biennale teatro 2011

 

Barcelona International Theatre - BIT

Desaparecer (Sparire)

Regia Calixto Bieito

da testi di Edgar Allan Poe e Robert Walser

 

14 ottobre h21, Teatro Goldoni

 

di Gabriele FRANCIONI

Barcelona International Theatre - BIT: scheda

da testi di Edgar Allan Poe traduzione dei testi Julio Cortázar drammaturgia Calixto Bieito musica Maika Makovski con Juan Echanove, Maika Makovski scene Aida Guardia costumi Marian Corominas produzione Barcelona International Theater (BIT), Grec 2011 Festival de Barcelona, Teatre Romea

30/30

Camera con  vista su profumo di musica.

 

Dopo l’introduzione musicale di Maika Makovski, inizia il racconto. Juan Echanove declama i versi di Poe con la delirante forza di un pazzo. Il tema è la pazzia, non altro. La messa in scena di Bieito, al solito fraintesa e fatta oggetto di osservazioni marginali, prevedibili, sciatte, è la geniale ed essenziale riproduzione dell’incipit sensoriale che può portare alla follia. Tutto appare confuso e il senso (i sensi) ci abbandona(no). Quarta parete densissima, la cortina di ghiaccio secco che muove verso di noi dal palcoscenico, non è semplicemente “troppa” e non è nemmeno “gotica”. Deve farci star male, deve debilitarci, mettendo in crisi la percezione di ciò che forse sta accadendo. Vediamo poco e capiamo meno (le sottotitolature scompaiono presto), ma veniamo messi in una condizione di disagio e aerea claustrofobia che assomiglia a quella del GATTO NERO, tra mogli e animali conficcati dentro un muro di calce bianca. Due voci perdute nella nebbia, quelle di Maika e Juan, come annuncia Bieito nella presentazione di DESAPARECER, e non un meccanismo di entrate e uscite apparecchiato davanti a chissà quali scenografie - magari Goya - e nemmeno l’estremismo delle regie d’opera per le quali si è guadagnato rapidamente la nomea di infamous director negli ultimi 10 anni. Sì, se qualcuno si accontenta, diciamogli pure o lasciamogli credere che questo insistere con il fumo tossico (anche Jan Fabre,una fila avanti a noi, ride e tossisce) sia un errore nella concezione generale dello spettacolo o un mero escamotage per farci muovere à rebours verso l’epoca di Poe o deliri romantici immersi nelle brume di qualche landa ostile. Semmai siamo dalle parti dell’orrore di FOG - il film di John Carpenter - grazie al quale tutto il pubblico diventa un potenziale gruppo di fantasima, doppi di qualcun’altro, dal quale aspettarsi follia o, più semplicemente, l’atto liberatorio di alzarsi e uscire. Quando qualcuno perde i sensi e lascia il Goldoni, l’effetto scenico è notevolissimo. Magari se ne fossero andati in 100, invece che in 10…

“Una notte, tornando a casa (…) ebbi l'impressione che il gatto evitasse la mia presenza. Lo afferrai e allora, impaurito dalla mia violenza, coi denti mi ferì lievemente alla mano. Subito la furia di un demone si impadronì di me. Non mi conoscevo più. Sembrava che di colpo la mia anima originaria fosse fuggita via dal mio corpo; e una malignità più che diabolica (…) eccitava ogni fibra del mio essere. Trassi dal taschino del panciotto un temperino, lo aprii, afferrai la povera bestia per la gola, e deliberatamente con la lama le cavai un occhio dall'orbita!”

Echanove, alternandosi alla pallida, esile bellezza di Makovski, una specie di Amos Poe o Kate Bush travestita da bianco animale notturno urlante, entra preciso nella trance dentro la quale noi ci troviamo da tempo, con l’“anima fuggita via dal corpo” e il ghiaccio nei polmoni (Fabre comincia a fare il pendolo in avanti col busto, per respirare meglio). Il pazzo-non-pazzo del racconto accelera la sua lettura interiore, si crede ora un fantasma: ci chiediamo se esista un miglior espediente di quello utilizzato da Bieito per portare tutti, attori e audience, in questo magma densamente immateriale di sensazioni audio visuali.  “Certissimamente, non sto sognando”, scrive Poe. Tutto torna, tutto è perfetto, poiché è esattamente quello che siamo portati a pensare. La necessità di rendere spaventoso e deformato uno spazio familiare - e il teatro veneziano lo è - senza fargli perdere la qualità domestica e, per così dire, benigna, ha portato alla scelta del humo blanco. In Poe l’orrore è domestico, quotidiano, quindi ancor più destabilizzante. Se ci fossimo trovati davanti a scenografie macabre e complesse, non avremmo dovuto convivere con il profondo disagio del…DESAPARECER, che, per il catalano, è “il desiderio di smettere d’esistere e fondersi con il nulla. Per usare le parole di Canetti: ‘L’esperienza di Walser  (l’altro poeta narrato da Echanove, N.d.R.) nella lotta per l’esistenza, lo porta all’unica sfera dove la lotta non esiste, al manicomio, il monastero dell’epoca moderna’. Poe e Walser passeggiano sul limite della nostra immaginazione e qui depositano i loro corpi in una bella prateria innevata, riposando dopo una lunga e desolante camminata”. Il bianco è quindi anche strumento di evocazione del paesaggio in cui si trovò, morente, Robert Walser. Nel finale, il grande Echanove, diretto da Almodovar ne “Il fiore del mio segreto”, si lascia cadere contro il lato destro del white cube e, stremato, disanimato, recita un’esangue rendition de IL CORVO, sussurrata e cantilenante, come si conviene a un moribondo o a un non-morto. La maiorchin-macedone Makovski, allora, prende il sopravvento e conduce DESAPARECER sino al termine.

 

Secondo miglior spettacolo, dopo Castellucci, dell’intera Biennale Teatro, perché netto e chiaro come il lavoro del genio della Raffaello Sanzio.

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biennale teatro 2011

Barcelona International Theatre

 

10 ottobre > 16 ottobre 2011