BERGAMO FILM MEETING
17 - 19 marzo


servizio di
Martina MUNGAI

Il Bergamo Film Meeting, giunto alla sua diciannovesima edizione, si è aperto all'insegna di un positivo eclettismo di proposte, ossia di una molteplicità di offerte eterogenee, tra le quali non sono mancate piacevoli sorprese.

LES PARAPLUIES DE CHERBOURG

Si riscopre ad esempio Jacques Demy, cineasta francese poco conosciuto in Italia, che lavorò principalmente negli anni Sessanta e Settanta, distinguendosi dall'allora imperante verbo della Novelle Vague. Demy è noto soprattutto come "fondatore" di un musical alla francese, visto che il suo LES PARAPLUIES DE CHERBOURG (1963) vinse la Palma d'Oro a Cannes e fu candidato all'Oscar come miglior film straniero, poi battuto da LA DOLCE VITA. Il successo di questo film gli ha lasciato la fama un po' ingiusta di cineasta limitato a un sentimentalismo ingenuo, ma a guardar meglio egli rivela una consistenza e una sensibilità inaspettate. I suoi film sono favole, di oggi o ambientate in scenari antichi o mitici, ma il finale non è mai perfettamente lieto e i significati vivono sul filo dell'ambiguità, facendosi portatori di sfumature malinconiche, simbologie, e in cui la costante ricerca della felicità sembra ancorarsi al ricordo di gioie perdute e ormai, forse, irrecuperabili.


jacques demy


Non mancano gli accenti politico-sociali: Demy, per sua stessa dichiarazione, adora le minoranze o coloro che hanno una vita "altra" rispetto all'omogeneità borghese: ballerine, marinai, adolescenti, disoccupati, operai, ma non disdegna nemmeno le nobildonne in rovina. Ci dà inoltre ritratti inediti della vita familiare, con storie di famiglie non canoniche, luogo di dolcezze e di conflitti per madri entreneuse, figlie poco più che bambine che scappano, inconfessabili desideri incestuosi, e perfino uomini incinti. LOLA (1960), suo primo lungometraggio che ci presenta una splendida Anouk Aimée, non è ancora un film cantato come molti dei suoi seguenti, ma è già musicale nell'organizzazione coreografica delle entrate e uscite di personaggi che vivono storie intrecciate, nei movimenti di macchina derivati dal musical americano, nella presenza di ballerine di varietà. THE PIED PIPER (1971) rielabora la fiaba del pifferaio di Hamlyn per farne un film sul conflitto fra potenti e oppressi e sulla figura dell'artista reietto dalla società.

LES PARAPLUIES DE CHERBOURG

Condito da anacronistiche canzoni beatlesiane suonate da un pifferaio-chitarrista folk, che lo collocano fuori dal tempo in cui è ambientato per rilevarne la dimensione metaforica, questo film ci conferma che ci troviamo in presenza di un autore singolare e atipico, che affronta ogni film con la leggerezza consapevole del sorriso triste. Rimarchevole, e romantica senza stucchevolezza, la scena finale dei bambini in fila che scompaiono in un campo di grano inondato dal sole al tramonto.


IL TERZO UOMO


L'altra rassegna principale del festival è dedicata ai film tratti da romanzi o da sceneggiature originali di Graham Green, tra cui la trilogia diretta da Carol Reed: THE FALLEN IDOL (1948), OUR MAN IN HAVANA (1960) e in particolare THE THIRD MAN, con la memorabile apparizione di Orson Welles. Si ritrova così un cinema fatto di mestiere, di capacità narrativa, di scrittura impeccabile, di intrecci solidi e di intelligenti approfondimenti psicologici.
La sezione ACID propone film prodotti dalla omonima associazione francese (Agence du Cinéma Indépendant pour sa Diffusion) che promuove film indipendenti e si occupa della loro distribuzione. DE L'HISTOIRE ANCIENNE di Orso Miret è un film che tratta in modo non retorico del rapporto con un passato mai dimenticato, quello della Seconda Guerra e della resistenza,, attraverso la storia di una famiglia, soprattutto del protagonista Guy che, sconvolto dall morte del padre ex partigiano col quale non ha fatto in tempo a riconciliarsi, precipita in un abisso di rimorsi. Un film di silenzi, di lentezze, che più che dire palesemente lascia intuire gli stati d'animo e le rivoluzioni interiori dei personaggi attraverso sguardi e atmosfere. Un film non facile, figlio della tradizione francese di un cinema che, invece di travolgere con l'ovvio, lascia spazio all'interpretazione.

DIAPASON di Antonio Domenici

Tra i film in concorso per l'assegnazione delle Rose Camune d'oro, delude DIAPASON di Antonio Domenici, che si fregia del riconoscimento di primo film Dogma italiano. Ma se del Dogma 95 rispetta le dieci "regole di castità" dal punto di vista tecnico, non si può dire lo stesso né delle due storie parallele narrate, né del modo di narrarle. I film Dogma, almeno i più riusciti, sono film di ricerca, in cui la "verità" tecnica coadiuva una verità di percorso, un'indagine interiore dei personaggi o per lo meno un tipo di denuncia non superficiale di determinate realtà. DIAPASON, invece, incornicia con una recitazione teatrale e un ritmo sbagliato le vicende notturne di due ambienti diversi della Roma contemporanea, quello vizioso della produzione cinematografica e quello di un gruppo di sbandati di razze diverse. Ma il film non va oltre la mancanza di spessore di luoghi comuni su Fellini e citazioni di PULP FICTION, e la "ricerca" si ferma alle parole di un ragazzo di colore che ripete di voler cambiar vita, cosa che, prevedibilmente, non gli riesce. Ricco di stereotipi e venato di un decadentismo compiaciuto, non manca nemmeno la metafora sulla cecità del produttore ricco e corrotto. LISE ET ANDRÉ di Denis Dercourt, al contrario, è un film forte e delicato, basato su un'idea tanto semplice quanto originale, anche se a prima vista un po' melodrammatica: una donna rapisce un prete per portarlo in pellegrinaggio nel proprio paese natale e convincerlo a pregare per un miracolo per il figlio in coma. I personaggi, ben costruiti, catturano lo spettatore col proprio viaggio di crescita e cambiamento, e ribaltano il ruolo classico della donna perduta (Lise fa la prostituta d'alto borgo) salvata dal prete: è lei infatti a far ritrovare all'uomo un interesse per la vita. Non patetico, anzi raffinato e sincero.


DIAPASON - DOGMA 11


Una delle "sorprese" a cui mi riferivo è stato THE BLACK PIRATE di Albert Parker, con Douglas Fairbanks, restaurato e accompagnato dal vivo dal pianoforte di Neil Brand. Inserito in rassegna perché è stato uno dei film preferiti di Greene, mi ha stupito come un film d'avventura di qualità degli anni Venti abbia potuto richiamare ancor oggi tanta gente in sala e raccogliere notevole successo per le trovate divertenti e alcune scene ed effetti divertenti memorabili, come Fairbanks che scivola sulle vele della nave tagliandole a metà o i soldati che nuotano a rana sott'acqua.

BETTY BOOP

Last but not least, i film sono preceduti o seguiti da una retrospettiva sui cartoons dei fratelli Fleischer, gli unici che negli anni Venti hanno contrastato lo strapotere Disney, creatori di Koko the Clown e dei celeberrimi Betty Boop e Popeye, nonché inventori di numerose innovazioni come il rotoscopio e una tecnica per rendere tridimensionali i fondali che sono state fondamentali per il cinema d'animazione a venire. Al festival si può ammirare la straordinaria inventiva di un linguaggio, quello del cartoon, ancora non standardizzato, nelle fasi della sua formazione e graduale istituzionalizzazione.
E poi Midnight Movies, AU HASARD BALTHASAR di Bresson, video… andateci se potete, siete ancora in tempo!


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