
Hong Kong, anni ’60. Durante la stesura di
un romanzo di fantascienza, lo scrittore Chow Mo Wan (Leung) ripensa
alle donne della sua vita, alle brevi ma intense relazioni consumate
all’interno di una camera d’albergo, quando per mantenersi faceva il
gigolò. Mentre i ricordi si fondono con la fantasia, Mo Wan arriva ad un
amaro bilancio della propria esistenza, in cui i pochi momenti di
felicità sentimentale brillano come perle in un mare di occasioni
perdute.
Dopo il già estetizzante, eppure concreto, IN THE MOOD FOR LOVE, Wong
decide coraggiosamente di premere fino in fondo l’acceleratore del
proprio straordinario talento visionario, fino a giungere ad un cinema
sperimentale in cui la forma dovrebbe coincidere con il contenuto, e
dove il racconto di una vicenda melodrammatica dovrebbe essere
sostituita dall’idea stessa del melodramma, distillata da personaggi
sempre più stilizzati ed iconografici. Un esperimento che non va del
tutto a buon fine. Se infatti è impossibile non rimanere sedotti da
tanto sfarzo registico, è quasi altrettanto difficile provare emozioni
che vadano decisamente al di là dell’appagamento visivo. Ma fra
l’ossessiva ricerca del dettaglio (a volte anche facile, come in certe
sequenze al rallentatore sul commento di arie strafamose) e figure
femminili dall’austera eleganza che sfilano sullo schermo come su una
passerella, rimane la sottile nota dolente di questi destini transitori
che si perdono nel tempo. Così come è geniale contrapporre l’usuale
messa in scena claustrofobica dei film precedenti ad una dilatazione
narrativa che va da un passato non più prossimo ad un futuro
imprecisato, ancorché immaginario.
Al di là degli aspetti più fumosi, quella di Wong è l’idea di un cinema
puro che merita sempre rispetto.
Voto: 26/30
24.10.2004 |