CRIMINALI DA STRAPAZZO
di Woody Allen
con Woody Allen, Tracey Ullman, Hugh Grant,
Elaine May, Tony Darrow, George Grizzard,
Jon Lovitz, Michael Rapaport e Elaine Stritch


 

recensione di
Francesca MANFRONI

Ray Winkler (Woody Allen) è un ex galeotto reintegrato nella società come lavapiatti. Lui e la moglie Frenchy (Tracey Ullman) conducono una vita modesta, fino al giorno in cui Ray decide di mettere in atto il suo grande piano di rapinare una banca, maturato durante i due anni di vita onesta. Per fare ciò ha bisogno di una copertura e quindi convince la moglie ad investire i risparmi che ha messo da parte lavorando come estetista, nel periodo in cui lui era in galera, nell'acquisto di un locale adiacente alla banca: infatti l'idea è che Frenchy apra lì un negozio dove venderà i suoi deliziosi biscotti fatti in casa, mentre lui ed i suoi complici scaveranno nel retro un tunnel per raggiungere il caveau della banca. Malgrado niente vada come previsto, la coppia si ritroverà comunque piena di soldi; ma mentre Frenchy cercherà di adeguarsi (peraltro senza successo) al suo nuovo stato sociale, prendendo lezioni di "classe e cultura" dal bel mercante d'arte David (Hugh Grant), Ray rimarrà deluso dalla sua nuova situazione, fino ad arrivare a rimpiangere i bei tempi squattrinati in cui passava il tempo davanti alla tv, divorando hamburger e progettando nuovi colpi. Sembra quasi che Rey Winkler sia il Virgil Starkwell di PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 25 anni dopo le vicissitudini di quel primo lungometraggio di Woody Allen: anche allora i suoi tentativi di arricchirsi con il crimine fallivano sempre, ma mentre lì finiva inesorabilmente per passare le sue notti in prigione, qui si ritrova in una casa disgustosamente sontuosa, in cui troneggia una grande arpa dorata, vestito con uno smoking improbabile e a tavola con ospiti altolocati che parlano di arte, di musica e di vini.



Il film ha un ritmo veloce nella prima parte, dove si alternano battute divertenti e situazioni esilaranti (con una esplicita citazione de I SOLITI IGNOTI, quando alla fine del tunnel il maldestro gruppo di criminali sbuca nel posto sbagliato) e tende un po' a rallentare nella seconda, che finisce per diventare una critica feroce dei "nuovi ricchi". Infatti, anche grazie ai costumi di Suzanne McCabe e alle scenografie di Santo Loquasto, il regista fa una descrizione sarcastica della nuova borghesia newyorchese, che nel tentativo di adeguarsi ad un mondo non suo e di acquisire abitudini raffinate si rende ridicola e fallisce in ogni senso. E per la prima volta l'intellettuale per eccellenza, aspro avversario dei parvenu, si trova a rivestirne i panni, in un ruolo che forse poco gli si addice, tanto da scegliere una recitazione pacata e poco eclatante e finire quasi per fare da spalla alla esplosiva Tracey Ullman.



Ma il riscatto arriva proprio alla fine, quando diventa chiaro che il vero scopo di Ray non erano i soldi ma il crimine in sé e la stessa Frenchy, tramontata ormai ogni ambizione di diventare un membro dell'alta società, si salva proprio grazie ai trucchetti imparati dal marito.
Insomma, come dice lo stesso Allen "se c'è un tema nel film potrebbe essere 'fate attenzione a ciò che desiderate'" e questo perché può accadere che si raggiunga e ci si accorga che non era quello che veramente si voleva ottenere.
O forse perché l'importante non è l'arrivo, ma il percorso…


IL VOTO DI KINEMATRIX: 27/30