biennale arte

illuminazioni 2011

 

Epifanie contemporanee in Biennale
 

di Isabella MAGGIONI

intervista a giovanni manfredini

Tra i duecento artisti italiani approdati al tanto discusso Padiglione Italia della 54esima Biennale di Venezia compare anche il modenese Giovanni Manfredini, segnalato dal poeta Davide Rondoni.

La sua opera, ben 20 metri quadrati di dimensione, campeggia negli spazi delle Corderie dell’Arsenale, e rappresenta una coerente continuazione della ricerca di Manfredini, che ha fatto della corporeità e della sacralità due cardini essenziali del proprio percorso artistico.

Il corpo è “materiale artistico” esclusivo e imprescindibile per il maestro modenese; i suoi Tentativi di esistenza sono calchi corporei trattati pittoricamente su velature di nerofumo: l’immagine trapassa dal corpo all’oggetto come un’emorragia circonfusa. Manfredini ricerca un colloquio tra luce e ombra attraverso un ossessivo affondo nell’apparenza corporea, nel corpo come doloroso affiorare dal buio in un eroico “tentativo di esistenza”.

Il perimetro del quadro delimita una soglia, il luogo di un transito dal buio verso la luce; per Manfredini il dolore di un incidente infantile che col fuoco gli ha disegnato viso e corpo ha aperto questa soglia, e proprio il fuoco è diventato un elemento fondamentale del suo procedimento artistico.

“Non so se il fuoco sia arrivato per caso o  tramite qualche relazione inconscia con quel mio primo drammatico incontro. Semplicemente mi serviva per ottenere nei miei lavori quello che tu chiami nero e io buio, così come chiamo luce quello che tu chiami bianco. Buio e luce non si oppongono: sono la stessa cosa”, spiega Manfredini stesso.

L’artista prepara la tavola con una tecnica sperimentale, utilizzando elementi naturali, ossia un impasto di colla vinilica, acqua e polvere di conchiglia, che crea un piano morbido e spesso racchiuso entro una cornice di ferro. Essiccando, l’impasto bianco di natura organica, simile al derma cutaneo, si ossida di ruggine ai bordi del ferro, col quale metabolizza.

 

 

La superficie dura, che tuttavia “respira”, viene poi annerita a nerofumo per mezzo del fuoco, che ricopre integralmente lo spazio disponibile sino a renderlo uniforme. Su tale spessore, unto e caldo, Manfredini imprime le proprie membra, eliminando il fumo nei punti in cui vengono create le impronte, rendendo il bianco della base più luminoso o appena trasparente sotto i toni del marrone o del grigio del fumo fuggente.

C’è un processo in atto, visibile già nel rossore sui bordi di queste opere, dove le cornici di ferro grezzo ossidano in poco tempo il “derma”organico che fa da base; ciò rivela che è in corso un metabolismo tra i materiali, tra le energie: qui, il ferro arrossa il derma bianco al pari del fuoco che lo annerisce.

Gli scambi fisici e chimici producono insoliti cambiamenti delle funzioni linguistiche: la cornice agisce sul quadro, maculando con l’ossido l’immagine, mentre la pressione del corpo, levando nerofumo dalla superficie, svela spessori cristallini entro il bianco derma di fondo.

“Il mio calco avviene su una superficie che è come una specie di pelle su cui io stendo il buio, vari strati di fumo che l’anneriscono e non sono fissati dalla superficie. Due pelli che si toccano e si scambiano energia, lasciando un segno, una sorta di sindone”, spiega egli stesso; pelle e anima, dunque, aderiscono alla superficie in un Tentativo di esistenza, come sono intitolate le opere che Manfredini realizza dal 1995.

Da parte dell’artista, il processo è un tentativo di esistenza fisica e pittorica, ma è come se anche l’immagine risultante racchiudesse una vita latente.

I suoi quadri consolidano emorragie di luce, sono epifanie contemporanee.

Quale entità appare?

Si verifica un transfert immaginale punto per punto, ne risulta una sommessa figura traslucida, sfumata, di cui l’artista ritocca le sbavature; tuttavia non è uno specchio, nessun calco lo è.

Non è un ombra ma il suo contrario, lo sfumato, che non viene però creato col pennello, ma nasce da una reale azione sulla tavola. Non è un autoritratto, ma un controtipo del corpo artista che calca il corpo della pittura; è il ritratto di chiunque, dell’uomo.

Il corpo si manifesta come icona principale e unica dell’apparire della forma, momento di emersione di una fisicità che si dà in assenza, così luminosa da sembrare soprannaturale, evanescente.

Si tratta di epifanie di un artista che crea esercizi di vita eterna. Il corpo che ha rimosso le tracce del fuoco appare come figura di luce, sottratta alla deperibilità della sua stessa materia, la carne.

Quel corpo ora librato verso l’alto come in volo, ora capovolto, ora arcuato, appare dallo sfondo del buio profondo come un lampo, sottratto alla caducità della carne e della materia nel tempo, immobile nell’istante della sua epifania.

 

 

Metafora della disperata lotta contro il tempo che passa, consumando inesorabilmente l’attimo della vita. Il torso, le braccia, le mani, il volto sembrano voler fuggire dal nero che cerca di avvolgerli verso una luminosità che li dissolve rendendoli eterei, impalpabili.

Del resto, l’imperativo sotteso a tutti i suoi lavori è la verifica di un principio, un “tentativo di esistenza”, l’essere per la vita, tanto che all’origine della stagione fortunata iniziata nel 1995 stanno esperienze altrettanto significative: una per tutte l’opera intitolata appunto “VIVI”, costituita da sei chiodi arrugginiti inseriti perpendicolarmente nella superficie, costituita dalla stessa polvere di conchiglia. Illuminati da una fonte esterna, i chiodi proiettano sulla superficie chiara, non annerita dal fuoco, l’imperativo “vivi”, invitando al presente delle cose, a una realtà che trova la sua dimensione extratemporale nell’impulso all’azione, nel gesto concreto dell’esistenza.

L’abituale tema del rapporto buio-luce-corpo continua attraverso una lenta ricerca, che sta portando il suo lavoro dai Tentativi di esistenza del primo periodo ad un’affermazione sempre più consapevole, in cui la luce, pura e assoluta, definisce immagini estatiche e spirituali

Quale evoluzione dei lavori VIVI,  le Estasi, nate nel 2005, indagano il rapporto del corpo con lo spazio e il cosmo attraverso sfere di luce, come si trattasse di un’apparizione dal buio. “Il concetto di estasi è l’uscita dal corpo e esplora una dimensione mentale e eterea che viene prima o dopo il corpo, le cellule o il cosmo”.

 

 

Nel 2007 nasce il ciclo di opere grafiche Tutti Santi, a tecnica mista su carta; il titolo rimanda alla condizione universale degli esseri umani, sagome nere impegnate ad affrontare un arduo calvario quotidiano, il cui esito positivo sarà la salvezza e non lo scacco.

Nel marzo 2010 la chiesa capitolina di Santa Maria del Popolo è stata sede di un evento caratterizzato dalla collocazione temporanea di due grandi opere di Giovanni Manfredini, un VIVI e un Tentativo di esistenza, in “dialogo” con le celeberrime Conversione di S. Paolo e Crocifissione di S. Pietro del Caravaggio della cappella Cerasi. Intenzione quella di sottolineare come anche oggi il tema del sacro sia fortemente presente nella produzione artistica contemporanea. A unire idealmente i due artisti è intervenuta la musica e la presenza del maestro Ennio Morricone.

La Biennale di Venezia del 2011 rappresenta dunque per Manfredini il fedele proseguimento di un percorso, fondato dal principio sulla sacralità dell’esistenza: un corpo emergente dalle tenebre costituisce il centro di una colossale croce di 4,50 x 4,20 m; lo sormontano i chiodi arrugginiti del celebre VIVI. Ai vertici della croce quattro teschi, quattro punti cardinali…la vita è un impasto di luce e ombra.

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04 giugno > 27 novembre