RACCONTI ITALIANI


adombra

 

Quello che ci sentiamo inizialmente di dire sui film della sezione racconti italiani ha a che fare con quelle che dovrebbero essere le peculiarità di formati diversi dal lungometraggio: riuscire a condensare in un tempo limitato premessa, sviluppo e conclusione di una storia. Laddove ci si aspetterebbe quindi un ritmo serrato e un'immediata decodifica dei nessi logici, abbiamo invece riscontrato, in generale, un'eccessiva sospensione narrativa e un ermetismo di fondo dovuto ad una pesante stratificazione tematica nonché alla già accennata assenza di chiare premesse.

aira/aria

In un paio di occasioni - vedi AIRA/ARIA di Federico Ferrarese e Giovanni La Pàrola, ma anche AROUND THE WORLD di Fabrizio Mari - veniamo catapultati nella realtà "mentale" di personaggi in procinto di commettere suicidio, senza che almeno uno degli elementi in gioco (recitazione, scelte di regia, fotografia, ecc.) riesca a "rappresentare" l'indispensabile pathos di quel contesto interiore. E' come se, nel realizzare le loro opere, questi registi avessero bloccato, isolandoli su pellicola, segmenti di un film virtuale, presente esclusivamente a livellio di immaginazione, rendendoci partecipi di episodi psichici privi di pre e di un post. Ci sembra che così facendo vadano perse le potenzialità "potiche" intrinseche alla forma del corto. Ecco allora il ricorso posticcio alla voce fuori campo (L'INSEGUIMENTO di Vito Cea e Ignazio Olivieri; L'ULTIMA ROSA DELL'ESTATE di Agostino Biavati), a supplire a tali mancanze.

l'ultima rosa dell'estate

Peccato però che, come nel caso di Cea/Olivieri, essa si sovrascriva al vuoto narrativo - soliloquio di un autista in fuga da fantasmi della mente - per questo ancora più evidente.
L'automobile come "terra di mezzo" tra i comportamenti bloccati del privato e del sociale, torna anche in THE LONG WAY HOME di Antonio Monti, dove un impiegato di ritorno a casa dà sfogo alla sua vera personalità materializzando attraverso atti inconsulti i più profondi turbamenti della proprio psiche, al punto da uccidere chi incrocia la sua strada e, come ci suggerisce il finale "lynchiano", da smarrire anche a livello somatico la propria identità, con uno dei pochi effetti speciali - peraltro riusciti - che ci è stato dato di vedere.
La sezione ha comunque presentato anche opere maggiormente caratterizzate da un progetto complessivo più chiaramente individuabile e da una coerenza interna garantita anche, se non esclusivamente, da una maggiore durata (44 minuti per TORINO CALABRO 9 dei fratelli Marzano, circa mezz'ora per MIRACLE IN THE BRONX di Frizzi Maniglio). Nel primo caso assistiamo ad un tentativo, a volte buffo, altre impacciato, di parodiare un genere - il "polizziottesco" anni '70 - già di per sé caricatura di una cinematografia alta. Ambientazione e dialoghi tra i Manetti Bros. e Er Piotta, logica solo apparente, effetti grotteschi più o meno involontari, contribuiscono a creare un possibile "oggettino" di culto tra le fila dei tanti amanti del "de-genere" trash.

torino calabro 9

MIRACLE IN THE BRONX, invece, sceglie un registro impegnato: tra docu-fiction politically correct e fiaba etnico-religiosa, sceglie una location di portoricani sotto sfratto per impedire il sopruso per raccontare di una bimba di colore come moderna rappresentazione di un Cristo interetnico.
Un discorso a parte, tra gli altri, meritano sicuramente, per opposti motivi, ADOMBRA di Simone Massi e GENESIS di Wald Fulgenzi e Renata Macola. Fantascienza all'amatriciana, imbarazzante decor da capodanno post-atomico e recitazione da saggio di metà anno, concorrono a definire un prodotto divertente se visto in un'ottica de-filmica (oltre che de-generata), dove le citazioni di VIDEODROME, HALLOWEEN III e ESSI VIVONO suonano alla stregua di possibili riletture alla Mariano Laurenti del messaggio apocalittico orwelliano.

genesis

Un plauso va poi senza dubbio al delicato acquerello visivo di Simone Massi, i cui disegni animati abbozzano il doppio interiore del mondo reale, raccontandoci il sogno di un sorvolo libero e creativo sopra dechirichiani paesaggi urbani.
Per concludere, discreti TESTA DI CANE di Licio Esposito e THE BUILDING di Nicola Barnaba, tra animazione cinetica, il primo, e buoni effetti speciali il secondo.



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