TEATRO VASCELLO PRESENTA...
 

ANTONIO REZZA
7,14,21,28
autore Flavia Mastrella e Antonio Rezza
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Maria Pastore
con Antonio Rezza, Ivan Bellavista
 

di Serena SCHIETROMA

 

 

7,14,21,28 (antonio rezza): scheda

Un'altalena, una pedana basculante, un braccio d'acciaio che sorregge un velo elastico, materiali atti ad altri usi collegati in qualche modo fra loro che diventano nelle mani di Flavia Mastrella una scomposta giostra scenica; nelle mani di Rezza gli strumenti di un gioco ludico esilarante e altamente caustico.
La scena si apre con Rezza che oscilla sulla sua altalena modificata. Lui dondola con passo andante, per nulla tranquillo, e osserva, in silenzio. Oscilla e guarda lo spettatore dritto negli occhi. In silenzio. Poi ancora oscilla,con lo sguardo dritto, quando gli va, quando l'altalena arriva alla sua massima altezza, sberleffa, si trasforma nella caricatura più tirata che i suoi muscoli plastici possono sopportare, e sberleffa tutto, anche il pubblico di fronte a lui,e qualunque cosa rapisca la sua attenzione.
Ma non è uno sberleffo fine a se stesso, lui coglie il senso, il vero centro di ciò che vuole demolire e e lo ridicolizza, perchè solo in questo modo torna al pubblico con estrema chiarezza e con estrema violenza.
Deve essere questo l'atteggiamento di base con il quale Antonio Rezza scrive i suoi spettacoli, perchè se si prova a delineare una linea di pensiero univoco, a ricostruire una tematica, a seguire un filo conduttore narrativo o estrapolare una legenda di strumenti linguistici ed estetici, ci si ritrova in un labirinto senza alcuna via d'uscita. Un vicolo cieco.
Antonio Rezza agisce sulla scena come un bambino iperattivo e decisamente troppo sveglio per essere “scolarizzato”, attraversa lo spazio scenico e con il solo passo svelto costruisce il ritmo, raccoglie l'attenzione, rapisce lo sguardo e crea l'attesa. Poi si ferma in un punto indefinito del palcoscenico, che diventa un luogo, una persona, una situazione. E resta tale fino alla fine dello spettacolo, chiunque in platea ricorda sempre che lì, in quel punto x della scena, si è svolto un fatto, o abita un personaggio.
Antonio Rezza strapazza lo spettatore, lo trascina a forza all'interno di situazioni scomode nella maniera più brusca possibile: un bambino violentato da un sacerdote, l'inutilità e l'insensatezza di certi medici, un padre psicopatico che “amabilmente” passa del tempo con suo figlio su un'altalena, eppure mentre ci sei dentro non fai altro che ridere, perchè l'assurdità è comica, e Antonio Rezza la rende cinicamente esilarante con grande maestrìa .
Ci si trova immersi in realtà parallele e paradossali, intrise di comportamenti compulsivo-ossessivi perpetrati con serialità criminale. Ritornelli spaventosamente familiari ma dagli epiloghi innominabili a tinte agghiaccianti. L'impietoso parallelo con la nostra quotidianità è tanto doveroso quanto naturale.
Si susseguono velocemente i quadri, e mentre avanza lo spettacolo, inconsciamente cerchi di collocare questo incredibile performer all'interno delle solite schematizzazioni mentali: è contro la religione, è contro il potere, è contro lo stato italiano.. ma ogni schema si sgretola, magnificamente, perchè con un guizzo naturale, distrugge anche “il teatro di memoria”o il”precariato”, e il meccanismo delle semplici categorizzazioni si inceppa definitivamente.
La forza prorompete di Antonio Rezza è esattamente questa: al di sopra di ogni regola, qualunque cosa contenga un seme di assurdità, una illogicità piuttosto vuota, da lui viene scomposta, ricomposta e ritrasmessa caricata di violento significato, dalle sue efficacissime caricature corporee. Tutto questo sembra essere frutto di naturalissima curiosità/intelligenza spontanea quasi infantile, un meccanismo svincolato nel pensiero quanto nell'azione: infatti il corpo di Rezza è completamente libero da ogni resistenza interiore, lontanissimo da qualunque manierismo recitativo, non si può parlare neanche lontanamente di “recitazione”, ogni movimento appare al pubblico come reazione di una spinta naturale interiore.

“7-14-21-28” si colloca come ultimo atto di un'antologia, proposta dal teatro Vascello, che ripercorre gli ultimi 5 spettacoli della compagnia Rezza-Mastrella. In effetti, se messo in relazione anche al livello temporale con i precedenti lavori, sembra essere l'astrazione estrema di una riflessione iniziata nel 1995 con “Pitecus”. Dal racconto delle vicende di uomini dalle basse ambizioni narrato attraverso un corpo spezzetato dagli oggetti scenici, si passa , attraverso IO (1998), Fotofinish (2003) e Bahamuth (2006) al completo abbandono della narrazione classica, verso il pure gioco linguistico. A briglia sciolta, Rezza sembra un extraterrestre di purezza inopportuna che osserva il mondo e lo incenerisce con la sua logica comica, senza fare distinzione alcuna. Si ride moltissimo, e il ritmo delle risate del pubblico, i commenti, sono in dialogo con l'attore: tutti i passaggi dello spettacolo sono suscettibili di cambiamenti derivati da questa interazione, Rezza lascia chiaramente intendere che ci ascolta, esamina le reazioni e ci lancia le sue provocazioni.
Il ritmo è sempre serrato, e in questo spettacolo é impreziosito da un “servo di scena”, l'attore Ivan Bellavista, che funziona da supporto tecnico, come un ulteriore “gioco” a sua disposizione, ovviamente stilisticamente perfetto,un oggetto non molto diverso da quelli che compongono l'habitat di scena, non molto diverso da, ad esempio, una pedaliera elettronica che manda in loop una frase, grazie alla quale, insieme ad una rete arancione, il perfomer ipnotizza lo spettatore.
In definitiva, se esiste qualcosa di più sfuggente e nello stesso tempo carico di significati, violentemente comico, poeticamente cattivo, politicamente scorretto ma perfettamente bipartisan, stilisticamente corretto ma completamente libero , di questo spettacolo di Antonio Rezza, è soltanto un corpo nudo incorniciato da una scena nera, una corsa trasversale e un urlo liberatorio che segna il finale.

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ANTONIO REZZA
7,14,21,28