INCONTRO CON

DAVID CRONEMBERG

di Alberto CASINI


Per il secondo anno consecutivo la sede del Torino Film Festival è stata quella del multiplex Pathé, all’interno del centro commerciale ricavato dall’ex stabilimento Fiat del Lingotto; vero non-luogo, passaggio ideale dall’economia Fordista a quella dell’immateriale. Se da un lato l’enorme struttura in vetro e cemento rischia di divenire fonte di alienazione (o di allucinazioni) per le frotte di festivalieri, cinefili, giornalisti o semplicemente curiosi di passaggio; dall’altro il poter usufruire di ben undici sale, in uno spazio relativamente raccolto, rende agevole il seguire le diverse sezioni del festival: proiezioni, pranzo (veloce), proiezioni, cena (velocissima) e ancora proiezioni. Ma anche la culla-trappola del Lingotto può essere colpita da un fulmine a ciel sereno: la notizia, apparsa sulle pagine culturali locali di vari quotidiani, che il regista David Cronenberg fosse presente a Torino per una serie di incontri. La mattina seguente, più per curiosità che per l’effettiva speranza di incontrare il cineasta canadese, mi reco con largo anticipo in una piccola aula del DAMS dell’Università di Torino; già stracolma di studenti ed appassionati, veniamo immediatamente spostati nell’aula magna: luogo più consono per un simposio certamente degno di importanza. L’incontro inizia con delle brevi presentazioni da parte di alcuni rappresentanti dell’ associazione culturale VOLuminA promotrice dell’iniziativa, di Giulia Carluccio docente di Storia del cinema Nord-Americano, del produttore Anthony Cianciotta, di Donato Santeramo della Queen’s University di Kingston e di Sergio Toffetti della Scuola nazionale di Cinema.
Poi accade quello a cui, forse, nessuno credeva; David Cronenberg appare dal nulla, accompagnato da un forte e lungo applauso, come non se ne sono sentiti nemmeno durante i giorni del festival. Immediatamente si ha la sensazione, soprattutto per chi conosce l’estrema riservatezza del regista, che l’incontro non sarà lungo e che difficilmente gli si potranno rivolgere molte domande. Cronenberg, d’altronde, è conosciuto anche per il suo essere schivo e per la sua riservatezza nel trattare e nel dare spiegazioni dei suoi film; considerati come prodotti di una visione estremamente personale. Comunque disponibile, ma anche capace di risposte sagaci e taglienti come dimostra una sua battuta sulla nebbia cittadina, alla domanda, quanto mai vaga sulla possibilità di girare film a Torino, dell’assessore alle politiche culturali della Regione Piemonte. Il cineasta canadese, dotato di una profonda cultura, vuole immediatamente essere chiaro su come per lui il cinema sia una faccia particolare dell’Arte in generale, un’opera mai finita completamente e in continua interazione con le altri arti. Non a caso afferma che con l’adattamento del lA Zona Morta, romanzo di Stephen King, abbia preferito essere fedele alla propria visione del mondo piuttosto che al testo di partenza; approccio visibile anche ne Il Pasto nudO di William Burroughs e in Crash di James Ballard. Se tradurre è tradire, in un certo senso anche nel passaggio, ci vuole far capire Cronenberg, da un media ad un altro bisogna, per così dire, essere infedeli all’opera che si vuole adattare: la visione mutante applicata all’opera d’arte. Come la fusione finale tra il protagonista di The fly e la capsula teletrasportatrice, non ci devono essere mai compartimenti stagni tra le varie arti; il cinema, ma anche la televisione, sono dei veri e propri cannibali di poetiche e immaginari provenienti da altre attività artistiche dell’uomo. Ma anche il cinema si è sempre trasformato, dalla sua origine, in qualcosa diverso da sé; diviene innanzitutto una merce, e le possibilità odierne della compressione digitale (satellite e dvd) aprono nuove ed interessanti strade alla sua diffusione, su scala planetaria.
Cronenberg aggiunge che non parte mai da posizioni teoriche nella realizzazione dei suoi film, il suo cinema è molto fisico (per questo si diverte molto anche a recitare) e le sceneggiature che scrive hanno uno sviluppo che procede attraverso il caos, piuttosto che lungo un andamento lineare. Per questo non si è mai interessato eccessivamente all’uso della computer grafica, dal momento che non riuscirebbe ad immaginare di poter girare senza vedere tutti gli elementi di una scena, presenti effettivamente sul set. Una visione umanistica della tecnologia, per cui è l’uomo che provoca dei mutamenti in essa e mai viceversa.
Un’ approccio favorito dal lavorare da anni (la ormai famosa “troupe Cronenberg”) sempre con le stesse persone, a cui sottopone sempre la sceneggiatura del film prima di iniziare le riprese; una maniera per distanziarsi dal cinema hollywodiano che utilizza i tecnici “alla moda”, e che rivela una volontà artistica più di stampo europeo ed autoriale. Una forma rappresentativa che lo ha portato a scegliere il cinema di genere horror (anche se con caratteristiche estremamente personali), proprio per sottintendere come l’arte sia spesso considerata pericolosa; soprattutto in società che assumono un carattere di tipo repressivo. Per Cronenberg il rapporto tra le arti, il cinema in particola modo, e la cultura è piuttosto complesso; ci deve essere sempre una modalità rappresentativa che si allarghi ai vari aspetti di una società complessa come quella occidentale. Una particolare visione estetica, quindi, non si deve solamente occupare di ciò che è bello (o che è considerato tale), ma anche del brutto e degli aspetti nascosti (volutamente) da una cultura. Un modo che non deve essere un semplice liberarsi dei propri fantasmi; ma il portare avanti un’indagine tra i profondi scambi reciproci tra arte e società.
Cronenberg, anche per tale motivo, sembra sfuggire alla domanda sui suoi lavori televisivi (numerosi ma praticamente invisibili in Italia, a parte la pubblicità del 1990 della Nike), affermando che non gli interessa trattare argomenti di stretta attualità, come avviene per i prodotti per il piccolo schermo in Canada. Interessante l’aggiunta di come la televisione sia un posto per produttori piuttosto che per registi: si ricordi che il protagonista del suo capolavoro, Videodrome, è proprio un produttore di una canale satellitare. A Cronenberg sembra invece interessare da sempre l’elemento documentaristico nei suoi film, una maniera particolare per rappresentare la realtà. La definisce come “arte trovata”, una maniera di arricchire i suoi film con elementi eterogenei, similmente al protagonista di Spider che gira per la città a raccogliere pezzi di corda per costruire la sua tela di ragno. L’incontro si conclude con la cattiva notizia di aver accantonato definitivamente l’idea di girare il seguito di Basic Instinct (progetto a cui avrebbe preso parte attivamente la stessa Sharon Stone) e della decisione di non girare più nemmeno Pain Killer (ovvero la maniera anglosassone di chiamare gli antidolorifici); una sua sceneggiatura originale vecchia di cinque anni e per cui ha ormai perso ogni interesse.
 

05.12.2003