Si è
conclusa a suon di tamburo la 19a edizione del Festival d'Africa, Asia ed
America Latina di Milano, in un'atmosfera di rara apertura e di sincera
interculturalità. Imperdibili le pellicole in cartellone - molte della quali
a sfondo di denuncia - così come i numerosi eventi del fuori festival, dalla
poesia d'assalto alle numerose esposizioni fotografiche.
Toccante la retrospettiva dedicata al maestro kazako Darezhan Omirbayev ,
esponente della nouvelle vague di inizio anni novanta, in proiezione con
Kairat (1992),
Cardiogramma (1995),
Tueur à gages (1998), uno dei
suoi lavori più significativi, Jol
(2001) e Shuga (2007).
A questo aggiungo la mia commozione per la riapertura del Cinema Gnomo,
terza sala ospitante la manifestazione (le altre due sono lo Spazio Oberdan
e il centralissimo San Fedele di via Hoepli, ndr) e storico avamposto
del cinema d'essai.
Sogno versus realtà: la proposta della sezione tematica su Al Jazeera ha
spostato invece gli occhi sul mondo arabo, attraverso l'occhio del mondo
arabo stesso - la selezione dei programmi televisivi di news, politica, talk
show, soap opera, è un dovuto ribaltamento di prospettiva del mondo arabo
che guarda all'Occidente attraverso i suoi stessi media ed i propri filtri
di cultura e linguaggio.
Milano si risveglia e mostra un pubblico diverso, inaspettatamente
viaggiatore, piacevolmente anticonformista.
Fra i premiati sul palco segnalo l'indonesiano JERMAL (Indonesia/Olanda
2008), di Ravi L. Bharwani e Raykka Makarim, miglior lungometraggio nella
categoria 'Finestre sul Mondo';
'jermal' è una piattaforma di legno per la pesca dove si svolge l'intero
dramma del dodicenne Jaya, che, perduta la madre, vi approda per
ricongiungersi al padre che non ha mai conosciuto, il grosso e temibile capo
Johar.. Ma la jermal è soprattutto un'iniziazione all'età adulta, un mondo
crudele, fatto di duro lavoro minorile, fatica e sfruttamento. Il nuovo
arrivato viene subito preso di mira con violenza ed efferatezza dagli altri
piccoli compagni, in dinamiche di lotta molto simili a quelle di un carcere
galleggiante. Saranno solo l'intelligenza e la forza umana di Jaya a
salvarlo dall'inferno, a dimostrazione che l'uomo non può essere infine
prigioniero se non di se stesso e su questo piano si inverte il ruoli fra
padre e figlio.
Quella delle jermal - dice la regista alla consegna del premio - è
fortunatamente una realtà in via d'estinzione, ne rimangono ad oggi cinque
attive al largo di Sumatra, e questo premio è ancor più importante -
conclude commossa - perché il film in Indonesia è stato tolto dalle sale
dopo soli quindici giorni di programmazione.
WARAMUTSEHO! (Camerun/Francia 2009) miglior Cortometraggio Africano, del
camerunense Auguste Bernard Kouemo Yanghu;
il
regista, in uno dei momenti del fuori-festival, racconta di aver ricevuto i
complimenti di due spettatori ruandesi ed'è il miglior riconoscimento -
commenta Yanghu - perché significa che sono riuscito a raccontare il loro
paese, pur essendo io nativo del Camerun. Nello scrivere questa storia mi
sono immaginato come fosse vivere un giorno dopo l'altro con la paura dentro
il ventre'.
Il corto restituisce in un linguaggio semplice e deciso il dramma a distanza
del genocidio fra Hutu e Tutsi, la follia fratricida viene lasciata sul filo
della tensione psicologica fra due amici d'infanzia che condividono per
studio un appartamento a Tolosa, in Francia. Kabéra e Uwamungu hanno la
stessa passione per la corsa e le piste di atletica. Quando Kabéra viene a
conoscenza del fatto che la famiglia dell'amico è stata sterminata
interamente, non trova le parole per confessare a Uwamungu che i
responsabili dell'omicidio sono il suo stesso cugino e il fratello minore.
NOTHING BUT THE TRUTH (Sudafrica 2008) di John Kani, miglior Lungometraggio
Africano;
le
ceneri del fratello non sono abbastanza per Sipho Makhaya, protagonista del
delicato ed intenso, ironico e tragicomico
Nothing But The Truth, nel
quale John Kani dipinge il suo sentito ritratto del limbo socio-politico, ma
anche emotivo-esistenziale del Sudafrica nel post apartheid. Per la maggior
parte della sua vita, Sipho ha taciuto il confronto col fratello minore
Themba, eroe politico del movimento, esiliato, da anni lontano da casa. Ora
Themba è tornato, ma sottoforma di un vaso per piante, e si lui non rimane
nemmeno un volto a cui potersi rivolgere. La vita si è presa gioco di Sipho
per l'ennesima volta! è
questa la (sua) storia.
Dedicato al fratello di Mr Kani, un poeta ucciso dalla polizia nel 1985, il
film testimonia quanto il processo di assestamento sia ancora lontano dal
suo completo espletamento. Il racconto è anche in un certo senso un
melodramma domestico, dove non mancano rivelazioni di segreti di famiglia e
confessioni liberatorie di emozioni represse, ma nei suoi 90' arde un
autentico fuoco di colpa e dolore, ad illuminare le pieghe e i dettagli di
un tempo del quotidiano che non può prescindere dalla storia di un'intera
nazione quando la vita di un singolo ne rappresenta la storia stessa.
LE TABLEAU di Brahim Fritah (Francia/Marocco 2008), miglior documentario
Africano;
Attraverso la trama di un dipinto, che lo zio del regista, Mohamed Fritah ha
realizzato poco dopo il suo arrivo in Francia, ci viene raccontata la città
di El Jajida. La superficie del quadro diventa allora superficie del tessuto
narrativo in cui l'intreccio dei ricordi si sbroglia a partire dagli anni
dell'infanzia trascorsa in Marocco, passando per l'immigrazione verso la
Francia straniera, sino ad arrivare al quotidiano dei giorni d'oggi. Il
trait d'union che collega la realtà dello zio (nella quale il gesto
artistico a sé stante sembra quasi voler essere casuale) e l'immaginario
poetico del Tableau, è la testimonianza diretta dell'individuo che
attraverso la verità della propria esistenza riesce a trasmettere il fascino
di una tela fitta di atmosfere e variopinti vissuti di migrazione.
NOS LIEUX INTERDITS (Marocco/Francia 2008) di Leila Kilani - miglior
documentario nella sezione internazionale 'Finestre sul Mondo';
Nel 2004 il Re del Marocco ha costituito una commissione per l'equità e la
riconciliazione volta a stabilire la verità storica sulle violenze di Stato
perpetrate a danno di civili durante 'gli anni di piombo'. Qualche anno dopo
l'indipendenza e per quattro decenni il Marocco ha praticato la sparizione
forzata, la tortura fisica e la prigionia di persone arrestate per aver
sostenuto opinioni e posizioni politiche 'dissidenti'. Il documentario
accompagna nell'arco di tre anni il sofferto iter di quattro famiglie nella
loro ricerca della verità: loro stessi o i loro familiari sono stati
imprigionati in più luoghi disseminati nel paese. Quarant'anni più tardi, il
segreto di Stato rivela l'esistenza di altri segreti, altre vite, altre
storie.
Scuro, brutale, senza concessioni estetiche, lo stile evita totalmente la
facile caduta in uno spot sui diritti dell'uomo, denunciando al cento per
cento la vena giornalistica di Leila Kilani e meritando appieno il primo
premio per la coerenza di linguaggio e ricerca. Lo spettatore affonda così
nell'atmosfera di un Marocco straniero e sconosciuto, pieno di trappole e
fantasmi, di silenzi insormontabili. Febbrile e poco loquace, la telecamera
stringe mano mano in fondo agli angoli, da una via chiusa fra palazzi agli
interni casa claustrofobici su personaggi in costanti chiaroscuri. Alla
verità della memoria, che si nasconde dietro ai veli, non viene dato altro
spazio di fuga.
LA EXTRANJERA (Argentina 2008) dell'argentino Fernando Diaz, premio del
pubblico e 'Citta di Milano';
è la storia di Maria, una donna dall'indole taciturna e privata che vive in
una stanza di Barcellona. è
la morte del nonno, l'ultimo familiare sopravvissuto rimastole, ad indurla
sulla via del ritorno verso casa, in un angolo sperduto dell'Argentina:
'Indio Muerto' dove le viene attribuito il compito di risoluzione
dell'eredità di una fattoria lasciata dal nonno.
Poco a poco, Maria riscoprirà la sua vecchia casa, i grandi spazi, i
tramonti del tardo pomeriggio, la pace degli orizzonti aperti e distanti, e
ricomincerà il suo cammino di donna nella terra dei suo padri. Lo spettatore
è con lei, affascinato dal personaggio, dalle sensazioni, dai paesaggi, dal
richiamo alla vita, e dalla bellezza del film.
LA EXTRANJERA è film che fa sognare ad occhi aperti attaccati ai braccioli,
e che in modo particolare ci fa sperare in un mondo migliore: un tempo in
cui pellicole come questa possano infine meritatamente essere distribuite
nei normali circuiti di sala.
Oltre ai vincitori ufficiali, numerose osno le menzioni speciali (LA
RESIDENCE YLANG YLANG di Hachimiya Ahamada, Unione delle Comore / Francia,
2008; UN SI BEAU VOYAGE di Khaled Ghorbal, Tunisia / Francia 2008; KHAMSA di
Karim Dridi, Francia / Tunisia 2008, MAAM KOUMBA di Alioune Ndiaye, Senegal
/ Francia, 2008);
il premio CUMSE è stato assegnato LE MONOLOGUE DE LA MUETTE di Khadi Sylla e
Charlie Van Damme, Senegal / Francia / Belgio, 2008; documenta la schiavitù
moderna per oltre 150.000 donne che a Dakar sopravvivono in una condizione
di sfruttamento, mal pagate quando non pagate del tutto.
è la voce di una muta, Amy, a
parlare in loro vece, vulnerabile ed invisibile. La forza del linguaggio
filmico trova radici nello struggente intercalare fra il silenzio delle
immagini di gretta ingiustizia, che le donne devono subire quotidianamente,
e la poesia delle loro voci sottili, sfociando nell'acmé di una sospensione
universale, di un dolore senza luogo, e senza tempo.
Il
premio CINIT - CIEMME è andato invece a IL SE SONT TUS di Khaled Lakdhdar
Benaissa, Algeria, 2008; un conduttore radiofonico, come ogni giorno
all’alba, torna a casa dopo una notte di lavoro, con la speranza di poter
dormire. Mentre i suoi occhi si chiudono, la strada si sveglia... Le grida e
i rumori del quartiere diventano protagonisti del suo sogno. Riuscire a
dormire è un sogno e la sua veglia diventa un incubo.. Consigliato per
l'originalità della regia e del racconto (visionario)
Tra i miei preferiti (e visti) ma non premiati segnalo infine fra i
lungometraggi in concorso la brillante commedia MASCARADES di Lyes Salem;
fra i documentari OSO BLANCO (Porto Rico, 2008) e TO SEE IF I AM SMILING
(Israele, 2007), il primo racconta la storia della famigerata prigione di
Porto Rico, costruita nel 1933 e chiusa nel 2007, tra le sue mura si sono
consumati delitti efferati e la spietatezza dei suoi detenuti è divenuta
leggendaria; il secondo è un'agghiacciante testimonianza del conflitto
israelo-palestinese per bocca di sei giovani ex-soldatesse che, riportando
con cruda franchezza la realtà del lavoro quotidiano nei Territori Occupati,
le atrocità commesse, l'immaturità, la negligenza, l'abuso, denunciano il
grave impatto psicologico che tali comportamenti repressivi hanno lasciato
indelebilmente nella loro memoria.
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