19.mo alpe adria cinema
Trieste, 17 - 24 Gennaio 2008

 

I film in concorso

 

di  Sara GHERBITZ

ESTRELLITA

di Metod Pevec

Slovenia/Germania 2007, 97’

Scritto da Pevec, che è anche autore di romanzi di successo, con la collaborazione di Abdulah Sidran, il poeta bosniaco musulmano e sceneggiatore dei primi due film di Emir Kusturica Ti ricordi di Dolly Bell? e Papà è in viaggio d’affari, ESTRELLITA racconta di Dora (Silva Čušin), un’insegnante di pianoforte per trent’anni moglie e musa ispiratrice del famoso violinista Fabiani, che da un momento all’altro si ritrova a dover affrontare l’improvvisa scomparsa del marito. La sua elaborazione del lutto passa attraverso l’amicizia con Amir (Marko Kovačevik), un ragazzino dodicenne della comunità bosniaca dotato di una spiccata musicalità e deciso a proseguire lo studio del violino, che Dora sceglie di prendere sotto la sua ala protettrice. Nonostante l’iniziale diffidenza da parte dei genitori, lui operaio, lei casalinga inquieta, e dell’insegnante di musica della comunità, Amir potrà così esercitarsi sul prezioso violino di Fabiani (il modello “Estrellita”, da cui il titolo del film) e cominciare regolarmente le lezioni al conservatorio. I percorsi dei protagonisti, pur molto diversi tra loro per estrazione sociale, finiscono con l’intrecciarsi all’interno di un ‘labirinto delle emozioni’ nel quale si riflette l’immagine di una Slovenia multietnica ed in rapida e vivace trasformazione, che certo guarda al passato con più serenità di un tempo, mentre le generazioni adulte così come quelle più giovani si affacciano ai mutamenti del presente legati dallo stesso senso di smarrimento.

22/30

 

KLOPKA

(la trappola)

di Srdan Golubović

Serbia/Germania/Ungheria 2007, 106’

L’ingresso in Europa è un sogno lontano nell’attesa pellicola del serbo Srdan Golubović annunciata come la versione noir contemporanea di DELITTO E CASTIGO, tra i titoli selezionati per la cinquina che tra poco più di un mese si contenderà l’Oscar come Miglior film straniero. Attraverso un unico flash-back, ripercorriamo il dramma di Mladen (Nebojsa Glogovac) e Marjia, una coppia giovane e innamorata la cui esistenza viene sconvolta dalla malattia dell’unico figlio, che potrà guarire soltanto sottoponendosi ad un’operazione molto costosa. Messo di fronte alla necessità di denaro che potrebbe salvare suo figlio, Mladen cede al ricatto di uno speculatore edilizio (Miki Manojlović), che in cambio gli chiede di uccidere il rivale. Per il protagonista, tra i pochi imprenditori rimasti a lavorare per un’impresa statale nella Belgrado post Milosevic, dove la maggior parte delle società sono state rivendute alle compagnie occidentali, e le banche sotto il controllo di capitali esteri, ha inizio così una discesa agli inferi che si sviluppa seguendo una sceneggiatura dal ritmo serrato, mantenendo sempre alto il livello della tensione, e che ci accompagna passo dopo passo verso l’agghiacciante epilogo. LA TRAPPOLA rivela le ferite ancora aperte all’interno di una Serbia in cui la guerra è finita, ma al suo posto è subentrata una situazione di falso benessere ed ottimismo, e si segnala come una delle opere più interessanti della nuova produzione del cinema serbo, caratterizzato da una forte componente di denuncia nei confronti del degrado morale ed esistenziale del paese, che vede come suo capofila il cinema di Goran Paskaljević (La polveriera, Optimisti).

23/30

 

E alla fine arrivano i turisti

di Robert Thalheim

Germania 2007, 85’

Il tema della memoria è sempre di dolorosa attualità, come ci racconta Robert Thalheim in questo film che sorprende per la grazia e la delicatezza con cui riesce a trattare una delle pagine più dolorose della storia, l’Olocausto. Prendendo spunto da un’esperienza vissuta in prima persona, il trentaquattrenne regista racconta la trasformazione dell’ex campo di concentramento di Auschwitz in una cittadina di grande richiamo turistico, dove il giovane berlinese Sven (Alexander Fehling) è stato inviato per il servizio civile. Impiegato nel centro giovanile, Sven si deve prendere cura di Krzeminski, un bizzarro ottantenne sopravvissuto al lager la cui vita continua a trascorrere come se dagli anni dell’internamento non fosse mai passato nemmeno un giorno. Convinto da Ania, la ragazza di cui si è invaghito, che da Auschwitz è meglio scappare alla ricerca di un posto migliore, Sven decide di lasciare l’impiego, quando un incontro casuale lo spinge a tornare sui suoi passi. Presentato al Festival di Cannes nella sezione ‘Un certain regard’, AM ENDE KOMMEN TOURISTEN è un viaggio attraverso i fantasmi del passato visto con gli occhi di un ragazzo che, diversamente da Krzemisnki, ha davanti a sé moltissimo tempo per perdonare le atrocità commesse dalla generazione precedente. E sottolinea al tempo stesso la presenza e la persistenza dei vecchi confini, silenziosi ed invisibili, ma proprio per questo ancora più difficili da cancellare.

26/30

 

IMPORT EXPORT

di Ulrich Seidl

Austria 2006, 135'

Dal porno alla riflessione sull’aldilà, ce n’è per tutti i gusti in questo IMPORT EXPORT firmato da Ulrich Seidl, ex astro nascente del cinema austriaco che in questo suo secondo lungometraggio abbandona il ritratto della piccola borghesia mitteleuropea per varcare i confini dell’est e lanciare la sua provocatoria riflessione sulla nuova Europa. Olga (Ekateryna Rak) è un’infermiera ucraina che decide di lasciare il suo paese diretta verso Vienna, Peter (Paul Hofmann), un viennese senza lavoro, tenta la fortuna con il commercio di slot machines in Ucraina. Realtà e finzione si mescolano all’interno di questa pellicola dove, dopo un primo quarto d’ora da brivido, si procede come per assurdo con l’inventario grigio e incolore di tutti i luoghi comuni alla società post-industriale, corsie di ospedali, file all’ufficio di collocamento, agenzie di video-chat erotica, e si tinge di nero nella sua parte conclusiva, terminale, nella terribile sequenza della festa di Carnevale tra i moribondi di un vero reparto geriatrico. Il filo che lega l’ovest all’est è l’assenza di calore umano tra individui, il lavoro che non c’è, la mancanza di un confine netto tra il bene e il male.

In questi luoghi tutti uguali fra di loro, tanto si respira dappertutto lo stesso odore di disinfettante, dove anche la morte viene accolta nell’indifferenza generale, Olga e Peter non hanno la possibilità di incontrarsi, o comunque di accorgersi l’uno dell’altra. Restano due vite parallele che non si sfiorano, guidati inconsapevolmente dallo stesso identico bisogno di imprimere una svolta alle loro giornate fatte di routine, noia e quotidiana ripetitività. Girato in condizioni durissime a venti gradi sottozero, senza luci artificiali, IMPORT EXPORT ha come interpreti principali due attori non professionisti, al loro debutto davanti alla macchina da presa, che hanno partecipato alla creazione della sceneggiatura, praticamente inesistente, con le sensazioni ed esperienze vissute durante le riprese.

24/30

 

PIAZZA DEL REDENTORE

di Krzysztof Krauze e Joanna Kros

Polonia 2006, 105’

Ancora una storia di ordinary people, questa volta proveniente dalla Polonia, è al centro di PIAZZA DEL REDENTORE, pellicola diretta a quattro mani dalla coppia Krzysztof Krauze e Joanna Kros. Il film è ambientato quasi interamente negli interni angusti ed opprimenti di un appartamento affacciato sulla Piazza del Redentore nel pieno centro di Varsavia dove Bartek (Arkadiusz Janiczek) è provvisoriamente ospite della madre nell’attesa di incominciare una nuova vita con la moglie Beata (Jowita Budnik) e i loro due bambini in un complesso residenziale nei sobborghi della capitale. La notizia del fallimento della società a cui è affidata la costruzione della casa giunge inaspettata e li costringe a prolungare il soggiorno nell’appartamento.

Narrato in un lungo flash-back, il film ripercorre l’odissea di Beata, dalla ricerca di un lavoro dopo anni passati a dedicarsi ai figli, all’amara scoperta di essere tradita dal marito che la porta a compiere un gesto disperato, passando attraverso le continue angherie psicologiche che è costretta a subire da parte della suocera durante la loro convivenza forzata. Corna, bugie, scene di violenza quotidiana si susseguono una dopo l’altra all’interno di questo ritratto di infelicità domestica che, attraverso il suo stile volutamente dimesso, evoca quello di una triste telenovela. Proiettato in concorso il giorno successivo al film di Seidl, PIAZZA DEL REDENTORE ne rappresenta la perfetta antitesi, con la sua ricerca affannosa, e a tratti perfino disturbante, di trarre dal disagio esistenziale dei suoi personaggi una qualche forma di insegnamento morale, o come dicono i suoi autori, di “mostrare un vuoto, non tanto religioso, quanto spirituale, un vuoto che distrugge”.

29/30

 

VUOTI A RENDERE

di Jan Svěrák

Repubblica Ceca/GB/Danimarca 2007, 103’

Dalla Repubblica Ceca una commedia dolceamara del filone sulla vecchiaia che ha segnato il record d’incassi. Per sfuggire alla vita sedentaria del pensionato, Josef Tkaloun (Zdenek Svěrák), un ex insegnante di letteratura affetto da insonnia nonché ipocondriaco, pensa bene di rimettersi in gioco con dei lavoretti utili. Temerario pony express nella parte più esilarante del film, finirà come addetto al riciclaggio di bottiglie - i “vuoti a rendere”- dietro le quinte di un supermercato, da dove entrano ed escono amici, l’ex genero, vicini di casa, ecc. A complicare le cose, c’è anche un’avvenente collega per la quale rischia di mandare seriamente all’aria quarant’anni di matrimonio… Archiviata la storia dell’ex Cecoslovacchia (DARK BLUE WORLD) il regista Jan Svěrák il più noto regista ceco della giovane generazione, già vincitore nel 1996 del premio Oscar per il migliore film straniero con il film KOLJA,  prosegue la fortunata collaborazione familiare col padre Zdenek, notissimo attore di cinema e teatro e qui anche autore della sceneggiatura. Stavolta alle prese con i guai della terza età, il calo del desiderio ma soprattutto il senso di smarrimento che riesce a rendere senza mai (s)cadere nel volgare, in una commedia piena d’ironia sulle sfumature della vita.

29/30

 

Uovo

di Semih Kaplanoğlu

Turchia-Grecia 2007, 98’

è in una Turchia senza tempo, sospesa in un limbo tra il passato e il presente, Tire, il paese in cui Yusuf, (Nejat İşler), un poeta trapiantato a Istanbul, fa ritorno per i funerali della madre. Qui trova tutto esattamente come l’aveva lasciato cinque anni prima, dagli amici d’infanzia alla vecchia casa di famiglia, ad eccezione fatta per Ayla (Saadet Işıl Aksoy), la giovane domestica dal fascino un po’ inquietante che parla con i fiori e le piante. Alla sua richiesta di sacrificare un montone alla memoria della madre, Yusuf vorrebbe tirarsi indietro, ed affrettare la sua partenza. Ricco di citazioni nel gusto dell’inquadratura (“Sono dell’idea che il tempo sia la materia prima di cui deve essere fatto il cinema. Il tempo, lo spazio e naturalmente il personaggio di Yusuf, il protagonista del mio film, stanno nei confini cinematografici già delineati da Bresson, Tarkovskij, Satyajit Ray e Ozu”, dice il regista), il film ha una certa sensualità nei suoi lenti, silenziosi piani-sequenza che rivelano un paesaggio dalla natura forte e aspra, non ancora sottomessa alla globalizzazione.

Un perenne desiderio di ‘altrove’ sembra guidare il protagonista, che a Istanbul ha una libreria di libri usati, e sarà per i vestiti, un po’ per il suo sguardo lento e assonnato, ma tutto appare fuorché un metropolitano; e del resto, anche la campagna, la vita a contatto con vacche e galline, e la silenziosa quanto enigmatica Ayla assomigliano più a delle sue proiezioni mentali che a presenze concrete. Fino ad un certo punto la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un’ennesima storia non vissuta, di sguardi e silenzi. è il caso a farli avvicinare, durante un viaggio che li porta attraverso la parte interna, più aspra dell’Anatolia. La nascita e la morte, numerosi richiami alla simbologia universale, l’uovo, il sangue, il sacrificio s’intrecciano all’interno di YUMURTA (Uovo), ultimo capitolo di una trilogia che ripercorre a ritroso nel tempo la vita del poeta Yusuf, attraverso il suo rapporto con la madre nel film BAL (Latte), (la cui uscita è prevista per quest’anno), e risale fino all’infanzia in SUT (Miele), ora in fase di lavorazione.

28/30

 

ho servito il re d'inghilterra

di Jiri Menzel

Repubblica Ceca/Slovacchia 2006, 118'

Tutto esaurito per la serata d’inaugurazione della diciannovesima edizione di Alpeadriacinema, ospite d’onore il regista ceco Jiri Menzel con il suo ultimo film Ho servito il re d’Inghilterra, (Obsluhoval Jsem Anglického Krále, 2006) tratto dall’omonimo romanzo di Bohumil Hrabal (1914-1997), premio Fipresci alla scorsa Berlinale e proiettato al festival di Trieste in anteprima italiana. Come Keaton e Chaplin, i registi più amati dal visionario scrittore e poeta moravo, anche Jan Dite, il protagonista di Ho servito il Re d’Inghilterra è un anti-eroe, piccolo di statura, apprendista cameriere nella Cecoslovacchia della prima metà del secolo scorso, e destinato a sfiorare soltanto gli eventi della Storia, quella con la S maiuscola, piuttosto che viverli da protagonista. Eppure dotato di una ferrea determinazione, così come di una grande capacità d’ascolto e d’osservazione, che si riveleranno fondamentali nella realizzazione del suo progetto, ovvero diventare un milionario. Decide così di lasciare la piccola cittadina situata vicino al confine ceco-tedesco e l’osteria dove lavora per un posto in un incantevole albergo vicino a Praga, in realtà un bordello di lusso frequentato da capitani d’industria e l’alta finanza cecoslovacca degli anni ‘30. La svolta alla sua carriera avviene con la promozione a capocameriere dell’hotel Pariz, l’albergo più elegante nel cuore di Praga, e, così come preannunciato dalla nutrita galleria di figure femminili che ne rivelano l’insospettabile ars amatoria, soprattutto grazie all’incontro con Lisa, giovane attivista sudeta dal carattere furbo e intraprendente con cui convola a giuste nozze. Attraverso il matrimonio Jan vede avvicinarsi sempre più la realizzazione del suo sogno di aprire un albergo di sua proprietà, e accetta pertanto di riprendere il lavoro in hotel, diventato in seguito all’occupazione tedesca una clinica per la riproduzione controllata della razza ariana.
Da qui in poi ha inizio la parabola discendente e tutta una serie di sventure si abbatteranno su questo piccolo arrampicatore sociale - il film ce lo mostra invecchiato ed alle prese con i propri fantasmi mentre dice “Ad un certo punto è come se la mia vita fosse continuata ma raccontata da qualcun altro” - che culminano con la confisca del suo albergo da parte del nuovo regime comunista e la reclusione a quindici anni di carcere.
Il maggior pregio del film, elegante trasposizione di una gigantesca epopea attraverso la storia del secolo breve e le tragiche conseguenze dei totalitarismi (il romanzo, pubblicato in Italia dalle edizioni e/o, viene considerato "Il Tamburo di Latta" in salsa ceca) è la resa del protagonista Jan attraverso l’interpretazione di Ivan Barnev, trentacinquenne attore bulgaro dotato di una straordinaria somiglianza nello sguardo e nella gestualità con Roberto Benigni. Così come azzeccata si rivela la scelta di affidare il ruolo di Lisa all’attrice tedesca Julia Jentsch, già vincitrice di numerosi premi nei panni dell’eroina della Resistenza Sophie Scholl in La Rosa Bianca (vedi la recensione su Kinematrix).
“Un forte legame si è creato tra me e questo autore anche se in realtà è di una generazione più vecchio” - ha spiegato Menzel nel corso dell’incontro con pubblico e stampa - “perché ha cominciato a pubblicare le sue opere soltanto quando io e i miei coetanei abbiamo potuto cominciare a lavorare più liberamente nell’ambito della vita culturale del mio Paese. Ma io ho sentito questa vicinanza per la profonda umanità ma anche per l’umorismo con cui Hrabal rappresentava la vita nelle sue opere, e che è il motivo che gli aveva impedito di pubblicare prima perché non si accordava con quella che era la cultura ufficiale delle pubblicazioni volute dal regime”.

Nascono così Perline sul fondo (1965), film-manifesto della nová vlna ceca ed il successivo Treni strettamente sorvegliati, che con la vittoria dell’Oscar per il Miglior Film Straniero nel 1967 porta il cinema ceco all’attenzione della critica internazionale. La tappa successiva del sodalizio artistico tra Hrabal e Menzel è Allodole sul filo (1969), pellicola finita direttamente negli archivi sigillati della censura con l’accusa di ‘disprezzo per la classe lavoratrice’, per venire poi rimessa in circolazione dopo la caduta del regime.
Per Menzel si tratta quindi di un duplice ritorno, oltre che alle storie del suo scrittore preferito, anche alla regia a dodici anni di distanza dal precedente lungometraggio Il soldato molto semplice Ivan Chonkin (1994).
“Gli adattamenti cinematografici delle opere letterarie sono sempre importanti e sono sempre una sfida per un cineasta. Non solo è difficile tradurre le parole in immagini ma c’è anche la sfida del rendere popolare la letteratura attraverso un’arte più pop come il cinema. Certamente è stato un piacere fare questo film per me ed è stato prevalente nella realizzazione l’aspetto del divertimento, anche grazie all’ottima troupe di attori. La vera difficoltà è stata la sceneggiatura anche perché ho dovuto scriverla senza l’autore che purtroppo era già mancato dieci anni prima. Inoltre Ho servito il Re d’Inghilterra è un’opera molto corposa, con tanti personaggi e molti episodi, ed era difficile scegliere ciò che meglio poteva tradurre sullo schermo nell’ambito quello che era proprio lo spirito del libro e del suo autore. Al contrario, nella fase di realizzazione mi sono divertito moltissimo, anche perché lavorare dopo tanto tempo è stata per me un’esperienza del tutto nuova, con una tecnica completamente nuova ed apparecchiature molto sofisticate”.
Distribuito da Metacinema, che spera di bissare il successo insperato di il grande silenzio (2005), Ho servito il re d’Inghilterra escirà nelle sale italiane in trenta copie a partire dall’ultima settimana di marzo.

 

28/30

 

 

19.mo ALPE adria CINEMA
Trieste, 17 - 24 Gennaio 2008