STAGIONE PROSA 2011.2012

italianESI

di e con Saverio La Ruina

Produzione Scena Verticale
musiche originali Roberto Cherillo
disegno luci Dario De Luca
 

15 febbraio 2012 h20.30

 

di Eleonora PINCA

italianeSI: scheda

27/30

Un uomo si fa avanti sulla scena. Trascina appena una gamba, va ad aggrapparsi ad una sedia metallica in fondo al palco, unico elemento presente nello spazio circostante. L’uomo guarda l’ambiente spoglio e lo percorre sino al limite, in prossimità del pubblico. E lì tra le poltrone nota qualcosa: uno spattatore in prima fila parrebbe indossare un pantalone non confezionato a dovere, afferma l’uomo sulla scena rivelandosi sarto di mestiere. Così si presenta Tonino dando così inizio al suo racconto. Questo incipitale contatto cercato col pubblico sottolinea quanto lo spattacolo sia infatti racconto, e non invece monologo di un individuo alle prese col proprio streaming of consciousness. I difetti sartoriali notati in quel pantalone danno origine ad una catena di epifanie in Tonino che si innescano e si dissolvono l’una nell’altra, facendo sì che tra cesure, tagli, riprese e aggiunte la sua storia venga intessuta ed il pubblico assista al suo svilluppo in fieri. L’arazzo si compone dei ricordi di vita di Tonino Cantisani, figlio di un soldato italiano ma nato in Albania nel 1951 in un campo di prigionia dove è stato internato per quarant’anni insieme alla madre. In quanto italiano e quindi traditore del nuovo regime comunista albanese, suo padre venne ricacciato in Italia mentre la madre che ancora lo portava in grembo, fu strappata via al marito ed internata insieme a molti altri. Nel campo grigio e soffocante, è qui che sono quindi ambientate le storie di Tonino. Queste vene di reminescenza sgorgano via via e come metri e metri di stoffa dalle tinte più varie si srotolano per l’auditorio. Alcuni hanno colori più sgargianti: le sue avventure di bambino, la passione per il calcio, l’amore segreto rincorso nei sogni verso la “ragazza gentile”, il mestiere imparato dal sarto italiano del campo, nonché le fantasticherie sull’Italia e sul padre mai conosciuto, sino alla nascita dei figli all’ottenimento della libertà. Ma anche di torture, violenze e privazioni racconta Tonino, la cui delusione e ferita più profonda è proprio inferta dal padre nel loro primo ed ultimo incontro. Arrivato in Italia come profugo una volta caduto il regime nel 1991, Tonino va alla ricerca del genitore perduto compiendo un viaggio che dura giorni insieme al figlioletto. Il padre però non ricambia il suo affetto, si è rifatto una vita che non contempla Tonino e menchemeno conserva il ricordo di sua madre. Visto come un’estraneo dal padre, nemmeno dall’Italia viene accolto: perseguitato in Albania in quanto italiano, si trova paradossalmente ad essere additato come albanese una volta giunto nella terra che sempre aveva creduto di poter considerare la patria di origine. Nella stigmatizzazione finale di questa condizione in eterno bilico tra un’identità e l’altra ( condensata nel titolo) Tonino sospira le ultime parole sempre più fievolmente. Mentre un tricolore italiano luminoso scende alle sue spalle, ecco che il racconto si conclude. Tonino a testa china è appoggiato alla sedia di metallo, tace.

 

Dopo Dissonorata e La Borto il drammaturgo e attore calabrese Saverio La Ruina sceglie ancora di condividere col pubblico storie di personaggi liminali il cui dramma sociale non avrebbe altrimenti voce. Attraverso quelle mani da sarto, il ginocchio fratturato dai carcerieri, e la voce come vellutata di Tonino, La Ruina vuole infatti sottoporci non solo lo scorcio di un fatto storico spesso taciuto, ma anche la prospettiva del paese in cui viviamo vista dagli occhi di coloro le cui speranze si sono infrante poco dopo aver varcato i confini. Il personaggio di Tonino usa parole semplici, parla un italiano con un vago sentore calabrese appreso dal sarto nel campo, gesticola ma con delicatezza. La Ruina ha scelto per lui un tono pacato, lieve, che non può non mettere a proprio agio l’uditorio. Si ha la percezione di un profumo nell’aria che contribuisce a dare un senso di autentica piacevolezza all’assistere allo spettacolo. Per quanto possano essere particolarmente apprezzabili le musiche originali di Roberto Cherillo ed il disegno luci di Dario De Luca, tuttavia l’essenzialità della scenografia risulta forse essere un po’ estrema se si considera la sedia metallica spostata per il palco dall’attore come unico elemento presente in scena.

SITO UFFICIALE

 

TEATRO CA' FOSCARI

ITALIANESI

 

15 febbraio 2012