WONDER BOYS
di Curtis Hanson
con Michael Douglas, Tobey Maguire e Robert Downey Jr.



Non è giusto dire che Curtis Hanson sia un autore sottovalutato (basti pensare ai successi di L.A. CONFIDENTIAL), anche se forse il suo nome non dice molto ai più. In realtà il regista di Reno nel Nevada è tra i più eccentrici tra quelli nati e che girano in America, capace di film mai banali e trasversali alla produzione di genere. Dall'82 ad oggi (se escludiamo l'isolato esordio del 1972: SENSUALITA' MORBOSA, che peraltro non abbiamo la fortuna di conoscere) ha proposto titoli tra loro spesso assai eterogenei, con una predilezione per il thriller ed una a non appiattirsi su stilemi e soluzioni narrative consueti. Hanson è un regista che si è permesso di farsi notare seriamente con un quasi remake di un Hitchcock tra i migliori (e soprattutto tra i più famosi…), ovvero LA FINESTRA SUL CORTILE. E il suo LA FINESTRA DELLA CAMERA DA LETTO (1987) è un noir non comune che, rivisto di recente, non ha perso il fascino dei tempi della prima. CATTIVE COMPAGNIE (1990) oltre ad essere un altro ottimo film ha, a modo suo, anticipato una tendenza di un certo cinema americano (quello di Neil LaBute in particolare) che, in anni recenti, ha trovato molti consensi, specialmente critici. LA MANO SULLA CULLA (1992) rimane tuttora un thriller cui film come LA BABYSITTER… UN THRILLER con Alicia Silverstone o altre cosacce del genere non raggiungeranno l'impatto, pur tra le pareti di un prodotto non certo degno di maggiori attenzioni. Una caduta è stato senz'altro THE RIVER WILD (1994) con Meryl Streep action, mentre già abbiamo detto di L.A. CONFIDENTIAL (1997), forse il suo lavoro più noto, premiato e riuscito.
Ora Hanson ha cambiato nuovamente strada senza tuttavia entrare, pur con la sua solita classe, nelle maglie di un filone. O meglio: se WONDER BOYS ricorda qualcosa si potrebbe parlare del cinema dei fratelli Coen, de IL GRANDE LEBOWSKI in particolare. Non tanto e non solo per l'atteggiamento (e l'abbigliamento) yuppie del protagonista. La cosa più prossima allo spirito di quel film è rintracciabile nell'ironia: l'ironia (e dunque il distacco) con cui Tripp affronta anche le situazioni apparentemente disperate, e l'ironia della messa in scena, compreso un campionario di personaggio stralunati (l'editore gay, il travestito, il negro, ecc.) quanto i giocatori di bowling del film con Jeff Bridges. Ma se tra le altre cose ai Coen interessava una delle altre facce del sogno americano (non quella di chi aveva avuto la sua occasione senza riuscire a farcela finendo in miseria, quella di chi non aveva nemmeno voluto provare a farcela), Hanson se studia un'altra ancora. Tripp ce l'ha fatta, ma troppo presto: wonder boy della letteratura, ha pubblicato molto giovane un romanzo di straordinario successo, ha così ottenuto una cattedra universitaria ma poi ha smarrito la vena e il coraggio di mettersi in gioco (è ben oltre pagina 2000 del suo secondo lavoro e non ha alcuna intenzione di finirlo). Come se non bastasse si trova davanti un ragazzo che gli ricorda se stesso, ma che ne mette in crisi anche le poche certezze rimaste in una sorta di romanzo di ri-formazione.
Un film che Hanson ha definito "adulto", perché nonostante la leggerezza che pare di respirare, non è questa una pellicola per palati della domenica, data la poca vitalità del ritmo, la staticità delle situazioni e la sostanza della vicenda narrata. Un film adulto soprattutto nella scelta di slavare Michael Douglas da quei ruoli di incrollabile cui rischiava di essere condannato, un po' sulle orme del padre, e nei quali si incappa spesso sfogliando la sua filmografia. Basta vedere la foto che abbiamo messo in apertura per farsi un'idea di come il regista lo abbia immaginato e dei risultati raggiunti. Vestagliaccia, capelli sporchi, spinello, aria assonnata di chi sembra sempre lì senza bene comprenderne il motivo.

Voto: 27/30

Andrea DE CANDIDO
23 - 08 - 01


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