tff - torino film festival

31ma edizione

 

Torino, 22  / 30 novembre 2013

 

 

recensioni

> Blood Pressure di Sean Garrity

> Blue ruin di Jeremy Saulnier

> C.o.g. di Kyle Patrick Alvarez

> Computer chess di Andrew Bujalski

> CLUB SaNDWICH di Fernando Eimbcke

> DRINKING BUDDIES di Joe Swanberg

> EL LUGAR DE LAS FRESAS di MV Daneris

> ENOUGH SAID di Nicole Holofcener

> fuoriscena di MDonati/ALeone

> il sud è niente di Fabio Mollo

> la mafia uccide... di Pierfrancesco Diliberto

> la sedia... di Carlo Mazzacurati

> ONLY LOVERS LEFT ALIVE di Jim Jarmush
>
pelo malo di di Mariana Rondón

> PRINCE AVALANCHE  di di Mariana Rondón

> Sweetwater di Logan Miller

> the husband di Bruce McDonald

> wrong cops di Quentin Dupieux

> Retrospettiva NEW HOLLYWOOD

 

drinking buddies
di Joe Swanberg
Stati Uniti
2013, 90'

 

Festa Mobile

  di Camilla Tomatis

25/30

Un birrificio artigianale, un’equipe di omaccioni che vi lavorano ed una donna tuttofare (con il volto di Olivia Wilde), maschiaccio ed in grado di bere più di tutti i suoi colleghi messi insieme. Questo il background di Drinking Buddies, commedia indie del regista Joe Swanberg. Protagonisti, due colleghi/amici - Olivia Wilde ed il meno noto Jake Johnson -   con una notevole complicità ed una più o meno repressa attrazione reciproca (nonostante i rispettivi partner), elemento che fa da canovaccio all' intera pellicola. Buona l’intesa tra i due attori principali - Wilde è una vera e propria catalizzatrice d’attenzione, che seduce ad ogni sguardo e sorriso - al contrario, più (volutamente?) sottotono quella dei loro due compagni, Anna "Tra le nuvole” Kendrick e Ron Livingston. Intuibili scambi di coppia e prevedibile svolgimento delle vicende, nel complesso regnano semplicità di tematiche e tranquillità. Il regista non ha avuto il coraggio di correre qualche rischio (cosa che, forse, avrebbe alzato il livello complessivo dell’opera), ma, tutto sommato, riesce nell’intento di far trascorrere allo spettatore una gradevole ora e mezza.
Consiglio per gli acquisti: prima della visione, munirsi di birra (se gradita). I personaggi la sorseggiano sostanzialmente ad ogni cambio scena, quasi si trattasse di pubblicità occulta. L’effetto è il medesimo de La Fabbrica di Cioccolato: ad ogni cambio scena lo spettatore maledice sé stesso per avere solo “a portata di occhi”, e non a portata di mano, l’alimento incriminato.

Blue ruin

di Jeremy Saulnier
Stati Uniti
2013, 92'

 

Torino 31

  di Giulietta TESTA

29/30

Film in concorso al 31° Torino Film Festival, opera prima del direttore della fotografia Jeremy Saulnier. Un lavoro interessante, intenso e ben strutturato. Seguiamo la vendetta di Dwight Evans, una persona normale che dopo l’uccisione dei suoi genitori ha scelto la strada e una vita di espedienti.
La notizia del rilascio del killer responsabile della morte dei suoi lo spinge a pareggiare subito i conti, senza immaginare la catena di eventi che ne susseguono in una vera e propria guerriglia tra famiglie. Dwight non sa niente di armi e si scontra con la violenza più pura, senza che nulla venga risparmiato allo spettatore; è una vittima del suo stesso gesto, passeggero di una macchina in corsa che non può più fermare.
Un film amaro e avvincente, con sullo sfondo un sapore un po’ grottesco ed ironico, che schiaffeggia l’America nelle sue più profonde contraddizioni e ci mostra quanto sia vuoto vivere schiavi del passato, accecati e prigionieri di sentimenti ed errori lontani.

IL SUD È NIENTE
di Fabio Mollo
Italia/Francia
2013, 90'

 

Torinofilmlab

  di Camilla Tomatis

20/30

Il Meridione italiano, i suoi silenzi ed i suoi segreti incarnati in una famiglia composta da un padre, (Vinicio Marchioni), una figlia (Miriam Karlkvist, per la prima volta sullo schermo), il fantasma di un fratello morto e le saltuarie apparizioni di una nonna dall’aspetto bonario.
Il dramma familiare è al centro delle vicende: Grazia non riesce a comunicare con suo padre, a chiedergli spiegazioni riguardo la morte misteriosa di suo fratello Pietro. Volendo sostituirsi, per quanto possibile, al fratello, Grazia cela la sua femminilità, stritola ed impedisce al suo essere donna di manifestarsi. Questo particolare tema poteva essere approfondito con più riguardo, ma l’esplorazione di sé è abbastanza tralasciata, messa in secondo piano. Un’amiciza-amore con un coetaneo, Carmelo (con capacità recitative discutibili), sembra dirci qualcosa di più riguardo l’interiorità tormentata di Grazia, ma invece il rapporto - così come l’opera - resta abbastanza stagnante. Vinicio Marchioni ha fatto propria la verve recitativa de “il Freddo” (interpretato nella serie di culto “Romanzo Criminale”), ma un’espressività un po’ più accentuata non avrebbe disgustato gli spettatori.
Sostanzialmente, mini comparsata per Valentina Lodovini, la quale interpreta l’amante/compagna/passatempo di Vinicio Marchioni.
Un film lento, con pochi dialoghi, i quali lasciano troppe domande e poche risposte.

la mafia uccide solo d'estate
di Pierfrancesco Diliberto
Italia
2013, 90'

 

Vincitore Premio del Pubblico

  di Cecilia paesante

22/30

Arturo è nato nel 1972,  frequenta la scuola media di quartiere, è un ragazzino curioso e sufficientemente timido con le ragazzine della sua età. è un bambino come gli altri, ma è nato a Palermo. La congiunzione avversativa è d'obbligo poiché Arturo fin dalla sua nascita, avvenuta nella stessa clinica dove nacque la figlia di Totò Riina, ha a che fare con la mafia. Tutti, dai suoi famigliari agli amichetti di scuola, nominano la mafia, ma nessuno sa spiegargli esattamente di che cosa si tratti. Crescendo Arturo si rende conto di come la sua città sia effettivamente governata dai boss e quanto l'omertà e la paura regnino in tutte le case, compresa la sua.

La Mafia Uccide Solo d'Estate è la storia di un bambino (poi uomo) che si ritrova, in parte inconsapevolmente, in parte per scelta, a combattere una piaga che affligge la sua terra. Pif si racconta in un film che apparentemente può sembrare un film già visto, ma capace di smuovere qualcosa nell'anima come se fossimo messi al corrente per la prima volta degli omicidi di mafia.

La naturalezza e la soggettività della narrazione, resa attraverso gli occhi di un ragazzo, porta lo spettatore ad immedesimarsi nel personaggio del giovane Arturo/Pif, il quale ci rende partecipi dei propri sentimenti, delle proprie paure, della propria rabbia.
Un ottimo esordio alla regia per l'ex Iena Pif, che è riuscito a trasformare la sua passione per il giornalismo e per il documentario in una storia piena di amore e dedizione

CLUB SaNDWICH
di Fernando Eimbcke
Messico
2013, 82'

 

Vincitore Premio Miglior Film

  di Camilla Tomatis

30/30

Delicatezza, timido pudore e forte emotività colpiscono subito lo spettatore, sin dalle prime inquadrature.
In Club Sàndwich ci troviamo di fronte a tre personaggi, sostanzialmente in un unico luogo d'azione: in un albergo, la vacanza della madre Paloma e del figlio Hector, i loro affettuosi rituali quotidiani e complici, sono messi in subbuglio dall'arrivo della giovane Jazmin, coetanea di Hector. Questa pellicola non consiste semplicemente in uno sguardo sui primi turbamenti fisico-emotivi tipici del “diventare grandi”, non solo in uno sguardo sulla scoperta del proprio corpo, delle proprie pulsioni e desideri. Questa pellicola presenta con estrema dolcezza (quasi nostalgica), il momento della crescita. Crescita fisica di Hector ma, soprattutto, tentativo di crescita “comportamentale” di Paloma nel suo ruolo di madre (lo stesso regista ha dichiarato di aver spostato il focus dal personaggio di Hector a quello di Paloma, in corso d'opera).
Fernando Eimbcke illumina con tocco soave i primi approcci tra i due adolescenti: goffi, teneri, impacciati. Ma fa luce in modo altresì efficace sulla malcelata inquietudine di Paloma, sui suoi sguardi gelosi rivolti verso l'intraprendente Jazmin, sulla sua paura di essere abbandonata.
Le inquadrature, quasi sempre fisse, danno allo spettatore l'idea di poter osservare da una posizione privilegiata ed indisturbata questi due tipi di intimità così diversa, che si consumano nella camera d'albergo dove Jazmin cosparge Hector di crema o nella camera dove Hector e sua madre Paloma scherzano e mangiano insieme i loro Club Sàndwich.
Una vera e propria piccola poesia sulla realtà.
Curiosità: vincitore (meritato) del Premio come Miglior Film, condivide con il vincitore del Premio come Miglior Sceneggiatura, PELO MALO di Mariana Rondòn, il tema del rapporto tra una madre single ed il proprio figlio maschio, in assenza totale di una figura di riferimento paterna per quest'ultimo.

fuoriscena
di Massimo Donati e Alessandro Leone
Italia
2013, 82'

 

TFF Doc

  di Camilla Tomatis

27/30

Un documentario che ripercorre la vita all’interno dell’Accademia Teatro alla Scala, le amicizie fra gli studenti, le ambizioni, le paure, i confronti.
Nulla a che vedere con i documentari di matrice MTV, su ginnaste, ballerini o calciatori che siano: questo documentario è un occhio discreto su un luogo elegante e misterioso, dove si ricerca e si crea il Bello. La telecamera segue micro-storie all’interno dell’Accademia: il ballerino che sembra troppo giovane per la sua reale età, il novello Billy Elliot che torna a casa nelle valli bergamasche, lavorando nella fattoria di famiglia, i cantanti lirici stranieri che comunicano con i loro cari lontani grazie alle nuove tecnologie, le sarte e le costumiste che lavorano indefesse… Tutto questo crea l’Accademia. Chiara la volontà di non girare soltanto “on stage”, di non focalizzarsi solo sul ballo o sul canto: i registi, i quali sono riusciti a creare un ottimo rapporto con i ragazzi più seguiti, hanno voluto indagare sia la ribalta che il retroscena. Loro stessi hanno dichiarato, a fine proiezione, di essersi trasformati quasi in “carta da parati”, e di essersi sentiti davvero dei privilegiati a poter godere di quel mondo così sacrale ed inarrivabile, per i più.
L’unico momento costruito è stato, probabilmente, quello del nascondino all’interno del Teatro, nel momento in cui gli allievi più piccoli vi mettono piede per la prima volta. Tutto questo, per evitare la retorica degli “occhioni brillanti e a forma di cuore”, come hanno affermato i registi sempre a fine proiezione.
Un lavoro lungo, che ha portato via molto tempo ed energie sia per quanto riguarda le riprese, sia per quanto riguarda il montaggio. Ma il risultato è una buona opera, capace di catturare l’interesse di tutti, non solo degli appassionati del mondo del teatro, del ballo o della lirica.

la sedia della felicità
di Carlo Mazzacurati
 Italia 2013, 94'

 

Festa Mobile

  di Cecilia paesante

20/30

Dino (Valerio Mastandrea) è un tatuatore alle prese con il divorzio, Bruna (Isabella Ragonese) è un'estetista sommersa dai debiti. I due lavorano a pochi metri di distanza l'uno dall'altra ma non si conosceranno fino a quando, grazie a una confessione sul letto di morte di Norma Pecche, madre di un famoso bandito, Bruna inizia una vera e propria “caccia al tesoro”. Infatti Norma confessa alla fidata estetista che nella sua vecchia casa c'è una sedia all'interno della quale è nascosto un tesoro. La disperata Bruna decide di conseguire da sola la caccia ma si vedrà costretta a chiedere aiuto a Dino e insieme iniziano un'avventura esilarante alla ricerca di un tesoro che non avrà le sembianze che i due protagonisti si aspettano.

A distanza di tre anni da La Passione (Italia, 2010), Carlo Mazzacurati realizza una bella commedia dal gusto puramente veneto, che insiste sui pregiudizi della gente fra cui il regista è cresciuto e ha vissuto; dal razzismo più spiccio all'avarizia più spietata, che caratterizzano persino il prete Padre Weiner interpretato da Giuseppe Battiston.

Le sequenze del film sono spesso attraversate da piccoli “sketch” interpretati da attori italiani a cui Carlo Mazzacurati ha sempre offerto uno spazio nei suoi film; Silvio Orlando, Antonio Albanese, Raul Cremona, Fabrizio Bentivoglio, per citarne solo alcuni.

Degne di nota sono le interpretazioni dei due protagonisti Valerio Mastandrea e Isabella Ragonese, fra i quali si percepisce un'alchimia molto forte e d'effetto che rende il pubblico capace di affezionarsi a due personaggi molto goffi, imbranati e provinciali, ma profondamente reali.

Guardando La sedia della felicità si ride tanto e ci si lascia alle spalle la pesantezza della vita di tutti i giorni, scopo che Mazzacurati ha annunciato in apertura al film e raggiunto con successo; la sala della prima era gremita di spettatori e perfino la troupe ha ricevuto una massiccia dose di applausi insieme agli attori protagonisti e al regista.

wrong cops
di Quentin Dupieux
Stati Uniti
2013, 90'

 

After Hours

  di Camilla Tomatis

28/30

Notevole esempio di ciò che si potrebbe definire “fiera dell(a)’ (dis)umanità”. Dove poter trovare bassi istinti messi a nudo, situazioni paradossali che strappano più di una risata e musica elettronica, che accompagna lo spettatore durante il suo ingresso nella quotidianità quasi surreale di un gruppo di poliziotti ben più che negligenti. Da non paragonare alla goffaggine delle squadre di Scuola di Polizia: i “wrong cops” sanno - il più delle volte - quello che fanno. E quello che fanno è infrangere la legge, loro per primi, smerciando droga, abusando del loro potere per prestazioni sessuali, ricattando colleghi… Esseri umani scorretti, rozzi al limite del nauseabondo e capaci di sfogare i loro più bassi istinti anche di fronte alla morte, con risultati sorprendentemente divertenti.
Quentin Dupieux amministra egregiamente questo materiale immorale, introducendoci in un (vero?) mondo allucinato e corrotto, nonché esilarante per qualsiasi spettatore che non lo prenda troppo sul serio. Il fine non è la critica sociale, ma la spassosità, non bisogna dimenticarlo.
Onnipresente nella pellicola, la musica elettronica: il regista è meglio noto come Mr Oizo, dj e produttore balzato in vetta alle classifiche con la hit “Flat Beat”.
Inizialmente, il progetto di Dupieux contemplava solo un capitolo di trenta minuti per promuovere proprio la sua musica, con la presenza di Marylin Manson. La decisione di continuare con le riprese è sopraggiunta in seguito, ed il risultato è stato questa pellicola divisa in sette divertenti e dissacranti capitoli, nei quali nonsense e realismo giocano un match fino all'ultimo punto.

c.o.g
di Kyle Patrick Alvarez
Stati Uniti
2013, 88'

 

Torino 31

  di Cecilia paesante

18/30

David è in viaggio per l'ovest, verso i raccolti di frutta dell'Oregon dove spera di poter essere assunto per l'annuale raccolta delle mele. Lo scopo del suo viaggio è la ricerca di sé lontano dalla famiglia, dal college e dalla vita di tutti i giorni. Molte saranno le persone che incontrerà e che gli faranno cambiare opinione sui rapporti umani, chi in meglio, chi in peggio. Un viaggio pieno di speranza che porterà il protagonista a comprendere meglio il suo essere.
Secondo film americano in concorso, C.O.G. è anche il secondo film di Kyle Patrick Alvarez. Se, come si suole dire, non c'è due senza tre, presto avremo un suo terzo lavoro nella speranza di sentirci pienamente soddisfatti.
C.O.G. è complessivamente un bel film; tratta la formazione di un ragazzo alla scoperta del suo paese, delle relazioni con gli altri e della religione; Johnathan Groff ricopre perfettamente il ruolo del suo personaggio ma il significato dell'opera non convince. I temi trattati sono importanti, ma lo spettatore non è effettivamente in grado di dare un proprio giudizio sulla crescita del protagonista.
La sceneggiatura manca in alcuni punti di coesione e la storia, a circa metà del film, subisce un cambio di rotta improbabile, poco credibile; insomma, per riuscire a trattare a fondo tutti gli importanti temi toccati, Alvarez avrebbe avuto bisogno di maggior tempo, non conciliabile con gli 88 minuti di film. Aspettiamo con ansia il suo terzo lavoro.

ENOUGH SAID
di Nicole Holofcener
Stati Uniti
2013, 91'

 

Festa Mobile

  di Camilla Tomatis

27/30

Una commedia indie tenera e romantica sull'amore maturo, anzi, sui “secondi amori” maturi. Eva, massaggiatrice e madre di una figlia che presto partirà per il College, e Albert (James Gandolfini), suo coetaneo corpulento e divertente, sono due genitori divorziati, che si conoscono ad una festa. Durante la medesima festa, Eva conoscerà Marianne, donna raffinata ed elegante, ma ex moglie di Albert. Eva scoprirà la coincidenza verso metà film, e da lì inizieranno i problemi. I fan de “I Soprano”, abituati a vedere Gandolfini in vesti mafiose, rimarranno sorpresi dalle sue doti recitative più delicate e romantiche, dalla sua presenza scenica imponente ma introversa... L'attore regala davvero un'ultima interpretazione positiva (Gandolfini è scomparso prematuramente lo scorso Giugno). Un elemento poco esplorato, all'interno della pellicola, è il rapporto madre-figlia: messo in secondo piano e poco sviscerato, lascia forse troppo spazio al tragicomico dramma amoroso che coinvolge Eva e Albert.
Nel complesso, l'espediente per far muovere le vicende non è poi così innovativo, ma la realizzazione è accurata, gli attori sono ben calati nei loro ruoli e gli spettatori non possono che rimanere coinvolti dal susseguirsi di scene divertenti, ma anche impegnate.
Da segnalare la presenza – seppur marginale - di Toni Collette, una sorta di “marchio di fabbrica” certificato ed approvato dell'universo cinematografico indie.

the husband
di Bruce McDonald
Canada
2013, 80'

 

Festa Mobile

  di Cecilia paesante

16/30

Henry, giovane padre del piccolo Charlie, si ritrova a dover affrontare il giudizio spietato delle persone che lo circondano. Sua moglie Alyssa, infatti, è in galera per aver avuto un rapporto con uno studente quattordicenne: Colin. Henry decide di affrontare il suo “rivale” e incomincia una serrata rincorsa alla reputazione perduta.
I sentimenti all'uscita dalla sala sono contrastanti; sarà per la coinvolgente regia, o per la grande interpretazione del protagonista Maxwell MaCabe-Lokos (Henry), eppure c'è qualcosa che non convince. La storia e la sceneggiatura sfiorano in più momenti la banalità e i sentimenti del protagonista sono portati all'esasperazione con soluzioni poco credibili e sbrigative. Un grande punto a favore è l'ottima fotografia; il colore blu domina tutte le inquadrature e ciò partecipa alla resa della forte freddezza che caratterizza tutto il film.
Il tema della disfatta di una famiglia è un tema ricorrente e, purtroppo, si ha l'idea che sia ricorrente anche il modo di raccontarlo.

ONLY LOVERS LEFT ALIVE
di Jim Jarmush
Stati Uniti
2013, 123'

 

Festa Mobile

  di Camilla Tomatis

30/30

Essere un vampiro, e sopravvivere nel Ventunesimo secolo. Essere un vero vampiro, e sopravvivere nel Ventunesimo secolo.
Nell’era di Twilight et similia, Jim Jarmusch ci restituisce il vampiro delle origini, il vampiro decadente, bellissimo, che ingolla centellinando razioni di sangue acquisito con difficoltà. E, sorso dopo sorso, regala agli spettatori umani espressioni estatiche ed appagate.
Adam ed Eva (nomi profetici?) sono una coppia di vampiri, innamorati ed uniti sebbene vivano in luoghi diversi del globo (lui a Detroit, lei a Tangeri). Si ricongiungeranno proprio a Detroit, dove saranno colti alla sprovvista dalla visita della sorella (?!) combina guai di Eva, interpretata da Mia Wasikowska – piccolo neo nel panorama della pellicola.
Tilda Swinton (Eva) incanta e seduce con la sua non-bellezza, con il suo fascino spiazzante e senza tempo. Il suo compagno di scena, Tom Hiddlston (Adam), incarna il vampiro decadente ed allo stesso tempo il rocker dannato: accoppiata decisamente letale e vincente.
Entrambi amano la vita. Amano l’espressione del bello in ogni sua forma (con una predilezione per la musica, altra ufficiosa protagonista della pellicola). Gli umani, gli “zombie” (come li definiscono Eva e Adam), non amano la vita quanto i vampiri… Eppure dovrebbe essere l’opposto, dal momento che il destino concede ai mortali di assaporarla per un periodo di tempo determinato.
La pellicola è un inno alla vita, succhiata nel suo midollo (come direbbe Henry David Thoureau) solo dai “non-vivi”, dai vampiri. Solo chi ama la vita resta in vita – ci piace pensare che siano questi i “lovers” del titolo.
Un film magnetico e coinvolgente, consigliatissimo, di una raffinatezza decisamente rara.

Blood pressure

di Sean Garrity
Canada
2012, 95'

 

Festa Mobile

  di Giulietta TESTA

26/30

Si parte dal nero. Una voce over accompagna lunghe riprese dall’alto di una città senza confini. Case tutte uguali che si ripetono all’infinito, sotto un occhio vigile che tutto osserva.
Nicole è una donna di mezz’età, sposata e con due figli. Passa la sua vita in maniera monotona, raccogliendo frustrazione in casa come nella farmacia in cui lavora; è una persona assolutamente normale, ed è costantemente spiata. Non solo sul lavoro, da un capo opprimente e fastidioso, ma da un misterioso osservatore che di lei ormai conosce ogni tratto dell’esistenza e le indirizza lettere e regali.
L’impianto e il coinvolgimento da thriller ci sono tutti, con uno sviluppo in crescendo e una buona dose di suspence; la nostra farmacista è pronta a diventare una piccola Nikita seguendo ordini sempre più rischiosi, e si respira un’aria lontanamente hitchcockiana (penso a La donna che visse due volte) nell’esasperazione del voyeurismo e la rincorsa a replicare una donna che non c’è più. Forse c’è un po’ di delusione sul finale, quando una sterzata melodrammatica rivela un impianto narrativo un po’ debole o comunque piuttosto inverosimile, pur nella sua capacità di commuovere.
Interessanti alcune trovate registiche, anche se la qualità dell’immagine e l’uso della luce risultano a tratti un po’ televisivi, con una cinepresa piuttosto mobile e tanti primi piani.

PRINCE AVALANCHE
di David Gordon Green
Stati Uniti
2013, 94'

 

Festa Mobile

  di Camilla Tomatis

26/30

Immaginate la natura selvaggia di INTO THE WILD, o le montagne impervie di BROKEBACK MOUNTAIN.
Bene, in PRINCE AVALANCHE ritroviamo Emile Hirsch, che ha come compagno d'avventura e di tenda Paul Rudd, fidanzato di sua sorella.
Inutile dire che le vicende prenderanno una direzione ben diversa rispetto a quelle di INTO THE WILD o di BROKEBACK MOUNTAIN, ma il depistaggio valeva la pena. Terra “selvaggia”, isolamento, due uomini che vogliono/devono conoscersi, questo il background.
Alvin (Paul Rudd) e Lance (Emile Hirsch) devono ridipingere la segnaletica orizzontale in un bosco texano, danneggiata a causa di un incendio. I due uomini, l'uno riflessivo e amante della natura, l'altro giovane ed esagitato, impareranno a convivere, a conoscersi in quel luogo dove le vere protagoniste sono la natura e l'isolamento. Tema portante quello dell'incapacità, da parte di entrambi, di stare al mondo, di relazionarsi con le persone, di costruire rapporti. I due uomini non devono solo riparare la strada, ma anche aggiustare il loro modo di stare al mondo. Emile Hirsch, nella natura selvaggia, ci stà bene sia a livello estetico sia a livello recitativo; Paul Rudd, dal canto suo, ci regala una delle sue prime interpretazioni drammatiche...una parte insolita, per lui, ma ben interpretata.
La realizzazione del film non può ricevere critiche pesanti, tuttavia... Sembra sempre, durante lo svolgersi degli eventi, che qualcosa non torni. Che qualcosa di non detto dovrebbe essere esplicitato. Le apparizioni improvvise di personaggi insoliti sulla strada in ricostruzione (sono persone vere?) non aiutano a fare chiarezza.
Curiosità: PRINCE AVALNCHE è il remake del film islandese Á ANNAN VEG, diretto da Hafsteinn Gunnar Sigurðsson e vincitore del Torino Film festival del 2011. Inoltre, David Gordon Green è stato premiato al Festival di Berlino per la Miglior Regia.

pelo malo
di Mariana Rondón
Venezuela
2013, 95'

 

Torino 31

  di Cecilia paesante

21/30

Junior ha nove anni e vive in un quartiere popolare di Caracas; il suo più grande cruccio è la chioma riccia che tenta di lisciare in tutti i modi in vista della foto dell'annuario scolastico.
La giovane madre di Junior, vedova e disoccupata, reagisce ai vezzi del figlio con violenza, soprattutto psicologica, accusandolo, senza basi effettive, di essere omosessuale, condizione difficile per un ragazzino che vive in una società chiusa e piena di pregiudizi.

Pelo Malo è innegabilmente un film duro, sia per i contenuti lontani dalla cultura occidentale ma paraddossalmente attuali, sia per ciò che la regista ha voluto mostrarci. Il grigio è il colore dominante in tutte le inquadrature; il grigio dei palazzi popolari della periferia di Caracas, il grigio dei rapporti umani fra vicini e fra famigliari. I rumori di sottofondo sono il brusio, le grida della gente e gli spari dei regolamenti di conti dei criminali che affollano il quartiere di Junior. Lo spettatore è colpito dalla dolcezza del piccolo protagonista, dalla sua semplicità, ma anche dalla violenza di ciò che lo circonda.
Un ottimo film che non esige troppe parole per essere descritto, assolutamente da vedere

Sweetwater

di Logan Miller
Stati Uniti
2013, 95'

 

After Hours

  di Giulietta TESTA

27/30

Omaggio a Tarantino, con una punta di fratelli Coen. Opera di Logan Miller - anche lui film maker in coppia con il fratello - direi che i rimandi sono piuttosto espliciti.
Siamo nel New Mexico di fine Ottocento, nelle terre di un fanatico religioso (Jasoon Isaacs) che si fa chiamare “Profeta” e va in giro seminando violenza. A lui fanno da contraltare la bella e bravissima January Jones (nel film Sarah), ex prostituta sposa vendicatrice alla “Kill Bill”, e lo sceriffo Cornelius Jackson (un grandissimo Ed Harris), personaggio ironico e bizzarro, volto buono della legge. Sono loro due, così lontani e improbabili eroi, a trovare la forza di combattere sino in fondo per riportare un po' di giustizia in quei territori da mitico west.
Con Sweetwater abbiamo un altro capitolo del western con la W maiuscola, con un mix di ironia grottesca e di violenza, con la tradizionale sferzata agli stereotipi sociali da una parte e l’eterna contrapposizione tra bene e male dall'altra, che qui riesce ancora una volta convincente ed entusiasmante, anche se le paternità sono davvero un po' troppo ingombranti.

computer chess
di Andrew Bujalski
Stati Uniti
2013, 92'

 

After Hours

  di Camilla Tomatis

17/30

Probabilmente, le intenzioni di Andrew Bujalski erano quelle di creare un mockumentary indefinito e allucinato, ma comunque coinvolgente.
Noi non mettiamo in dubbio le intenzioni, bensì i risultati.
Sono gli anni ’80, in un grottesco motel un gruppo di programmatori informatici sostiene un particolare torneo di scacchi, che vede come rivali uomini e computer.
Mostrare il mondo laterale dei nerd, dei “geeks”, avrebbe potuto essere una mossa vincente, data la recente popolarità che questi apparenti “loosers” hanno acquisito nell'immaginario contemporaneo (grazie soprattutto ad alcune serie televisive di successo). Ma Bujalski sembra voler negare a priori una qualsiasi forma di approfondimento dei suoi personaggi, della loro introspezione o delle loro vicende personali. Uno dei pochi, brevi, approfondimenti singoli concessi è dedicato ad uno dei giocatori più giovani, il quale entra in contatto con una coppia di un gruppo di incontro che si riunisce nel medesimo albergo. Suddetta coppia tenterà di sedurlo, proponendogli un ben poco sensuale menàge á trois (i due individui non sono esattamente affascinanti). Risultato? Il giovane nerd rabbrividisce e scappa a gambe levate. Il pubblico, ahimè, può solo rabbrividire.
Il formato 4/3. il bianco e nero delle riprese (effettuate con una videocamera Sony abbastanza datata) e la mancata presenza di personaggi principali, o comunque caratterizzati in qualche modo, accrescono la monotonia. Inoltre, il tema della sfida uomo VS macchina non è per nulla approfondito...
Al contrario, a discapito dell'intera opera, il regista inserisce qua e là intermezzi visivi eccentrici e un po' psichedelici (che fanno riferimento al “contenuto” delle macchine? Chi può dirlo).
Pellicola poco coinvolgente, di uno sperimentalismo e di un (tentato) surrealismo abbastanza fastidiosi.

el lugar de las fresas
di Maite Vitoria Daneris
Italia/Spagna
2013, 90'

 

TFF Doc

  di Camilla Tomatis

29/30

Film-documentario che racconta la storia di bontà e amicizia instauratasi fra Lina, contadina settantenne, Hassan, giovane immigrato marocchino in cerca di lavoro al mercato di Porta Palazzo (dove Lina ha il suo banco), e la stessa regista.
Torino, mercato di Porta Palazzo, il più grande mercato all’aperto d’Europa: crocevia di culture, di storie, di voci, di nuove e vecchie abitudini. Ed è proprio qui, alle due del mattino, che la regista incontra Lina, e decide di incentrare il documentario proprio su di lei. La vitale contadina le aprirà le porte di casa sua (a San Mauro, il “posto delle fragole”) e del suo intero mondo, fatto di lavoro, fatica e piccole soddisfazioni. L’arrivo di Hassan movimenterà le cose, ovviamente in positivo, e Lina lo coinvolgerà nella sua attività, fino a “fargliene dono”, non solo spiritualmente, ma anche materialmente.
Questo documentario è una storia coinvolgente, umana, una storia di un’amicizia che sembra impossibile, ma che invece si rivela forte e caparbia, proprio come la stessa Lina.
Presenti in sala, la regista ed i protagonisti. Ovazione generale, strette di mano, simpatia immediata per il volto di Lina così espressivo e cordiale. Forse è una storia semplice, forse è una semplice messa in scena di tre vite che si sono incontrate. Ma forse è proprio la semplicità il suo punto di forza.
Unica pecca: novanta minuti sembrano volare via troppo velocemente. Forse qualche minuto di girato in più avrebbe permesso di approfondire ancora di più gli snodi principali del racconto.

retrospettiva

 

New Hollywood

  di Cecilia paesante

30/30

Un grande festival; non si possono usare parole differenti per descrivere il 31° Torino Film Festival. Quattordici film in concorso, ventiquattro prime nazionali, ampio spazio di espressione per i registi emergenti. Ma ciò che più colpisce è la strepitosa retrospettiva denominata “New Hollywood”; trentasei capolavori realizzati fra il 1968 e il 1975 che la maggioranza del pubblico in sala non aveva mai avuto la possibilità di ammirare su grande schermo.
Dai mitici “on the road” Easy Rider (D.Hopper, 1969) e Punto Zero (Vanishing Point, R. Sarafian, 1971) al leggendario Pat Garrett & Billy The Kid (S. Peckinpah, 1973), dalle riprese del concerto di Woodstock a Non Torno A Casa Stasera di Francis Ford Coppola (The Rain People, 1969).
Non solo molti spettatori hanno potuto vivere l'emozione di vedere i propri cult proiettati su grande schermo, ma hanno avuto la fortuna (e, per quanto mi riguarda, l'onore) di ascoltare le testimonianze del grande Elliott Gould a proposito del proprio lavoro e rapporto di amicizia con registi del calibro di Robert Altman e Ingmar Bergman.
Il TFF ha proposto quest'anno Bob&Carol&Ted&Alice (P. Mazursky, 1969), Piccoli Omicidi (Little Murders, A. Arkin, 1971) e California Poker (California Split, R. Altman), tutti interpretati da Elliott Gould il quale, all'inizio di ogni film, ha accolto in sala gli spettatori raccontando gli aneddoti più significativi del lavoro sul set.
"Ho lavorato molto su me stesso per sentirmi libero di esprimermi, di imparare e sentirmi libero anche di sbagliare," queste sono le parole che Gould ha spesso ripetuto durante i quattro giorni di festival a cui ha partecipato, e sono anche le parole che meglio descrivono una persona che, pur essendo un divo di Hollywood, non ha mai abbandonato quell'umiltà che molto spesso manca a chi ottiene il successo.

 

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31.mo torino film festival

Torino, 22 / 30 novembre 2013