open doors.4

José Navas, Daniel Léveillé, Sophie Corriveau

esperienze dalla danza contemporanea del Québec:

improvvisazione e interpretazione

Venezia, Piccolo Arsenale, 12 marzo 2010

 

di Gabriele FRANCIONI

Collegamenti rapidi:

- Open Doors

- Compagnie Flak

28/30

4. Daniel Léveillé / Sophie Corriveau

 

In attesa dell'evento CAPTURING THE CITY, le lezioni aperte di OPEN DOORS si fanno più serrate, raccogliendo più di un solo insegnante alla volta e ampliando il proprio territorio d'indagine verso ambiti allogeni, come, aspettando i lavori in collaborazione con lo IUAV, quelli dell'Architettura. 

Alla presenza di Paolo Baratta, DANIEL LEVEILLé, canadese, propone un confronto tra un paio di lavori del 2001 (un a-solo e un duetto, con molta “nakedness”, che per vari motivi spiega di non aver potuto proporre a Venezia) e  il prestito che - almeno del primo - fa ai 20 ballerini dell'Arsenale della Danza, spingendoli a un'elaborazione personalizzata.

 

La nudità sarebbe stata e rimane comunque epitome di una tendenza a ridurre all'essenza  minimalistica il movimento, a metà tra (immaginate) strutture architettoniche ora solide ora elasticamente precarie e, come suggeriva Ivo, l'arcaismo ritualistico di una gestualità marziale (ci viene in mente anche PARADES di Fondazione Buziol/Iuav visto quest'estate a Biennale Arte).

 

Al di là di scelte musicali ultraclassiche - forse l'unico impercettibile limite creativo qui e nello spettacolo di Navas, cioè Beethoven, Vivaldi, Bach - la nostra attenzione cerca di leggere i diversi piani interpretativi conferiti dai ballerini canadesi alle proposte di Léveillé (“Crépuscule des océans”, video di un lavoro del 2007), ma soprattutto la più libera e vivacemente “imperfetta” (solo in alcuni casi) lettura dei nostri stagisti, che comunque hanno sempre la difficoltà, rispetto ai ballerini del video, di dover impostare a-soli e duetti entro il contesto della performance di gruppo e di conseguenti coreografie molto più complesse.

 

L'idea di Léveillé, sulla carta utopisticamente irrealizzabile, diventa interessantissimo spartito per una serie di variazioni dinamiche su rigide posizioni-base.

Partendo dalla premessa di voler produrre “emozioni” da azioni motorie elementari e arrivare a coinvolgere il pubblico cercando di alternare staticità e raptus improvvisi, piuttosto che attraverso lo sviluppo di una dinamica coreografica fluida, i ballerini si dispongono non solo su posizioni delle gambe a compasso  o “a portale”, ma anche in modo tale da attingere spunti formali dalle arti marziali.

 

Nel mix, che, in un certo senso, parte da certe intuizioni formali del Funky Broadway, i danzatori stabiliscono un rapporto diretto col parterre, verso cui producono spinte parossistiche di mani e polsi, improvvise e violente.

Posizioni a forbice a terra, gestualità quasi da kung-fu, salti in avanti e all'indietro, capriole.

Il tutto partendo sempre dalla neutralità della figura eretta e ferma, eventualmente a gambe appena allargate.

Sincronismi già ben rodati: in sole due settimane, un risultato notevolissimo.

 

Ormai attivo dal 1976, Léveillé (1952), ha iniziato con il gruppo Nouvelle Aire, fondato da Martine Epoque, e si è perfezionato con Linda Rabin e con l'artista Françoise Sullivan.

Nel 1991 forma la sua compagnia, “D.D.Danse”, dopo importanti riconoscimenti ottenuti in patria.

Lo ritroveremo in giugno alla Biennale Danza. 

 

5. Josè Navas

 

Con Josè Navas (1965) abbiamo una specie di anticipazione dell'omaggio del 27 marzo a Merce Cunningham, col quale il venezuelano di Caracas si formò nel suo periodo newyorchese.

Ora la sua “Compagnie Flak” ha base a Montreal (questa quarta serata è un po' un omaggio alla proficua collaborazione italo-canadese  stabilita da Biennale Danza, il cosiddetto “Focus Danza Canada-Quebec” cui si riferisce il Direttore della Biennale).

Nella sua crescita artistica, Navas pone le scelte musicali assolutamente al centro della propria estetica tendente alla purezza e all'essenzialità del gesto, influenzato in questo da Cunningham e da performers di grande livello quali Risa Steinberg, che conobbe durante uno stage a Caracas e ora “guest teacher” alla Juillard.

Pur associando ancora Judy Garland a Maria Callas e a Vivaldi/Bach, Navas, come da sua stessa ammissione durante la presentazione introduttiva di Ismael Ivo, è sempre più lontano da una concezione spettacolare dell'invenzione coreografica e si concentra ora su a-soli di classica semplicità, ai limiti dell'astrazione del gesto.

Navas ha “prestato” un suo a-solo ai ragazzi dell'Arsenale della Danza, mettendoli nell'ardua posizione di dover combinare  l'istintiva emergenza dell'esuberanza giovanile e l'ispirata maturità del 45enne coreografo venezuelano, ormai lontano dalle distrazioni collaterali di costumi e “protesi” e sempre più vicino al cuore e all'essenza di un corpo fragile nell'atto di relazionarsi a uno spazio vuoto e assoluto.

 

Il video mostrato prima della lezione aperta mostra Navas in uno stadio evolutivo assai prossimo ad “Anatomies”, seppur non così asettico e limitato a spazi bianchi e luci fisse sul performer.

L'agilità muscolare e la fragile forza del corpo che danza come stadio finale, che incontra quello iniziale, di una ricerca coreografica tendente all'assoluto, possono mettere in crisi un'ensemble di ragazzi tra i 20 e i 25 anni.

Così non accade, mentre si ripropone il problema della durata delle performance: i continui, necessarissimi, cambi tra singoli o gruppi di ballerini impegnati nella loro lettura dell'a-solo di Navas (“S”-del 2008- sulle “Gymnopédies” di Satie, dopo una presentazione bachiana dal “Clavicembalo ben temperato”) impediscono l'entrata in quello di stato di trance meditativa richiesta dall'artista venezuelano.

 

Nonostante ciò, o forse proprio a causa di tale difficoltà, risultano affascinanti i sincronismi dei movimenti dell'a-solo nel momento in cui questi vengono moltiplicati per venti corpi.

è possibile parlare, di un “a-solo collettivo” o “del singolo corpo di ballo”, salvo apprezzarne anche i difetti e le accennate imperfezioni.

Prima di una ripresa analoga nel finale, assistiamo a improvvisazioni sparse dei ballerini, seppur compresenti sul palco.

 

Le fasi “a” e “c”, quindi, trattengono una qualità che, paradossalmente, l'originale del video di Navas non aveva: un'emotività e un'umanità dialogante nei confronti del pubblico, altrimenti tenuto lontano da una perfezione asettica.

 

Un grande plauso, quindi, proprio in quest'occasione, ai ragazzi del lungo stage dell'Arsenale della Danza, tra l'altro “costretti”, in queste ultime due settimane, a confrontarsi con due approcci assolutamente antitetici. 

 

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José Navas, Daniel Léveillé, Sophie Corriveau

esperienze dalla danza contemporanea del Québec:

improvvisazione e interpretazione

Venezia, Piccolo Arsenale, 12 marzo 2010