la biennale di venezia 2009
compolab

Conservatorio Benedetto Marcello

Venezia 26 - 09 - 2009

 

di Costanza PASQUOTTI

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- COMPOLAB, laboratorio di invenzione musicale

28/30

Una gremitissima Sala Concerti accoglie questo laboratorio nato dalla collaborazione tra La Biennale Musica e le classi di Composizione Tradizionale di Riccardo Vaglini, Composizione Sperimentale di Corrado Pasquotti e Musica Elettronica di Alvise Vidolin, nonché dalla co-concertazione dell’Ensamble L’Arsenale, diretto dal M° Filippo Perocco, e di alcuni allievi del Conservatorio “Benedetto Marcello”. Dopo una breve presentazione dell’evento da parte di Luca Francesconi, con cui viene rinnovata l’importanza del sodalizio tra Biennale Musica ed il Conservatorio, si comincia con l’esecuzione del primo pezzo, In alta armonia (2009) di Marino Baldissera per soprano, flauto, clarinetto, chitarra, arpa e live electronics, che trae spunto dai versi della poetessa Natàlia Castaldi. Vengono presentati quattro scenari sonori disegnati dal live electronics che coincidono con i cambi leggio della cantante; all’inizio i fiati ci introducono in un’atmosfera particolare caratterizzata da “frullati” e sibili, a cui, poco alla volta, si uniscono gli altri strumenti, sempre con toni lievi e sussurranti, ed infine la voce che entra in scena bisbigliando i versi solo in un secondo momento rispetto agli altri esecutori. Dopo i quattro cambi di posizione, il pezzo si conclude con una breve passeggiata della cantante intorno alla sala fino a raggiungere la consolle del live electronics.

Invece, Come edera di luce (2009) di Francesco Pavan, per flauto, clarinetto in Si bemolle, clarinetto basso, sax, chitarra e pianoforte, è formato da tre visioni notturne legate tra loro dallo stesso filo conduttore; ogni frammento è un quadro sonoro in cui ogni strumentista deve sviluppare precisi gesti musicali e il cui contenuto è in continuo divenire, “come le ombre che trascolorano attorno ad una sola figura”, come spiega il compositore stesso. Dagli effetti trasmessi dai “frullati”, dagli “slap” e dalle note ribattute della prima visione, si passa al dominio degli accordi per pianoforte preparato del secondo e allo sfregamento di corde e creazione di armonici sul pianoforte del terzo.

Successivamente, Roberto Girolin, alla regia del suono, presenta il suo Piega del secondo cielo (2009) per soprano, flauto, arpa ed elettronica. In questo pezzo è molto interessante notare come il contrappunto che nasce usando suoni di flauto, arpa e voce femminile crei un tutt’uno contrastante con il live, è come se le immagini suggerite dai vari strumenti venissero unite e sovrapposte in una “danza dell’inconscio” dove quest’ultimo regna e regola il suo mondo; in particolare la registrazione dell’emissione d’aria dalla canna del flauto, che produce un effetto simile al risucchio, è chiara dimostrazione dell’importanza attribuita a questo circuito e al flusso ininterrotto di suoni e registrazioni del live.

Elogio de le sombra (2009) di Letizia Michielon per soprano, flauto (ottavino e flauto in Sol), sax, clarinetto basso e pianoforte, è un trittico notturno che nasce dalle suggestioni evocate da tre grandi liriche della poesia spagnola e latino-americana, ossia La rama robada di Neruda, Y después di Garcia Lorca e Elogio de la sombra di Borges, da cui prende nome tutto il pezzo. Il tema comune è quello della sombra, l’ombra appunto, la cui rappresentazione è affidata al clarinetto basso; infatti, proprio come l’ombra che emerge solo a seguito di una figura ben precisa, così nel primo notturno esso non entrerà da subito in scena con gli altri strumenti, ma solo in un secondo momento insieme alla soprano a cui invece spetta la recita della poesia, ovviamente in lingua originale. Il contrasto tra le prime due immagini, l’una offerta dalla tenera e giocosa atmosfera nerudiana, l’altra dallo stile ghiacciato e senza speranza di Garcia Lorca, è nettissimo, molto violenta è infatti la contrapposizione tra illusione e disillusione; dal punto di vista musicale, quello che nel primo notturno era un linguaggio caratterizzato da citazioni di tradizione popolare, come il ritmo di cueca, e colta (Debussy, Ravel, De Falla), e connotato perciò da componenti oniriche e sognatrici, nel secondo diviene una progressiva destrutturalizzazione, in cui il ritmo di habanera si scioglie in tessere pucciniane e ligetiane, impregnate quindi di un acre e struggente dolore di fondo. Gli effetti utilizzati per ricreare questa atmosfera sono molteplici, e vedono particolarmente impegnata la cantante che, per esempio, deve passare una catenina di metallo su uno dei piatti oppure sfregarlo sul bordo con un archetto e successivamente con una spazzola, e così via. Invece, nel terzo frammento entra in ballo la componente della vecchiaia evocata nella poesia di Borges, e con essa i temi del ricordo e della memoria; quindi cambia totalmente la percezione del reale che non è più rigidamente nitida, ma piuttosto un flusso sfocato e dai contorni sfumati, in cui si approda ad un’intuizione del proprio senso: il pianoforte rappresenta lo specchio dell’anima e gli altri esecutori, avvicinandosi ad esso, simboleggiano la contemplazione del proprio centro grazie al suo riflesso; tutto ciò avviene prima che l’ombra riprenda possesso della situzione, momento in cui il clarinettista si stacca nuovamente dal gruppo per lasciare definitivamente la scena, concludendo così il brano.

“L’evoluzione come una somma di eventi casuali” è il principio costitutivo di Evolution (2009) di Andrea Toffolini per clarinetto in La, sassofono contralto, clarinetto basso, pianoforte e regia del suono;  infatti, in accordo alle teorie del biologo Jacques Monod, lo sviluppo del brano è determinato dalla casualità con cui gli strumentisti decidono di eseguire le proprie parti, le loro scelte sono quindi autonome, gli strumenti vivono di vita propria e sono essi stessi artefici dell’evoluzione del pezzo. Dopo circa due minuti di  soffi e frullati dei fiati, gli equilibri vengono spezzati da un potente glissato del pianoforte che dà il via alla produzione di un suono più corposo; il tutto è articolato secondo una panoramica ascendente che tende verso la ricerca di una potente sonorità per poi tornare al sibilo dei fiati e al registro medio-grave del pianoforte.

L’incontro pomeridiano di CompoLab si conclude con Haus der Mitte (2009) di Nicola Buso per flauto, clarinetto, sax tenore, voce, fisarmonica, pianoforte e regia del suono. Il palcoscenico rimanda ad alcune strade, piazze e zone di Berlino in cui si svolgono le vicende dei personaggi di “Noi ragazzi dello Zoo di Berlino” e de “Il cielo sopra Berlino” ed è musicalmente rappresentato dal sottofondo di fisarmonica e del registro grave del pianoforte; in questo scenario i personaggi si aggirano nei vari luoghi, legandosi ad una rete di rammemorazioni, ad un teatro di ombre e di ricordi, inscenati dallo scambio di dialogo tra voce e clarinetto, ed in secondo tempo anche con la fisarmonica.

 

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Conservatorio Benedetto Marcello
Venezia 26 - 09 - 2009