Gaber fu direttore artistico del teatro Goldoni dal 1989 al
1992 e al 1998 risale la sua ultima esibizione sul palcoscenico veneziano.
2012, oggi: su quello stesso palco, solo una grande immagine del cantautore
e una sedia vuota, mentre sul pavimento vediamo un cappello. Tra loro
s’insinua un giovane uomo, che inizia a raccontare una storia, la storia di
G.G.
Impresa ardua: da sempre, chiunque si cimenti con qualcosa che tratti “il
Signor G.” è destinato a trasfigurarlo, mistificarlo, di/minuirlo e a
rendersi ridicolo o grottesco in quel tentativo.
Ciò vale come “regola aurea” del dopo-Gaber e non si registrano eccezioni.
Almeno fino ad ora.
Il ragazzo, però, inizia - con sicurezza e senza esitazioni- un monologo
interrotto solo da filmati che mostrano i momenti più significativi della
vita e della carriera di Gaber. Così, senza indugi o cadute di ritmo o di
stile, il narratore racconta di un poeta e dei suoi felici esordi mediatici,
quindi della sua sapiente e coraggiosa virata verso il teatro, che sulle
prime lo respinse con sospetto e riguardo, fino alla collaborazione,
decisiva, con Sandro Luporini, il pittore della “Metacosa” conosciuto
addirittura ai tempi degli esordi rock di metà anni Cinquanta.
L’ amicizia tra Sandro e Giorgio generò almeno trent’ anni di altissimo
Teatro-canzone: fu proprio durante il percorso creativo segnato dalla
collaborazione con l’ artista viareggino che Gaber riuscì a mettere in forma
compiuta il suo pensiero anarchico e radicalmente libero. La dimostrazione
più chiara e sfrontata del quale è forse "Quando è moda è moda" (da “Polli
di allevamento”, 1978), dove G. è impegnato a prendersi gioco di una
Sinistra ormai basata solo su cliché etico-teorici di assoluta maniera.
Il tema della politica legata al Potere è una costante nella carriera del
milanese, ostinatamente isolato da ogni Sistema, talmente sicuro e certo
delle proprie prese di posizione da mettersi contro - oseremmo dire
“pasolinianamente”- anche il pubblico dei propri spettacoli, colpevole di
essere "parte di una massa senza piu' individui".
I filmati e le parole sì susseguono, descrivendo l’uomo e l’intellettuale,
sempre integro, esemplare nella sua feroce coerenza. Gaberscik disse tutto
quello che pensava, senza filtri, paure o ipocrisie e non scese mai a
compromessi commerciali nel fare arte.
Non lo intimorì neppure lo scandalo provocato da "Io se fossi dio (1980)".
La vita, meglio, le vite, cioè le diverse fasi della traiettoria artistica
di Gaber meriterebbero un libro articolato in più volumi, come per Pasolini,
col quale condivideva l’illuminante capacità intuitiva e la lungimiranza
quasi preveggente nei confronti di eventi, fatti e persone della misera
Italia nella quale si trovarono a vivere entrambi.
Geniale al punto che le sue canzoni restano, ancora oggi, d’impressionante
attualitàe profondità, a costituire un tesoro culturale di cui dovremmo
poterci dire tutti fieri e che, in un certo qual modo, dovremmo voler
custodire gelosamente.
“Forse, però, è ancora troppo presto”, penso, guardando lo studente seduto
accanto a me, con indosso le stesse Clarks di GG, mentre gioca annoiato con
il cellulare di ultima generazione.
Forse è troppo presto, o forse il tempo in cui la Massa, mettendo in atto
una suddivisione auspicata in nuovi Individui, non si realizzerà mai: per
questo il Poeta è morto (forse ancor prima di melanconia che di consunzione
fisica). Il tempo è poco, il ragazzo-attore si presenta e dice di chiamarsi
Andrea Scanzi.
è stato coraggioso perché è stato mosso da un amore fortissimo nei
confronti di Gaber: lo stesso amore che (lo posso dire) mi unisce a lui, al
Poeta, da quando, all’età di quattro anni, lo vidi in televisione e chiesi
ai grandi, agli adulti, quanti anni avevamo di differenza e loro, ridendo,
risposero di non preoccuparmi e che ci saremmo anche potuti sposare, un
giorno.
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