TEATRO STABILE DEL VENETO
 

Anton Pavlovič Čechov

il giardino dei ciliegi

regia Paolo Magelli

con Luigi Tontoranelli, Valentina Banci
 

di Ambra MURA

 

 

il giardino dei ciliegi: scheda

I Ranevskaja sono in dissesto economico. Anni di sperperi hanno prosciugato il patrimonio familiare. La società sta cambiando, la nobiltà russa a fine '800 sta perdendo l'egemonia fin allora goduta e la borghesia sopravanza.

Lo spettacolo si apre con un vociare allegro di gente e il rumore di un treno che viaggia veloce sui binari. Un uomo steso per terra dorme. L'uomo si sveglia di soprassalto. è Lopachin, un ricco mercante dalle origini umili. L'uomo se la prende con la cameriera di casa che non l'ha svegliato. è in apprensione. Sono molti anni che non vede Ljuba Andreina, nelle cui mani ora, insieme al fratello, rimane l'onere di una ricchezza in dissesto. Si ricorda di quando lei bambina l'aveva chiamato “contadinello”. Lui, figlio e nipote della servitù che aveva prestato servizio nella stessa casa per due generazioni. Lui, borghese, nella condizione di prestare denaro e consigliare sugli affari proprio quella famiglia, su come sistemare le loro economie. I Ranevskaja sono costretti a vendere il giardino dei ciliegi per saldare l'ipoteca. Quel giardino, che si sente solo citare, è il simbolo di una vita e di una ricchezza che non appartengono più a Ljuba e alla famiglia, che si lasciano scivolare via il giardino così, nell'impossibilità di prendere una decisione, troppo presi dall'immagine di un passato inafferrabile e sempre più distante.

Ricordi intimi, drammi personali e familiari, visioni di vita e della società, macchiette, scene comiche e scene tragiche si alternano con buon equilibrio ed in modo interessante. Alcuni elementi poco comprensibili però, non si possono tralasciare.

La famiglia dopo un lungo viaggio e diversi anni raggiunge la tenuta.

L'autore sceglie di presentare la famiglia al pubblico in modo originale e un po' oscuro: gli attori si fermano allineati sul ciglio del palco, rivolti verso gli spettatori, e con lo sguardo nel vuoto, tutti parlano simultaneamente. Non deve essere facile gestire tanti attori insieme nel palco. Undici personaggi si alternano e talvolta condividono la stessa scena. Sarà dovuta a questo la scenografia scarna. Le quinte a vista. Le mura di casa sono rappresentate tramite delle strutture cave fatte di travi in legno che poggiano sul pavimento a mo' di basamento, da cui si dipartono una serie di funi-tiranti verso l'alto. Il palco vuoto, tanto che i nobili di casa si siedono sul pavimento e si arrampicano con strana disinvoltura sui basamenti, in un modo che non restituisce affatto le abitudini di una famiglia nobile russa, con un risultato, sotto quel punto di vista, poco convincente. Sempre rimanendo in tema di scelte poco convincenti, le posizioni dei personaggi nello spazio, generalmente gestite con cura, a volte non si spiegano. Una su tutte è quella della figlia che riprende lo zio, per un qualche suo atteggiamento, parlandogli distesa sul pavimento, cinta dalle gambe del maggiordomo che sta in piedi proprio sopra di lei con le gambe a cavalcioni. Un'altra scelta di stile che ho compreso poco avviene quando la famiglia si lascia trasportare dai discorsi eruditi dell'istitutore. Tutti seduti per terra, a gambe larghe a formare un cerchio con le piante dei piedi che si toccano, signori e servitù. La scenografia alternativa è quella introdotta al ballo la sera dell'asta per la vendita della casa. Lo sfondo è costituito di un telo celeste con delle figure che ricordano degli uccelli bianchi in volo, stilizzati. Forse a mimare la parete di una sala da ballo, forse con un significato simbolico più profondo. Non è dato sapere.

Al contempo però, l'abile sviluppo della storia, il susseguirsi di personaggi in scena, la varietà dei toni piacciono. Restituiscono una dimensione classicamente teatrale che rassicura. La bravura degli attori poi non può essere messa in dubbio, capaci di esprimere momenti di grande drammaticità come anche di risate di stomaco. Intenso ed evocativo il momento in cui Ljuba si spoglia della sua veste, e picchia Lopachin, nuovo proprietario del giardino. Bello anche il finale in cui il vecchio Firs, il maggiordomo che da sempre si è preso cura della casa, rimane solo, abbandonato nella proprietà. Come a simboleggiare l'identità fra la sua vita, la casa e la fine di un'era ormai vecchia, come lui che decide di lasciarsi morire.

SITO UFFICIALE

 

Anton Pavlovič Čechov

il giardino dei ciliegi

regia Paolo Magelli

traduzione di Željka Udovičić e Paolo Magelli
scene Lorenzo Banci
costumi Leo Kulas
musiche Arturo Annecchino