61ma mostra del cinema di venezia

KINEMATRIX INTERVISTA MANN

 

Riccardo FASSONE


MICHAEL MANN

 


Kinematrix: Nel suo film pare che Los Angeles svolga un ruolo ben più importante rispetto a quello di mero setting per la vicenda, quasi fosse un personaggio agente. Pensa che un film come Collateral sarebbe stato possibile se ambientato altrove? Da dove nasce la sua volontà di descrivere Los Angeles?


Michael Mann: Volevo che i posti parlassero, che il pubblico entrasse in contatto con l’ambientazione della storia. Hai ragione, non mi interessava creare solo uno scenario per il film; volevo che il pubblico percepisse Los Angeles come un’entità viva. E’ una città per lo più non rappresentata nei film, di solito se ne vedono poche aree, io volevo mostrarla in tutti i suoi aspetti. Mi interessava mettermi alla prova con Los Angeles, provare a “plasmarla” per renderla il più simile possibile al luogo perfetto in cui ambientare COLLATERAL. Per questo ho usato il digitale e l’alta definizione, per rendere al meglio quella luce sottile e debole che L.A. emana di notte, che con macchine normali non avrei potuto catturare. Volevo avere la possibilità di lavorare con la luce naturale ed è una cosa che solo il digitale poteva permettermi.

 

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Non credo che i miei personaggi siano personaggi “hard boiled”. Mi interessano le reazioni delle persone in circostanze critiche e mi interessano i personaggi in crisi, in conflitto con loro stesso o con gli altri. Mi attraggono le crisi, anche quelle che si generano tra le persone; nel caso di COLLATERAL, la mia sfida era quella di riuscire a proiettare il pubblico all’interno della crisi che si crea tra due personaggi. Volevo rappresentare un’esperienza che cambia la vita ai miei personaggi. Tutto ciò che sono Max e Vincent collassa di colpo.

Mi piace ambientare i film di notte, perchè il buio è più espressivo. A livello visuale, la notte distrae meno lo spettatore e mi permette di creare una certa atmosfera. Rimosse le variabili visive, rimangono la storia, l’intreccio ed il rapporto tra i personaggi.

Il personaggio di Vincent era perfettamente formato nella mia mente molto prima che realizzassi il film. Aveva un curriculum, un passato, delle esperienze che in COLLATERAL non hanno spazio, ma che mi sono servite per spiegare a Tom che cosa volevo da lui. Ho scelto Tom perchè è in grado di rappresentare meglio di chiunque altro le fratture che si creano in Vincent parallelamente allo scorrere della storia. Vincent non è una macchina da guerra senza sentimenti e credo che Tom abbia reso questo aspetto perfettamente.

Non dico agli attori come reagire, voglio che siano spontanei. Creo per loro una situazione in cui abbiano la possibilità di mostrare reazioni vere che siano anche funzionali alla storia.

Max, il tassista, si trova a doversi rapportare con Vincent, perchè sa che sarà l’unico modo di salvarsi la vita. I due ingaggiano un duello verbale. E la cosa migliore di Vincent è che aggredisce Max con quella stessa ironia sottile ma aggressiva che servirà poi al personaggio di Jamie in altre situazioni. In questo senso i due si completano, imparano l’uno dall’altro.

Non mi piacciono i cattivi stereotipati o i personaggi monodimensionali. Cerco sempre di creare persone vere, che hanno in loro bene e male. Vincent si rende colpevole di cose orribili, e la responsabilità è interamente sua, ma non credo che si tratti di un cattivo a tutto tondo, altrimenti sarebbe un personaggio noioso.



 

JADA PINKETT SMITH

 


Kinematrix: Il tuo ruolo nel film è quello di una donna minacciata, in pericolo. Pensi che per poter svolgere la professione di attore sia necessario essere persone particolarmente stabili ed equilibrate, in modo da non confondere i piani di realtà e finzione nei casi in cui si interpreta un ruolo da vittima?


Jada Pinkett Smith: Credo sia un problema di metodo. Alcuni per interpretare la propria parte si rifanno al proprio vissuto precedente, ma con Michael Mann abbiamo lavorato in modo diverso. Lui ci ha chiesto di affrontare i personaggi come se fossero persone vere, con un passato ed un futuro che non si esauriscono nell’arco della narrazione. In questo modo non ho dovuto pensare ad eventi che hanno visto me, Jada, come vittima, ma piuttosto ho immaginato il passato del mio personaggio. L’ambiente che generalmente si crea sui set non è particolarmente adatto a stimolare l’attore a fingere paura o inquietudine; la distinzione tra reale e non reale è sempre molto chiara in noi perchè i tempi tecnici, l’interazione con la crew ed altri fattori rendono la concentrazione piuttosto difficile. E’ molto complesso il processo che ci porta ad essere vigili ed attenti alla realtà circostante ma contemporaneamente calati nel personaggio.

Kinematrix: Hai lavorato in due dei tre episodi della saga di Matrix, calandoti in un universo fantastico, mentre ora ti trovi a lavorare in un film di premesse realistiche e contemporanee. In che modo cambia il tuo approccio dovendo recitare in queste due situazioni opposte?

 

J.P.Smith: La difficoltà principale con film come THE MATRIX è che ti trovi a lavorare con moltissimi effetti speciali che compromettono la fluidità della scena. Recitare di fronte ad un blue screen, dovendo immaginare dove si trovano gli oggetti con cui interagisci non è affatto facile.

Kinematrix: Quindi non ci sono differenze per quanto riguarda la recitazione in sé?
 

J.P.Smith: Un film come THE MATRIX non è “organico”. I registi volevano creare un mondo a-settico, non emozionale, totalmente logico. E in questo senso il mio personaggio si adeguava a questo tipo di approccio. Per COLLATERAL abbiamo dovuto fare una ricerca sui nostri personaggi molto più approfondita, perchè il loro sistema di azioni/reazioni non era preordinato come in THE MATRIX.

 

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Avevo già lavorato con Michael per Alì e devo dire che lo adoro e sono assolutamente entusiasta del suo modo di lavorare. Di solito non ama fare molte prove; ad esempio una scena in cui faccio una confessione a Jamie è stata girata una sola volta perché ci interessava catturare il momento in cui sarei stata più spontanea. Fino all’ultimo non sapevo cosa avrei detto e di conseguenza ho dovuto improvvisare e penso che per quella sequenza particolare sia stata una buona scelta.

Sono felice di aver interpretato una parte d’azione. Ho la reputazione di essere una ragazza aggressiva sullo schermo e per una volta sono riuscita ad interpretare una donna in pericolo, non direi indifesa, ma senza dubbio vulnerabile e femminile. E’ qualcosa di diverso da quanto ho fatto prima. Mi piacerebbe recitare in una storia d’amore, vedere se sono capace di interpretare quel tipo di ruolo.

Ultimamente le possibilità per le attrici come me stanno migliorando. Non esistono moltissimi grandi ruoli femminili nella produzione hollywoodiana attuale e bisogna essere molto attenti ed attivi per afferrarne uno. Questa è una delle ragioni per cui molte attrici stanno cominciando a lavorare “dietro le quinte” come produttrici, sceneggiatrici o registe. E’ un gioco duro per tutti. Anche per le grandi come Julia Roberts o Jodie Foster o per gli attori importanti come Tom Cruise.



 

JAMIE FOXX

 


Kinematrix: Hai avuto la possibilità di interpretare un ruolo importante con Oliver Stone (il protagonista di ANY GIVEN SUNDAY); che differenze hai riscontrato nel modo di lavorare di Michael Mann rispetto a quello di Stone. Si dice che Oliver Stone sia un regista frenetico ed esigentissimo, mentre Mann sembra avere uno stile più meditativo ed un modo di lavorare sui personaggi più analitico...


Jamie Foxx: Oliver Stone è una rockstar. Quando arriva sul set sprigiona un’energia particolare e anche se non sai mai cosa accadrà sotto la sua direzione, sei sicuro che lui ha perfettamente in mente il progetto complessivo. Quando dici le battute, lui è lì che le recita con te. Michael Mann è ossessionato dai dettagli, è capace di ripetere una scena intera se un capello non era al proprio posto mentre dicevi la battuta. Con Oliver è stato molto più difficile, perchè ero più giovane e lui pretendeva moltissimo dagli attori.


Kinematrix: In COLLATERAL sei spesso ripreso in primissimo piano o addirittura in close-up; pensi che questa particolare situazione abbia condizionato il tuo modo di recitare nel film? Come ti sentivi ad essere tanto vicino alla macchina da presa?


J.Foxx: Si arriva ad un punto in cui la presenza della macchina da presa viene rimossa dalla tua mente. La concentrazione è talmente alta che la camera sparisce e non importa quanto è vicina.


Kinematrix: Come giudichi Max come uomo? Pensi che in qualche modo ti assomigli?


J. Foxx: In qualche modo è simile a me. E’ uno che non vuole problemi per sè e per gli altri ed in qualche modo mi riconosco in questo tipo di approccio alla vita. E’ uno che si prende cura delle persone che gli stanno vicino. Ciò che ci rende differenti è l’incapacità di Max di prendere grandi decisioni riguardanti la propria vita; ho fatto spesso scelte decisive e non me ne sono mai pentito, mentre Max non sarebbe in grado di farlo.

 

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Mi è già successo di avere pistole puntate addosso ed è da questo tipo di esperienza che ho ricavato la mia interpretazione di Max. Nei film tutti tentano di disarmare il nemico, ma nella vita vera non è mai così, si perde il controllo in una situazione del genere. E’ una cosa che mi è successa a Beverly Hills non molto tempo fa. Eravamo in una zona ricca e un tipo si è alzato la maglietta e mi ha fatto vedere che aveva una pistola sotto.

E’ necessario andare ad L.A. per realizzare qualsiasi cosa in questo ambiente. Io sono nato in Kentucky e dico sempre che ero ad ottocento miglia dalla mia vita e da quello che volevo fare.

Michael Mann mi ha imposto di fare alcune prove di guida con un Taxi su una pista, in modo che mi abituassi alla sensibilità del mezzo ed alla guida sportiva.

Mi definisco “The Inspiration”, perchè prendo spesso decisioni repentine. E’ stato così anche per la recitazione; quando ero un ragazzo volevo a tutti i costi imitare Bill Cosby ed andare in TV. Era un’urgenza che sentivo dentro e che non sono riuscito a far emergere fino a quando non ho cominciato la mia carriera di comico nei quartieri più malfamati della mia zona. Ho sempre avuto un’ammirazione fortissima per Denzel Washington, è sempre stato una fonte ispirazione per me.

L’ho già detto diverse volte a Mr. Mann. Mi piacerebbe recitare in un remake cinematografico di Miami Vice. Voglio la macchina, i vestiti, l’atmosfera di Miami Vice. Ho pronto anche l’idea per il trailer, lo farei anche gratis.

 

Venezia, 03.09.04