la biennale di venezia 2009
THE WASTE LAND

Coreografia di Ismael Ivo

Teatro alle Tese, Venezia 21 giugno 2009

 

di Gabriele FRANCIONI

Collegamenti rapidi:

- The Waste Land, Ismael Ivo

30/30

La tri-partitura audiovisiva di THE WASTE LAND serve a tentare di tenere insieme (se non addirittura fare) mondi, o, quantomeno, a raccontarne le derive - e gli sprechi, le desolazioni, the wastes- eliminando preventivamente ottimismi di sorta.

 

Perfetto interprete di un tema autoassegnatosi e allo stesso tempo abile mago impegnato nel candomblè contro la penuria di mezzi e finanziamenti alla sua Biennale Danza - una delle tre in assoluta sofferenza - il Direttore brasiliano dimostra rara capacità nel ribaltare l’allarmante status quo.

Studiato e provato in tempi ristretti, THE WASTE LAND è in tutti i sensi un inno all’“urgenza”, un richiamo al non perdere tempo e alla necessità di sintonizzarsi su temi essenziali, estremi, basilari, specchio di uno stato di crisi globale permanente.

 

Nel ruolo di coreografo selezionatore dei 15 - su 152 - performers usciti dal Laboratorio inaugurato in marzo, Ivo declina la sua radicale teatralità e l’innato espressionismo della singola corporeità comunicante in una forma più trattenuta, che gli consente di gestire il corpo di ballo come un unicum, un insieme che lavora sulla parola d’ordine di quest’anno: GRADO ZERO, inteso come radicale ricerca e studio di movimenti e posture e gestualità, lasciando al minimo scenografia ed elementi (solo oggi) secondari.

Coerentemente, si sceglie di rappresentare gli inizi, il grado zero dell’uomo sulla Terra.

 

Tre momenti ben definiti, scanditi rispettivamente dalle musiche di Andreas Bick (1); dall’entrata in campo, fin troppo magniloquente, degli ostinati de LE SACRE DU PRINTEMPS di Strawinsky (2) e da un eclatante colpo ad effetto (3) che stravolge la costruzione, fino a quel momento, di WASTE LAND, servono a dividere il lavoro in parti dotate di peculiarità chiare, assolute, persino tra loro contrapposte.

 

Nella lunga attesa del redde rationem finale, che discetterà intorno al nostro ecosistema corrotto, Ivo pianifica la costruzione dell’uomo come struttura ossea e muscolare elementare su una, due, tre quattro zampe, impegnato nel superamento della rigidità iniziale, poi morbidamente reso(si) agile.

Su assi virtuali tracciati da fasci di luce appena accennati nella foschia del ghiaccio secco (l’alba dell’uomo), uno, quindi tanti umani sembrano ricevere energia vitale dagli spot e dalle loro campiture ancora regolari di colore bianco provenienti  dall’alto.

Un essere umano che va ad energia solare, si regala l’impercettibile transizione dall’assolutamente privato - le esperienze primarie - al pubblico, fatto di azioni condivise.

 

La koiné nascente, raccolta attorno a grumi sociali binari (le coppie di ballerini), ha già esperito tutte le possibili versioni dei micro e dei macro spostamenti cinetici di un arto o di un muscolo.

Senza esagerare, anzi articolando movimenti mai così fluidi e nient’affatto nevrotici, il corpo sociale in fieri esperisce momenti comunitari, familiari o privati, a seconda che lo si rappresenti sotto forma di corse di gruppo o intrecci o quadri coreografici d’insieme, piuttosto che di duetti brevi o pause di raccoglimento sotto rettangoli di luce disegnati per ogni singolo “umano”, quasi fossero stanze, ambienti bidimensionali .

 

Strawinsky, come anticipato, forse irreggimenta un po’ la vocazione sperimentale del maestro brasiliano, e si pone come un muro potente di note rispetto ai fragili campionamenti di Bick.

Da un rumorismo descrittivo messo al servizio del corpo e del mondo in fieri –tuoni, rocce in formazione, vento, ma anche ossa e articolazioni: qualcosa ricordava il Fennesz di ENDLESS SUMMER- a un suono altisonante, che forse troppo palesemente richiama, in ognuno di noi, palingenesi degli Elementi, rinnovamenti  grandiosità naturalistica appena un po’ fuori posto.

 

In questa fase lo spettacolo sembra rimanere in attesa, sospeso in una declinazione un po’ più convenzionale del gesto singolo e collettivo e, per così dire, schiacciato tra la prima parte e il finale.

 

Comincia a farsi notare il fondale creato con mega-sezioni di tubi da acquedotto o oleodotto, con un diametro che accoglie le diverse figurazioni dei danzatori: a croce, a testa in giù, a disegnare una diagonale, a gruppetto che richiama esplicitamente le scimmie dell’incipit di “2001, A Space Odissey”.

 

L’atto terzo riporta lo spettacolo sui livelli dell’inizio.

Kaskeline s’inventa l’improvvisa caduta, da un tubo, di liquido corrotto, un oleoso diluvio universale che ribalta le aspettative di rinnovate primavere e fa degli umani un unico indistinto grumo cromatico e materico, dove la volontà di abbozzare linee e direzioni (di senso o di danza) si perde nella melmosa incertezza di uno scivolamento continuo che è la nostra impotenza figlia di futuri nucleari, piogge chimiche, scioglimenti di ghiacciai.

 

L’animale che cresceva come uomo nell’incerta luce diffusa dei primordi, quell’unico essere ricercante, ma tenace e progettante, qui si perde nel grumo indistinto di un’umanità bombardata e de-corporeizzata: notevole la figurazione collettiva ottenuta col busto a terra e le gambe alzate e unite a formare un cerchio (petr)oleoso.

Come dopo Chernobyl, l’animale uomo è ora suscettibile a mutazioni morfologiche: forse sarebbe stato più opportuno non consentirgli la ribalta (cioè la possibilità di vincere il proscenio, in piedi) e lasciarlo confondersi con la materia indistinta di questo diluvio.

 

Notevoli, a volte con punte di assoluto rilievo, tutti i performers selezionati da Ivo: l’esperimento del Laboratorio (cosa che non si poteva dire per Biennale Teatro) è quindi stato un successo pieno, tale da garantire repliche future.

 

Dieci minuti di applausi.

Si replica il 29 e il 30.

 

la biennale di venezia 2009
THE WASTE LAND

Coreografia di Ismael Ivo

Teatro alle Tese, Venezia 21 giugno 2009