biennale teatro 2011

 

CCNO / Josef Nadj

Woyzeck ou l'ébauche du vertige

coreografia Josef Nadj
 

15 ottobre h22, Teatro alle Tese

 

di Carlotta BON

CCNO / Josef Nadj: scheda

con Guillaume Bertrand, Istvan Bickei, Denes Debrei, Samuel Dutertre, Peter Gemza, Josef Nadj, Henrieta Varga musica Aladar Racz / luci Raymond Blot regia luci Lionel Colet produzione Théâtre National de Bretagne, Rennes - Centre Chorégraphique National d'Orléans

29/30

Intenso e travolgente il Woyzeck di Josef Nadj, estremamente poetico e pieno d’emozioni evocative.

Il coreografo si contraddistingue ancora una volta per un teatro d’immagini dove ragnano i sentimenti e le emozioni pure, dove lo spettatore si trova solo con se stesso e pienamente coinvolto in questo forte agglomerato di suggestioni emotive. Lo spettacolo ha un carattere quasi ironico, fa sorridere alla crudeltà della vita e ai dolori interiori che dilaniano le viscere dell’essere umano. Minuziosamente curato e coinvolgente è l’apparato scenografico in connubio con gli abiti di scena di forte carattere espressionista. I costumi soprattutto, delineano coscienziosamente i ruoli ed  caratteri  dei personaggi, altrimenti difficili da comprendere per il pubblico. Con tali mezzi Nadj ha ricreato un’atmosfera noir che fa si rabbrividire ma che nel contempo fa sentire lo spettatore a suo agio.

è una favola nera il Woyzeck, un testo fatto da frammenti e incubi, quadri di una via crucis amara e umanissima.

Il pubblico viene immerso immediatamente in questa atmosfera cupa e depressiva essendo che, sin dall’entrata in teatro, si ritrova dinnanzi al palcoscenico già allestito e con gli attori in scena,assolutamente privo di sipario. Sin dai primi istanti lo spettatore viene avvolto nella tetra atmosfera che ricorda, quasi, i film di Tim Burton. Sembra di essere caduti in una favola horror terribilmente reale, dove in modo ironico e glaciale vediamo snocciolarsi la storia del soldato Woyzeck, piena di marginalità e frustrazione, sogni e amori , disincanto e violenza. Nadj ha colto quel affascinante atmosfera notturna, cupa, dove i sentimenti si perdono nell’oscurità e nel mistero di vite mai veramente vissute. Ecco che la scelta registica della privazione della parola, ed il solo uso dell’onomatopea, avvicinano ancora più intensamente lo spettatore, al dramma che si sta svolgendo. In questo modo il pubblico s’immerge talmente in profondità della narrazione, da riuscire a toccare privatamente anche gli animi dei presenti, tramutandolo in un dramma comune.

 

La Praga nera e dorata dei vecchi alchimisti, la diaspora povera e paziente dei romanzi di Joseph Roth, le musiche che sanno di puszta e cimbali, ma che si potrebbero facilmente avvicinare alla disperazione comica che il polacco Tadeusz Kantur spruzzava nelle marcette dei suoi spettacoli, di felicità e morte. Cartoline strappate da vecchi album dell’Europa Centrale. Come si vede, uno squadernamento di ispirazioni, che Nadj ama concentrare in un palcoscenico a dimensione ridotta, fino a farle esplodere. Stanzette di un proletariato rurale, porte minuscole e scatole a sorpresa, dalle quali sbucano uomini al limite della contorsione. Sedie e finestre sghembe, che si affacciano su destini di povertà, lampadine fioche, cibo razionato, su cui Nadj stende la crema di uno humour scuro, violento, acrobatico verrebbe da dire, se a volteggiare in aria non fossero asce e coltelli. (…) Uno spettacolo dove l’eroe sconfitto di Büchner, il Woyzeck soldato, assassino per gelosia e disperazione, è solo uno stimolo per i sette interpreti, che incarnano la distorsione. Del sentimento, ridotto a reazione. Del comportamento, diventato esasperazione. Una vignetta furiosa, fantastica, “l’inizio di un capogiro”, che non si può ridurre solo a teatro, a danza, a letteratura.

Roberto Canziani, Il Piccolo, 8 febbraio 2002

 

Che cosa resta di Woyzeck? Nulla – nulla, eccetto il mistero dell’opera di Büchner che Nadj preserva miracolosamente: la visione, il tormento, l’omicidio. Gli ammonimenti della natura che riducono l’uomo a non essere altro che un penoso burattino. L’atavismo della sfortuna. La fatalità del baratro.

Frédéric Ferney, Le Figaro, 19 luglio 1997

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CCNO / Josef Nadj

 

10 ottobre > 16 ottobre 2011