biennale danza

ARSENALE DELLA DANZA 2011

 

babilonia - il terzo paradiso

Arsenale della danza

24 maggio Teatro Camploy, Verona
26 maggio Teatro Sociale, Rovigo

 

di Gabriele FRANCIONI, note di Amy FERULLO*

babilonia - il terzo paradiso: scheda

Ideazione e coreografia Ismael Ivo
con Sara Angius, Emanuela Biazzi, Noelle Cotler, Patrick Cubbedge, Loretta D’Antuono, Flavio Arco-Verde, Laura De Nicolao, Roberta De Rosa, David Lagerqvist, Leonardo Magalhães Muniz, Ariadne Mikou, Giuseppe Paolicelli, Claudio Pisa, Andrea Rampazzo, Cristian Rebouças Da Silva, Lucas Ribeiro Saraiva, Armando Rossi, Claudia Sansone, Valentina D’Apuzzo Schisa, DuJuan Smart Jr., Pamela Tzeng, Felipe Vieira Vian, Elisabetta Violante, Chiara Vittadello, Anastasia Voronina

28/30

I percorsi esplorativi di Ismael Ivo vanno sempre dal buio verso la luce, come accadeva in "Illuminata" (2006), e descrivono una traiettoria catartica in cui il singolo incontra, in successione, l’ambiente naturale e i suoi simili, la comunità e il territorio in cui si trova a vivere.Secondo i dettami della danza(/teatro) d’impegno sociale di Johann Kresnik, con cui ha collaborato in passato, il dovere dell’“incontro” e del dialogo informa di sé l’azione artistica, che quindi è, sempre, anche atto politico, che riguarda e coinvolge la polis. Dopo il lungo periodo come ballerino autore dei propri spettacoli, spesso concentrati sull’analisi iconica di figure/personaggi quali Medea, ma anche reali e contemporanei, come Maria Callas, Francis Bacon, Antonin Artaud e Robert Mapplethorpe, costantemente segnati dal trascolorare del tratto angelico in aura demonica, o, più semplicemente, dall’attraversamento di una “krysis” interiore, Ivo ha scelto, con l’Arsenale della Danza e i testi portati in scena come “saggi finali” dei tre workshop, la via di un ribaltamento verso l’esterno di tale “krysis”.

 

La prima interrogazione era rivolta al nostro pianeta, la seconda agli umani nella fase di adattamento al contesto e questa, che è anche conclusione del ciclo, ai viventi nell’atto di relazionarsi fra loro. La prospettiva finale è, come detto, quella catartica di un’apertura verso la “luce” di una qualche speranza - qui simboleggiata con chiarezza quasi tautologica dal breve video finale e dal volo complesso di una farfalla - ma non nasconde o cancella un approccio pessimistico (il pessimismo della Ragione, ovviamente, quindi articolato, multiverso, mai distruttivo).

Dal grido/denuncia di "The Waste Land" (2009), spettacolo di enorme potenza visiva e capacità evocativa, attraverso  il senso di indagine aerea e scoperta  immateriale di "Oxigen" (2010), che sembrava proporre un tipo di danza quasi in grado di fare a meno della tettonicità dell’ambiente circostante, proponendo una “rinuncia al suolo” , si arriva, con "Babilonia", alla necessità d’interrogare gli altri corpi ormai adattatisi al pianeta che soffre.

L’interrogazione, per essere atto politico, deve sfociare in una convivenza, in una creazione qui esplicitata da gesti coreografici che procedono da una forma nascente a esiti compiuti.

è opportuno sottolineare, al di là delle qualità artistiche variabili che hanno connotato gli altri lavori di “Nuove Creazioni” - Kylian rimane prevedibilmente su livelli di eccellenza difficilmente avvicinabile, non foss’altro per la capacità di saper calare il discorso teorico in un linguaggio sempre riconoscibile pur nell’estrema novità dell’insieme - come “Arsenale della Danza 2011” sia stato, anche più dei suoi predecessori, segnato (e qualificato) da una coerenza d’approccio teorico assolutamente straordinaria.

Parlare di progetti simili per i quattro (quelli da noi seguiti) spettacoli di “Nuove Creazioni” suonerebbe come una forzatura, ma la natura metatestuale di "Pororoca" e "Don't Look Now" - fatte salve le scontatissime differenze d’approccio - torna chiarissimamente anche in BABILONIA e, almeno nell’incipit, persino in "Talent on the Move".

La gabbia teorica di BABILONIA (una stanza di elegiaca angustia: tre pareti dall’aspetto di cartapesta rocciosa, rese tali grazie all’uso del cotone) è subito evidente: lo spazio si stringe attorno ai corpi dei danzatori, gli altissimi diaframmi bianchi in realtà spingono i ballerini gli uni sugli altri, perché è ora di convivere, quasi di fondersi in un corpo sociale unico.

La Babele di lingue deve produrre il Nuovo o, perlomeno, l’“esplorazione”, come la chiama Ivo, di una nuova sopravvivenza basata sul “guardare/ ascoltare/ toccare/ muoversi”.

Non può esserci la leggerezza esasperata di "Oxigen": chiusi nello spazio delle Relazioni - e spinti nelle dimensioni “costrette” del Malibran- i ballerini si spostano come flutti e maree, creando catene (pensiamo alle “stringhe di "Pororoca"), dopo essersi proposti come singolarità angelicate.

Il metatesto sta nel rifondare la lingua coreografica del toccarsi - come in "Project, Don't Look Now" - anche se qui non si parla a voce alta né ci si accompagna a/con le spigolature di Berg, ma si è trascinati lievemente dal canto barocco di “Sacrificium” (la voce è della splendida Cecilia Bartoli).

Al solito, Ivo si mostra interessato anche agli aspetti rituali di una danza/teatro che riporti comunque il corpo al centro della scena, quasi ad esplicitarne - anche VISIVAMENTE - la specificità razziale, il nero (qui I tanti danzatori brasiliani) che deve fondersi col bianco e far sì che BABILONIA diventi una  confusione di lingue che però parlino, all’unisono, il canto/testo della convivenza.

I ballerini sono quindi “il” centro della scena, ma la comparsa improvvisa di uno specchio (spesso utilizzato in passato dal coreografo brasiliano) - e di alcuni tavoli metallici - ribalta, problematizzandolo, il discorso coreografico rendendolo, come ampiamente detto, metatesto.

Lo spettatore, e non solo i danzatori, si specchia e si chiede se fa parte anche lui di questa nuova Comunità.

In più, viene guardato/osservato dai ballerini saliti sui tavoli e disposti a mo’ di “ultima cena”.

 

Note*

 

"Babilonia - il terzo paradiso" è la chiusura di una trilogia anticipata da "The Waste Land", che affronta tematiche sul pianeta e "Oxigen", un lavoro incentrato sul respiro, presentata dal coreografo Ismael Ivo all'Arsenale della Danza. Guardando quest’ultimo spettacolo colpisce la semplicità ed il candore della scena, che si connota adatta sia ai frequenti giochi di luce, sia alle proiezioni video e alle musiche, tra queste ultime rivestono un ruolo centrale quelle ispirate all'epoca barocca. Nello spettacolo la presenza scenica dei ballerini si intreccia fino ad arrivare a momenti in cui sul palco essi stessi sembrano fermarsi a guardare il pubblico. Il bisogno di comunicare dell'uomo è l'elemento centrale dello spettacolo,che nell'epoca contemporanea è minacciato dal disagio che prova il singolo per la perdita della capacità di comunicare.

SITO UFFICIALE

 

biennale danza 2011

arsenale della danza
11 maggio > 25 giugno 2010