che basterebbe farsi avanti per riuscire a conquistarla, spende la bellezza di quasi undicimila dollari per acquistare on-line una bambola a grandezza naturale che ne riproduce le sembianze. Quando riuscirà finalmente ad uscire con l’amata in carne ed ossa sarà troppo tardi: ormai incapace di distinguere tra finzione e realtà, comincerà a sentirsi irrazionalmente minacciato dalla bambola, che ha per giunta un viso decisamente inquietante, in quanto convinto di averne suscitato la gelosia. Ormai allo sbando, lasciato dalla ragazza e licenziato dal lavoro, oppresso per giunta da vicini strambi ed invadenti che ne spiano le mosse, inizierà a commettere stranezze di ogni sorta e arriverà persino ad uccidere. Pellicola bizzarra e divertente, non trascendentale ma compatta ed efficace, caratterizzata da una spiccata misoginia, che esplode definitivamente nel finale a sorpresa, da una tensione erotica notevole, legata alla presenza della bella Melissa Sagemiller, e da alcuni spunti quasi necrofiliaci che ricordano LIVING DOLL, un film di una quindicina d’ anni prima identico per nazionalità e simile in quanto a soggetto. Musiche di Nicholas Pike, piccolo ruolo per Udo Kier.

Voto: 25/30

KING OF THE ANTS

di Stuart Gordon

(USA, 2004)

Con: Chris McKenna, Daniel Baldwin
 


Un pacifico imbianchino appassionato di storie di spionaggio viene coinvolto in uno strano intrigo da figuri loschi, che gli propongono di passare dalla fantasia alla pratica incaricandolo di pedinare un uomo; acchiappata al volo l’occasione di potersi finalmente sentire come uno dei protagonisti dei propri romanzi preferiti, l’uomo non si tira indietro nemmeno quando gli viene chiesto di uccidere. Ma le sorprese non tarderanno ad arrivare…
Dopo avere adattato i classici (Lovecraft e Poe), Stuart Gordon si lancia nella trasposizione cinematografica di uno scrittore contemporaneo (tale Charles Higson, che del film cura anche la sceneggiatura) e fa centro. Raramente, infatti, il regista del leggendario RE-ANIMATOR aveva riscosso molti consensi quando si era allontanato da Lovecraft per realizzare film di altro genere: non aveva convinto in campo fantascientifico con ROBOT JOX, 2013-LA FORTEZZA e SPACE TRUCKERS; aveva francamente deluso con IL POZZO E IL PENDOLO da Poe, e non aveva entusiasmato nemmeno quando si era dedicato a film horror non legati a Lovecraft - tipo CASTLE FREAK, il televisivo DAUGHTER OF DARKNESS ed il pur pregevole DOLLS.
In questa sua nuova fatica, invece, ha saputo mettere in campo molte ottime idee a dispetto del basso budget, non ultima quella di stemperare alcune situazioni disturbanti in un humor nero molto divertente e corrosivo, che sfocia spesso nel grottesco. Molto interessante anche la fotografia, dal taglio assolutamente naturalistico ma tutt’altro che piatto, curata da Mac Ahlberg, l’usuale operatore di Gordon, qui lontano anni luce dalle atmosfere quasi psichedeliche di RE-ANIMATOR e FROM BEYOND. E non mancano neppure buone dosi di sano splatter, con effetti speciali molto in stile anni Ottanta a cui ha collaborato tra gli altri il veterano John Vulich. Un film sicuramente non adatto a tutti i palati, ma che merita un’occhiata.

Voto: 23/30

11:14

di Greg Marcks
(USA, Canada, 2003)

Con: Henry Thomas, Rachel Leigh Cook, Patrick Swayze, Hilary Swank, Barbara Hershey

La formula della storia ad incastri, fatta di salti avanti e indietro nel tempo e caratterizzata dalla totale rottura dell’unità narrativa tradizionale, rivisitata ormai innumerevoli volte da PULP FICTION in avanti, continua a far registare nuove adesioni; questa volta è un giovane esordiente, l’appena ventottenne Greg Marcks, ad appropriarsene per donare quasi il piglio di un thriller ad una vicenda dallo stile molto sui generis, in bilico tra noir e commedia nera. Un cadavere scomodo, che molti tentano di fare sparire senza successo, diventa il comune denominatore di una serie di disgrazie tragicomiche che coinvolgono personaggi eterogenei, costretti ad incontrarsi spesso solamente di sfuggita e senza quasi nemmeno rendersene conto. Situazioni grondanti cattivo gusto (il pene reciso durante un incidente stradale, e poi recuperato in maniera rocambolesca da alcuni amici della vittima, l’accoppiamento su una tomba che si conclude accidentalmente con lo sfondamento del cranio del partner occasionale di una squallida puttanella, il personaggio della commessa semiritardata, il cadavere gettato dal ponte che centra in pieno una vettura di passaggio, e così via) si susseguono a ritmo incessante. Si ride non poco, e si rimane incollati allo schermo in trepida attesa di vedere finalmente assemblati tutti i pezzi del puzzle.

Glorie di Hollywood vecchie (Barbara Hershey, il redivivo Patrick Swayze) e nuove (Hilary Swank, Rachel Leigh Cook) compongono l’azzeccato cast; musiche di Clint Mansell.

Voto: 26/30

LUCKY

(USA, 2001)

di Steve Cuden
Con: Micheal Emanuel, Carrie Barton
 


Un cartoonist in crisi artistica ed esistenziale affoga i dispiaceri nell’alcool: quando una sera, ubriaco, investe ed uccide un cane, si ferma per tentare di soccorrerlo e lo porta a casa propria. Poi, sopraffatto dal senso di colpa, crede che ritorni in vita ed inizi a comunicare telepaticamente con lui nel tentativo di condizionarlo; da ciò a commettere una serie di stranezze, incluso l’omicidio, il passo sarà molto breve.
Bizzarro prodotto indipendente americano, apparentemente semiamatoriale (sembra girato in super 16), con molta camera a mano, qualche virtuosismo qua e là, ed interni fotografati in maniera abbastanza suggestiva (predominano i rossi e i blu pastello molto carichi); ne deriva uno stile molto particolare che ben si attaglia ad una classica metafora sulla solitudine, non delle migliori ma se non altro in grado di trattare l’argomento in modo decisamente personale, intercalando malinconia e disperazione con la giusta quantità di ironia. Buono il lavoro sugli effetti speciali, non numerosi ma discretamente realizzati.

Voto: 18/30


THE GHOULS

di Chad Ferrin
(USA, 2003)

Con: Timothy Muskatell, James Gunn

Un giornalista sempre alla ricerca di sanguinosi scoop si imbatte, dopo una notte di baldoria, in una scena raccapricciante: alcuni esseri dalle sembianze solo vagamente umane stanno divorando una donna; credendo di avere filmato per intero la scena, si allontana precipitosamente, ma scopre soltanto in un secondo tempo di non avere inserito, complice la sbornia, alcun nastro all’interno della videocamera. Sarà quindi costretto a rintracciare nuovamente i mostruosi esseri nella speranza di poter effettivamente realizzare il reportage…
Cinema indipendente Usa al proprio peggio, costato pare ventimila dollari e girato in video (probabilmente si tratta di Betacam, ma sembra al massimo Video 8 Hi-band) da un regista che ha in passato collaborato con la famigerata Troma. Truculento ma non troppo, di rado divertente e spesso noioso, carente di originalità (simili mutanti nascosti nel sottosuolo cittadino si erano già visti in C.H.U.D.), THE GHOULS è il tipico lavoro in cui un soggetto buono al massimo per un cortometraggio viene esteso alla durata di quasi ottanta minuti, con risultati facilmente immaginabili. Non proprio al livello (pessimo) di prodotti analoghi come NECRO-FILES, ma c’è poco da ridere.

Voto: 12/30


THE BIG EMPTY

di Steve Anderson
(USA, 2003)

Con: Jon Favreau, Sean Bean, Daryl Hannah,  Rachel Leigh Cook
 


Un attore fallito, incaricato da un misterioso individuo di portare a destinazione una misteriosa valigia, finisce in un piccolo villaggio nel cuore del deserto abitato da personaggi alquanto strani; lo attendono bizzarre avventure, che lo conducono infine alla scoperta di uno strano intrigo.
Film di fantascienza camuffato da noir, con un protagonista bravo e divertente ed alcune presenze femminili di rilievo (specialmente Rachel Leigh Cook, già vista in 11:14); piuttosto originale e strampalato (siamo dalle parte di un U-TURN in salsa fantasy), poco prevedibile, a volte confuso, corre il rischio di deludere quanti si attendevano qualcosa di più convenzionale. Molto particolare, e sicuramente non per tutti i gusti.

Voto: 18/30

 

 

SPAGNA

TEMPUS FUGIT

di Enric Folch
(Spagna, 2003)

Con: Xavi Mira, Irene Montalà
 


Produzione girata probabilmente in video, ed originariamente destinata alla tv catalana.

Un individuo bizzarro irrompe nella vita di uno sfigato come tanti, dichiarando di provenire da una civiltà del futuro che ha trovato il modo di manipolare il corso naturale del tempo; piombato nel presente grazie all’assunzione per via orale di capsule denominate “Tempus fugit” (da cui il titolo), lo strano personaggio ha come scopo quello di evitare l’imminente fine del mondo, impedendo all’incredulo protagonista di compiere una determinata azione, soltanto in apparenza insignificante, che sarà alla base di una fatale escalation. Ma le cose, ovviamente, fileranno molto meno lisce del previsto, anche perché l’uomo venuto dal futuro, sprovveduto e pasticcione, perderà nel frattempo le proprie pillole miracolose, che finiranno nelle mani sbagliate dando inizio ad una lunga serie di situazioni paradossali. Sullo sfondo ci sono il tema delicato delle tensioni politiche internazionali, oggi di scottante attualità, e quello più leggero dell’ eterna rivalità calcistica tra Barcellona e Real Madrid, molto sentita in Catalogna, che avrà un ruolo determinante in molti punti dell’intreccio.
Costretto dalla mancanza di grossi mezzi a ripiegare su una tecnica essenziale (ma non per questo trascurata, visto che non mancano alcune belle sequenze realizzate con l’ausilio del dolly),il regista Enric Folch si affida alla simpatia dei volenterosi attori e sfrutta al meglio, in tutti i modi e le combinazioni possibili, le premesse alquanto naif, ottenendo come risultato una divertente commedia fantastica caratterizzata da curiose somiglianze con il coevo THE BUTTERFLY EFFECT, rispetto al quale quest’opera possiede comunque una compattezza e una leggerezza narrativa di gran lunga superiori. Si tratta ad ogni modo, purtroppo, di un prodotto di nicchia, che difficilmente potrà beneficiare in futuro di una grossa distribuzione.

Voto: 26/30

FLYING SAUCERS

di Oscar Aibar
(Spagna, 2003)

Con: Jordi Vilches, Macarena Gomez, Leo Bassi
 


Avventure di un ragazzo e di un uomo di mezza età, alle prese con avvistamenti di U.F.O. nei dintorni di Barcellona ai tempi del regime franchista; fin troppo ovvio, dato il periodo, che i due finiranno nel mirino del governo…
Un film onesto e delicato, efficace nella ricostruzione dell’ambientazione d’epoca, solcato da una venatura di ironia che coglie sempre nel segno, abile nel creare un’atmosfera d’attesa e nel mantenerla in piedi a lungo; peccato che poi il finale vanifichi in gran parte l’ottimo lavoro svolto in precedenza, sciogliendo le ambigue premesse nel modo tutto sommato più banale ma consentendo al tempo stesso, se non altro, di collocare la pellicola all’interno del genere fantastico. Comunque godibile, anche se non rimarrà sicuramente nella storia.

Voto: 22/30

 

 

FRANCIA

BLUEBERRY

di Jan Kounen
(Francia, 2004)

Con: Vincent Cassel, Juliette Lewis, Micheal Madsen, Tcheky Karyo, Vahina Giocante, Ernest Borgnine
 


Jan Kounen torna dopo DOBERMANN (1997) ad adattare un fumetto (stavolta del “mostro sacro” Moebius) con Vincent Cassel e Tcheky Karyo nel cast, qui affiancati da comprimari di lusso (la bellissima Vahina Giocante, Micheal Madsen) e da inaspettati ritorni (Juliette Lewis nei panni della protagonista femminile, Ernest Borgnine in un ruolo secondario). Cosceneggiato dal regista stesso e da Gerard Brach, ed imperniato su una rocambolesca caccia all’oro ai tempi del Far West, il film è una grossa coproduzione visivamente molto ambiziosa ma narrativamente modesta, spesso persino pesante: riprese aeree mozzafiato, scorribande subacquee, ubriacanti panoramiche circolari, steadycam e grandangoli a volontà, per non parlare di un’orgia di computer grafica (specialmente in prossimità del finale) che avrebbe forse meglio figurato in una saletta per proiezioni in 3-D di quelle che si vedono spesso nei luna-park, danno l’impressione di non riuscire a dare quasi mai la necessaria consistenza ad un western-fantasy spesso stucchevole. Purtroppo deludente, e senza neppure la sana dose di parossistica violenza che aveva animato il divertente DOBERMANN.

Voto: 17/30
 

MALEFIQUE

di Eric Valette
(Francia, 2003)

Con: Gerald Laroche, Dimitri Rataud
 


Un antico testo di alchimia, fortuitamente rinvenuto all’interno del muro di una cella, potrebbe rappresentare, se correttamente interpretato, l’unica speranza di evasione per quattro detenuti. Una storia originale, dove i prestiti da L’ALDILA’ di Fulci (esplicitamente citato in una bella inquadratura) e dal cinema di Guillermo Del Toro (gli insetti, il libro antico con annessi personaggi di vecchi alchimisti, le tonalità preziose e ricercate della fotografia) sono assolutamente funzionali ad una narrazione molto personale. Lo stesso discorso vale per la computer grafica, usata con molta oculatezza, e per gli effetti speciali di trucco, che supportano efficacemente le scene più crude. Avvolto, grazie anche al tono bizzarro della narrazione, in un alone triste ed inquietante, il film perde colpi solamente nel finale, quando potrebbe sorgere il dubbio di avere in fondo assistito a nulla più di un episodio esteso e tirato a lucido di serial televisivi tipo TWILIGHT ZONE e TALES FROM THE DARKSIDE.
Comunque una lieta sorpresa, soprattutto se si considera che la francese Canal Plus, di cui c’è lo zampino, ha prodotto in passato materiale molto peggiore.

Voto: 27/30



L'ORIENTE

BHOOT

(India, 2003)

di Ram Gopal Varma
Con: Ajay Devgan, Urmila Mathondkar


Reclamizzato dai soliti ridicoli strilli secondo cui la visione sarebbe stata fatale ad uno spettatore, e preceduto da un altrettanto esilarante avvertimento che consiglia a “persone impressionabili e donne in gravidanza “ di abbandonare la sala durante i titoli di testa, BHOOT è un prodotto raffazzonato, firmato da un regista indiano già avvezzo al genere (suo RAAT), che accumula influenze da pellicole di mezzo mondo: comincia come la new-wave horror giapponese (quella di RING e affini) e continua saccheggiando soltanto in apparenza L’ ESORCISTA (in verità è più calzante il paragone con sottoprodotti italiani come L’ANTICRISTO e LA CASA DELL’ESORCISMO) per poi trasformarsi alla fine in un thriller soprannaturale (l’ultimissima scena sembra presa di peso da IN DREAMS).

La protagonista è vittima di stati di trance durante i quali uccide senza un’evidente ragione, poi comincia a manifestare i chiari sintomi di una possessione (diabolica?), attirando al proprio capezzale luminari della scienza e stregoni: l’arcano verrà svelato alla fine nel più banale e puerile dei modi. Incapace di padroneggiare la tecnica (modeste acrobazie visive che vorrebbero suscitare qualche emozione cadono in realtà nel vuoto, risultando forzate e poco coinvolgenti), il regista tenta disperatamente di spaventare con le apparizioni di un bambino, che lasciano indifferenti, e con la presenza di un pupazzo, nelle intenzioni diabolico ma in realtà per nulla inquietante, riuscendo a provocare effettivamente qualche sussulto solamente in una o due occasioni. Le alternative, complice anche la prova di attori appena al di sopra di quelli visti negli ultimissimi film di Argento, non possono che essere due: ridere o dormire; una volta tanto, meglio la prima.

Voto: 5/30


THE UNINVITED

di Su-Yeon Lee
(Sud Corea, 2003)

Con: Park Shing-Yang, Jeon Ji-Hyun
 

Thrilling soprannaturale sudcoreano,assolutamente non all’ altezza,nemmeno tecnicamente,del più famoso TALE OF TWO SISTERS,una delle migliori tra le numerose imitazioni de IL SESTO SENSO realizzate ultimamente da quelle parti.
Qui la scoperta improvvisa di poter captare la presenza delle anime dei defunti sconvolge l’ esistenza di un uomo prossimo al matrimonio,che si ritrova faccia a faccia con recenti casi di omicidio e con uno scomodo passato sino a quel momento rimosso.
Simile per lunghezza e lentezza al giapponese KAIRO,comunque di tutt’ altro genere,THE UNINVITED ha in comune con quel film anche l’ uso intelligente della computer grafica,impiegata con successo per creare effetti shock decisamente d’ impatto (un bambino stritolato dalla ruota di un autocarro,una donna che si getta
a capofitto da una balconata con raccapriccianti conseguenze);molto meno felice,invece,il lavoro svolto sul piano del sonoro,dove risultano spesso esilaranti le repentine impennate di volume pensate in realtà per suscitare reazioni diametralmente opposte.
Una delusione.

Voto: 15/30


AZUMI

di Ryuhei Kitamura
(Giappone, 2003)

Con: Aya Ueto, Yoshio Harada
 

Non strettamente di genere fantastico, se si eccettuano i surreali combattimenti alla MATRIX, il nuovo film di Ryuhei Kitamura si rivela un’autentica sorpresa. Era infatti difficile aspettarsi molto dal regista di VERSUS (un polpettone che condensava in due interminabili ore praticamente di tutto: morti viventi, gangster della yakuza, duelli acrobatici), che dimostra invece di essere di gran lunga più a proprio agio in questa trasposizione ad alto budget di un manga molto popolare in patria.
Affidati ad un anziano maestro, dieci ragazzi sono destinati a mettere fine alle atrocità dei signori della guerra che insanguinano il Giappone nel diciassettesimo secolo: tra essi una sola ragazza, Azumi (interpretata dalla bella cantante Aya Ueto), dotata di un particolare talento per la lotta con la spada. Piuttosto crudo nonostante la sempre presente ironia (specialmente in corrispondenza della sequenza che vede gli allievi del maestro costretti a fronteggiarsi in un duello mortale), non raggiunge forse i picchi sanguinari del mitico SHOGUN ASSASSIN, rispetto al quale annovera comunque molta azione e parecchie uccisioni in più, culminanti nella rocambolesca carneficina conclusiva. Regia di ottimo livello, con tanto di memorabili riprese finali che vedono la macchina da presa volteggiare attorno a due duellanti quasi sospesi nel vuoto.

Voto: 24/30

 

 

PAESI NORDICI

THE INVISIBLE

di Joel Bergvall e Simon Sandquist
(Svezia, 2002)

Con: Gustaf Skarsgard, Thomas Hedengran
 


Trucidato da una banda di bulli, un ragazzo resta esanime in mezzo a un bosco; circostanza che non gli impedisce di tornare ad aggirarsi come spirito tra gli altri esseri umani, e di poter così assistere alla caccia degli aguzzini da parte della polizia locale.

Film diretto a quattro mani che comincia come un fantasy di ottimo livello, forte di una sceneggiatura ben congegnata, con personaggi a tutto tondo, e di un abile regia, che alterna ottimi effetti speciali a suggestive riprese degli stupendi paesaggi svedesi. Peccato che poi le promettenti premesse crollino sotto il peso di un mieloso finale new-age memore forse della lezione di Lukas Moodysson, chiamato in causa anche dalla massiccia presenza di conflitti generazionali. Il contrasto tra la prima parte, piuttosto cruda nonostante una certa delicatezza narrativa di fondo, ed una conclusione di questo genere è purtroppo molto netto, e la valutazione finale inevitabilmente ne risente.

Voto: 24/30

DARK WOODS

di Pal Oie
(Norvegia, 2003)

Con: Marko Iversen Kanic, Sampda Sharma
 


Una troupe televisiva, in trasferta nei boschi norvegesi al seguito di un regista eccentrico, deve fare i conti con misteri, sparizioni ed omicidi. Ennesimo clone del semisconosciuto THE LAST BROADCAST (1998), a cui già il fortunatissimo THE BLAIR WITCH PROJECT si ispirò parzialmente qualche anno fa. In questo caso, una trama più bizzarra di quanto sia lecito immaginare riesce a portare nel (già) trito filone una ventata di novità, accentuata dalla rinuncia alla solita abbondanza di riprese video sgranate in favore di una tecnica cinematografica finalmente di classe superiore; bravi attori si muovono nell’ambito di paesaggi naturali stupendi e spesso inquietanti, che una competente regia fa risaltare al meglio grazie all’apporto di una fotografia ottima (specialmente durante le riprese notturne) e di un sonoro non da meno. Il tutto concorre a creare un’atmosfera misteriosa di un certo spessore che da sola mantiene viva l’attenzione lungo tutto il film: ma l’epilogo assai convenzionale, che rimanda banalmente al genere slasher accumulando per giunta una serie eccessiva di cadute di tono, alla fine sciupa tutto.

Voto: 19/30
 

 

GLI ANTIPODI

UNDEAD

di Micheal & Peter Spierig
(Australia, 2003)

Con: Felicity Mason, Lisa Cunningham
 

Zombi-movie australiano diretto dai fratelli “tuttofare” Micheal e Peter Spierig, che curano anche sceneggiatura, montaggio e produzione: qui è una pioggia di meteoriti a trasformare le persone in feroci morti viventi, e spetta agli abitanti di un villaggio di pescatori il compito di organizzare la riscossa. Un soggetto non particolarmente originale (una minaccia proveniente dallo spazio alla base di una situazione analoga era stata immaginata già vent’anni fa da Thom Eberhardt nell’ancor più mediocre LA NOTTE DELLA COMETA) viene sviluppato senza particolare inventiva dai due esordienti autori, apparentemente più interessati a dimostrare di saper tirare fuori il meglio da un budget esiguo che a tentare di divertire gli spettatori. In quest’ottica, il loro lavoro è senz’altro pregevole, potendo tra l’altro contare su un’originale fotografia che fa spesso sfoggio di colori dalle tonalità suggestive, e potrebbe rappresentare un valido trampolino di lancio verso produzioni più ricche, ma dal punto di vista narrativo regala ben poche emozioni ed è quindi oggettivamente abbastanza trascurabile. Vanta comunque molti estimatori, che ne apprezzano forse la spiccata componente parodistica, ed è stato acquistato dall’americana Lions Gate.

Voto: 18/30


THE LOCALS

(Nuova Zelanda, 2003)

di Greg Page
Con: Paul Glover, Paul Elliott
 

Due ragazzi decisi a far baldoria sono costretti a rivedere i propri piani quando l’auto su cui viaggiano si ferma in piena notte nel bel mezzo di un posto sperduto: dovranno infatti preoccuparsi di sfuggire da una famiglia di nativi del luogo che li bracca per fare loro la pelle; sorpresa finale. Film che prometteva peggio, iniziando come una banalissima copia del recente WRONG TURN, a sua volta derivato da LE COLLINE HANNO GLI OCCHI, NON APRITE QUELLA PORTA e compagnia: invece il finale che vira verso il soprannaturale lo salva in parte, anche se non brilla per originalità, dato che una soluzione analoga si era vista altrettanto da poco in DEAD END. è curioso a questo proposito notare come tutti questi film non stiano facendo altro che rispolverare il vecchio classico americano CARNIVAL OF SOULS - oggetto tra l’altro di un poco attinente remake recentemente prodotto da Wes Craven (che ne ha più che altro preso in prestito il titolo): THE LOCALS, in particolare, ricorda parecchio anche LISA E IL DIAVOLO di Mario Bava, che non era privo a propria volta di punti di contatto proprio con CARNIVAL OF SOULS. Cortocircuiti sospetti, che fanno inevitabilmente pensare non ad un compiaciuto e colto citazionismo, che si addice invece a Tarantino, bensì ad un cinema di genere in crisi che comincia ad avere davvero molto poco di nuovo da dire.

Voto: 22/30

 

 

GLI ALTRI

TEARS OF KALI

di Andreas Marschall
(Germania, 2004)

Con: Adrian Topol, Anja Gebel



L’horror estremo teutonico, che continua a circolare esclusivamente nel circuito underground per ragioni di censura, ha rialzato la testa: lontana dal gore raffazzonato di Andreas Schnaas, come pure da quello un gradino superiore di Andreas Bethmann, TEARS OF KALI è l’opera d’esordio di un autore che coniuga la cura (ma non l’invadenza) degli effetti speciali dei lavori di Olaf Ittenbach con lo spessore della narrazione dell’inarrivabile Jorg Buttgereit, il quale pratica però tutto un altro genere, rendendo quindi improponibile un confronto diretto sotto questo aspetto. Girato in video (in formato Dv), ma con classe (bella la fotografia), si tratta di un lungometraggio composto da tre episodi a se stanti, con tanto di prologo ed epilogo a fare da collante tra essi. Il migliore dei tre è sicuramente il primo, nel quale, come in THE BROOD di David Cronenberg, s’immagina che le pulsioni interiori negative di alcuni esseri umani possano materilizzarsi ed uccidere: l’ultimo (imperniato sulle disavventure di un guaritore che libera una donna da un male oscuro, salvo poi pentirsene) segue a ruota, mentre quello centrale (riguardante uno psichiatra che ha in serbo una “cura” molto particolare per un violento disaddattato) è in fondo il meno sorprendente. Agevolato da attori che ci credono, e si vede, il regista azzecca quasi tutto, compresi gli inserti heavy-metal nella colonna sonora (purtroppo poco numerosi), gli effetti visivi realizzati in digitale, e quelli di trucco, utilizzati con parsimonia per dare vita a scene estremamente truculente: i momenti più raccapriccianti, in questo senso, si trovano all’interno del prologo, nel quale una ragazza si recide le palpebre con un paio di forbici, e nel primo episodio, in cui la gola di una donna viene trafitta più volte da una matita ben appuntita. Gli impressionabili si astengano.

Voto: 25/30
 


ALTRI FESTIVAL
BEYOND RE-ANIMATOR

di Brian Yuzna
(Spagna/USA, 2003)

Con: Jeffrey Combs, Jason Barry, Elsa Pataki
 

Nuovo inatteso sequel del capolavoro horror di Stuart Gordon RE-ANIMATOR (1985), molto più fedele al prototipo rispetto al deludente secondo capitolo (BRIDE OF RE-ANIMATOR, 1990), che pure fu diretto dallo stesso regista. Herbert West (un Jeffrey Combs in forma smagliante) questa volta è costretto a proseguire i soliti folli esperimenti, che prevedono il ritorno in vita dei cadaveri grazie al siero di propria invenzione, nel carcere in cui è rinchiuso, dove può contare sulla collaborazione di un giovane dottore affascinato dai suoi studi: sul finire ci sarà spazio anche per l’introduzione di un secondo siero, che finalmente annulla i nefasti effetti collaterali di quello principale, ma qualcuno dalle intenzioni losche non mancherà di mettersi nuovamente in mezzo - scatenando così la solita carneficina. Divertente il finale, che tra l’altro lascia come sempre spazio ad un’ulteriore eventuale continuazione. La componente demenziale già presente nel primo episodio è qui notevolmente cresciuta, e corre spesso il rischio di sfuggire di mano ma Brian Yuzna salva per fortuna la situazione innestando massicce dosi di splatter dal sapore piacevolmente anni Ottanta - frutto come al solito del lavoro di Screaming Mad George, che non fanno troppo rimpiangere l’originale. Finalmente all’altezza del primo RE-ANIMATOR anche la protagonista femminile, visto che Elsa Pataky, l’attrice spagnola scelta per la parte, non sfigura al confronto con la splendida Barbara Crampton.
Già distribuito in molti paesi, e in alcuni di essi già disponibile sul mercato video, il film ha ricevuto un’ottima accoglienza presso svariati festival, ma in Italia, per il momento, pare sarà difficile vederlo.

Voto: 27/30


KILLING WORDS

di Laura Manà

(Spagna,2002)
Con: Dario Grandinetti, Goya Toledo
 


Un serial killer tiene prigioniera una donna per sfidarla ad un gioco che prevede poste molte alte, ovviamente non sotto forma di denaro, ma gli sviluppi del racconto, densi di rivelazioni inattese, saranno più complessi del previsto. Pellicola ad alto tasso di misoginia (strano, in quest’ottica, che l’abbia diretta una donna), ingiustamente sfortunata sul piano distributivo a dispetto di qualità tecniche ed artistiche decisamente elevate. Tratta da una piece teatrale (e si vede), come il sottovalutato thriller inglese OMICIDIO NELLA MENTE di parecchi anni fa, con cui ha effettivamente in comune alcune soluzioni narrative, si rifà nel titolo originale PALABRAS ENCADENADAS (ovvero “parole incatenate”) al gioco che vede inizialmente impegnati vittima e carnefice: il titolo internazionale più appropriato, piuttosto che KILLING WORDS, sarebbe invece stato “Killing lies”, dal momento che il fascino della menzogna qui seduce quasi tutti i personaggi a cominciare dal protagonista, il quale mente con la precisa finalità di ricercare, a scopo di vendetta, la formula del delitto perfetto. Effetti speciali a cura dell’equipe DDT, che ha già collaborato al cortometraggio AFTERMATH di Nacho Cerdà e a tutti i film di Jaume Balaguerò.

Voto: 25/30

HIGH TENSION

(Francia, 2003)

di Alexandre Aja
Con: Cecile De France, Philippe Nahon
 


Due ragazze, ospiti dei genitori di una di loro in una sperduta casa di campagna, vengono brutalmente assalite da un assassino necrofilo. Dopo avere assistito al massacro dei propri familiari, una delle due viene rapita: la sua amica, riuscita miracolosamente a nascondersi, si metterà sulle loro tracce, ma finirà a propria volta nel mirino del maniaco.

Veramente ben girato, forte di una fotografia che fa un ottimo uso dei filtri, il il film merita la visione quasi esclusivamente in virtù degli effetti splatter del redivivo Giannetto De Rossi, che in molti punti insanguinano letteralmente lo schermo: non vale molto, invece, la sceneggiatura zeppa di buchi ed incongruenze, nella quale un finale a sorpresa decisamente poco originale, lungi dal contribuire a far quadrare i conti, sembra sottovalutare nettamente l’intelligenza degli spettatori. Sprecata la presenza di Philippe Nahon, già protagonista dei film di Gaspar Noè CARNE e SEUL CONTRE TOUS, che qui appare nel ruolo dell’omicida senza essere quasi mai inquadrato in volto: molto eterogenea la colonna sonora, in cui fa capolino addirittura un famoso successo dei Ricchi & Poveri. Si tratta nel complesso di un prodotto vedibile, ma il fatto che sia addirittura uscito vincitore dall’ultima edizione del festival di Sitges, anzichè deporre a favore della sua qualità, getta preoccupanti ombre sullo stato di salute del genere.

Voto: 20/30

 

CORTOMETRAGGI

 

RITTERSCHLAG


Un drago insegna al figlioletto come sbarazzarsi dei prodi cavalieri che tentano di liberare la bella principessa da lui tenuta prigioniera. Video d’animazione breve ma molto ben realizzato, che si mantiene divertente fino all’ ottimo capovolgimento finale.

EL TREN DE LA BRUJA

 


Dietro un titolo che si ricollega ai “trenini fantasma” sempre presenti nei luna-park si cela un ottimo cortometraggio spagnolo, nel quale un volontario accetta un compenso di dodicimila euro per sottoporsi ad un macabro esperimento scientifico: verrà rinchiuso in una stanza buia, al cui interno qualcuno tenterà in ogni modo di spaventarlo. Sorpresa finale.
Avvincente e ben realizzato, ha ricevuto premi e menzioni presso vari festival specializzati.

LA FIN DE NOTRE AMOUR
Masochismo estremo in un cortometraggio belga che sembra realizzato sotto l’influsso dell’acido. Molto sanguinoso, ed altrettanto sperimentale, mostra lamette inghiottite come capsule e rasoi che incidono le carni del protagonista: alla fine l’autopunizione culminerà nel suicidio. Un lavoro a tratti impressionante, che sfrutta al meglio il formato Dv grazie alla regia estrosa e alla fotografia quasi psichedelica.

RAGE
Due ragazzi e una ragazza, legati da un rapporto ambiguo, trovano una videocassetta, la cui visione riserverà inquietanti sorprese. Cortometraggio francese inizialmente un po’ morboso, ma che alla fine non sa dove andare a parare: il finale ermetico sembra più che altro una facile scappatoia da un gioco non molto sensato.

STOP!
Storia all’insegna del metacinema che inizia e si conclude all’interno di un videonoleggio in cui ha luogo una sanguinosa rapina: la narrazione circolare, che salta in continuazione da un set all’altro, contraddistingue un lavoro molto ben fatto.

JIGSAW
Una donna ravvisa inquietanti segni premonitori all’ interno del puzzle che si accinge a completare. Piuttosto prevedibile e non eccezionale, si presta ad essere seguito molto distrattamente.