A prima vita il titolo dello spettacolo non
lascia intendere di cosa si tratti. Una volta visto però lo si capisce bene.
Questo è uno spettacolo di cuore. Lo spettacolo di un cuore che parla al
cuore. É la storia drammatica di un ragazzo delle banlieue francesi e forse
di tutte le periferie disagiate d'occidente. É la storia della lotta contro
la povertà e i pregiudizi, raccontata con una forza e un intensità da far
dimenticare di avere davanti un attore.
Si tratta di un monologo. Ma è più di un monologo. É un viaggio nel mondo
combattuto e folle dei sensi di colpa di un uomo che si trova solo, a
rivivere i momenti terribili che l'hanno imprigionato in una gabbia fisica e
mentale. Un flusso di coscienza che rivive ininterrottamente i momenti
dell'interrogatorio vissuto e che lo portano infine ad una confessione con
se stesso su quello che un essere umano può compiere quando tocca il fondo.
Entriamo in sala passando sopra al protagonista steso a terra. In mezzo al
brusio che normalmente precede uno spettacolo una voce rabbiosa comincia a
istigare il pubblico: “Chi sei?! Da dove vieni?!” Ce l'hai il permesso di
soggiorno?! Dove sono i documenti? E tu chi sei! Cosa ci fai qui?!” L'uomo
sale sul palco. É un interrogatorio. É l'interrogatorio a cui lo sottopone
la polizia. É l'interrogatorio a cui vengono sottoposti da sempre lui e il
suo amico di una vita. L'amico di infanzia. L'amico delle scorribande che
giovane perde il freno e anche la vita. É l'infanzia delle banlieue, di
persone che per la diversità di lineamenti, del colore della pelle e del
luogo che abitano, quando riescono a sentirsi un'identità addosso è quella
del diverso. Sono sempre soggetti al sospetto e alle domande della gente.
Continue domande di persone, che come loro nate lì, non li riconoscono
francesi. É una città dentro la città, non riconosciuta come città ma come
territorio di altri, forse nemici.
La scenografia è praticamente inesistente ma forse proprio per questo
efficace. Lo sfondo è nero. Delle parole in bianco, in italiano, seguono i
suoi deliri in francese. E lui siede su una gabbia quadrata. A volte ci sale
sopra come a volerla dominare, come a guardarci dall'alto, a volte vi si
abbandona e la stringe. Come fosse l'unica cosa che gli rimane.
Ormai è solo, davanti a quell'uomo e quella donna che lo interrogano
lasciandolo in un fiume di parole troppo difficili da pronunciare. La sua
amata è partita, alla ricerca di un mondo migliore e di un riscatto. Il suo
amico è praticamente morto di una follia inguaribile. E lui, una sera in
preda ai fumi dell'alcol, incrocia le sorti di un poliziotto.
Se la funzione più alta della letteratura e della narrazione in generale è
quella di permettere la scoperta dei mondi possibili e aprirci alla
comprensione delle cose, questo è uno degli spettacoli migliori a cui abbia
assistito. Fino a che punto la mancanza di affetti, l'ostilità e la
solitudine possono rovinare la vita di un uomo e di coloro che lo
circondano? |